samedi 19 novembre 2016

Oscenità scolastiche parigine

Mi ha sempre sorpreso vedere crocchi di persone adulte, in genere genitori, nonni, zii , davanti alle scuole alla fine delle lezioni in attesa dei bambini. Non ero abituato a scene simili. Qui a Parigi invece sono ricorrenti. A un certo punto si apre la porta o il cancello della scuola e i bimbi cominciano a uscire a frotte in un disordine grandioso. Lo spettacolo è quotidiano. Vi si può assistere davanti alle scuole elementari, mentre davanti alle scuole medie o a quelle dell'insegnamento secondario superiore la scena è leggermente diversa. Non ci sono quasi più adulti in attesa sui marciapiedi ma crocchi di giovani che discutono, giocano . I più grandi fumano o amoreggiano. Si fanno le cose normali ma le porte degli edifici scolastici restano chiuse, sbarrate e i portinai vegliano al rispetto delle regole. Nelle scuole elementari sono loro che regolano il flusso delle uscite con la folla degli adulti che davanti alla porta si agita, grida, si sbraccia per cercare il bimbo da accompagnare. Le persone estranee non entrano nello spazio scolastico  e questo è riservato alle  attività di insegnamento.

I crocchi di studenti e adulti davanti alle porte degli edifici scolastici parigini sono un fatto abituale che si riproduce anche altrove nel sistema scolastico francese.  E' visibilissimo perché  ci sono molti edifici scolastici. A Parigi sii potrebbe dire che di scuole ce ne sono ovunque , di ogni grado. Non si può non inciampare in un edificio scolastico. In genere sono tutti assai vetusti. Non si vedono edifici  scolastici, un tempo si diceva palazzi scolastici, nuovi, moderni. Ce ne devono essere, ma le scuole sono soprattutto costruzioni vetuste, di un secolo fa, con due entrate diverse, una per i maschietti e un' altra per le femmine. Lo indica una iscrizione sopra la porta d'entrata. Adesso, in genere , una delle due porte è fuori uso, resta chiusa . All'interno esiste il cortile di ricreazione e la palestra. Stupendi sono i licei in genere centenari. Sono monumenti storici che si assomigliano alquanto per l'impostazione,  per le dimensioni, per l'organizzazione spaziale. Meriterebbero di poter essere visitati, ma sono chiusi al pubblico. In genere possiedono un paio di chiostri. Sono l'espressione di una cultura scolastica e di un'idea della conoscenza non più attuali ma funzionano sempre, sono curati e accolgono frotte di studenti. Il problema non sta dunque nella carenza di edifici.

L'argomento in voga per impedire ai familiari di entrare nelle scuole è quello della sicurezza. I tempi sono grami infatti. Non si sa mai quel che può succedere ed è dunque opportuno anticipare i rischi e predisporre soluzioni dissuasive. Questo argomento però non tiene. Infatti i crocchi di studenti e familiari davanti alle porte chiuse delle scuole esistevano ben prima degli attentati ed erano il prodotto di un determinato tipo di gestione delle scuole e quindi di un modello di relazione tra le scuole e gli utenti. Gli insegnanti e i loro aiutanti si proteggevano contro ingerenze potenzialmente fastidiose con un controllo puntiglioso delle entrate nelle scuole. Nell'odierno clima protettivo molto pesante , la richiesta di un appuntamento con un insegnante diventa un percorso del combattente. Inoltre i crocchi odierni davanti alle porte delle scuole sono un bersaglio facile per qualsiasi attentatore. Il problema della sicurezza resta irrisolto. Mi meraviglio ogni giorno che non succeda nulla di grave davanti alle scuole con questa logica di governo. L'opinione pubblica ammette questo stato di cose come se fosse "naturalmente" connesso alle specificità del servizio scolastico pubblico. In questo modo, fin da piccoli,  si abitua la gente all'idea che ogni servizio pubblico ha le sue regole, esige un proprio modo d'uso.

dimanche 13 mars 2016

Elezioni pericolose

Anche oggi  in Germania l'estrema destra l'ha spuntata in tre Laender. I titoli dei media sono allarmistici o caricaturali. Sbeffeggiano la Cancelliera tedesca e calano lezioni del tipo : Ve lo avevo detto. Per prima cosa tento di sdrammatizzare l'esito del voto: in fondo solo il 10% dei votanti ha privilegiato l'estrema destra nei Laender occidentali, mentre invece un quarto circa degli elettori della Sax , nell'ex- Repubblica Democratica Tedesca nota con l'acronimo DDR , ha votato per l'estrema destra.
Ma non si scherza con le percentuali. Il problema infatti  travalica la Germania. Mi viene in mente il successo che incontra un demagogo come Trump negli USA, oppure la marcia in avanti del FN dei Le Pen in Francia, oppure della Lega in Italia o della  Lega nel Ticino, senza accenare a quanto succede in Austria, in Ungheria, in Slovenia, in Polonia e anche nel Regno Unito nel dibattito sul Brexit. Una buona percentuale di cittadini vota ormai per candidati che difendono o esprimono soluzioni politiche che non condivido, che mi sembrano grossolane, anzi  grottesche. Molti elettori propendono per soluzioni spicce, semplici, comprensibili e invocano politiche dure, radicali. Come fare capire che non ci sono soluzioni semplici nelle societa' complesse, che i cambiamenti nelle societa' democratiche ( ci sono vari tipi di societa' democratiche) richiedono tempo, si discutono e si negoziano? La sfiducia nei dirigenti politici e' elevata e non sempre e' giustificata. Il disorientamento provato da una fetta consistente di elettori e' reale. Il malessere provato e' grande, gli stipendi non sono strepitosi, la disoccupazione e' reale, gli appartamenti costano, gli affitti salgono alle stelle. Eppure in questo marasma si sta anche benone. Gli uccelli di malaugurio sono numerosi e decantano soluzioni semplicistiche e inapplicabili.  In questo caso si dovrebbe cedere e  mettere alla prova i candidati dirigenti politici che i portavoce promuovono? Penso proprio di no. Questa pista e' gia' stata seguita con esiti disastrosi. Allora si dovrebbe privilegiare l'immobilismo? Nemmeno questa mi sembra una soluzione fattibile in una societa' che volente o nolente cambia moltissimo a velocita' sostenuta.Anni fa si parlava di accelerazione della storia ma la storia non e' andata nella direzione che si sognava e favoleggiava.  Come migliorare le condizioni di vita non brillanti di moltissimi elettori? Come convincere  coloro che sono adescati dalle sirene che inneggiano alla violenza che il rischio di perdere la piccola fetta di ricchezza e di benesere ottenuta negli anni trascorsi non e' molto realista ( lo spero, ma anche questa prospettiva va dimostrata) , che la giustizia sociale e l'equita' possono migliorare e essere potenziate, che non esiste una minaccia impellente che sfoci ineluttabilmente in un mondo peggiore, piu' povero, piu' ingiusto?( Ne siamo certi?) Basta forse parlare agli elettori, basta controbattere alle affermazioni inattendibili e false ? Probabilmente no. Per convincere che un'altra societa' meno pericolosa, meno rischiosa, piu' giusta e' possibile occorrono fatti, atti che segnalano in modo concreto, visibile la  presenza di modelli sociali alternativi.

dimanche 28 février 2016

Espulsione automatica dalla Svizzera degli stranieri con crimini

Il voto dei connazionali ticinesi mi fa rabbrividire: 87 117 votanti accettano l'iniziativa e 59501 la rifiutano. Dunque approvazione massiccia della proposta. Il Canton Ticino vota come tutti i piccoli cantoni del cuore alpino, cioè come la Svizzera primitiva. Questa è una espressione usata in modo ricorrente per designare l'insieme di questi cantoni, alpini, piccoli, cattolici in maggioranza. Dunque la Svizzera italiana si allinea con la parte più chiusa del mondo elvetico, quella che  ritiene e rivendica di rappresentare l'autenticità elvetica, quella che difende a spada tratta le tradizioni del mondo rurale, valligiano, quella che denuncia le opzioni dei connazionali romandi, dei centri urbani svizzero -tedeschi come Zurigo e che considera lassismo le scelte di questi concittadini. Una parte della popolazione del Canton Ticino considera di essere un baluardo contro il mondo italico corrotto, caotico, disordinato , sporco. Erige una barriera mistica salutare contro le perversioni che possono venire dal Sud, ritiene di avere una missione politica fondamentale che consiste nel prevenire le forme di infezione socio-culturali  di mondi diversi. Non è sempre stato così. Gradualmente la popolazione del Canton Ticino ha adottato un riflesso di chiusura che rende impermeabile una società ancorata a forme di vita ora privilegiate, intrise di nostalgia per un passato di povertà, di miseria e di sfruttamento, ma questo passato lo si è scordato mentre invece si ritiene meritevole e giusto il benessere contemporaneo ( non so proprio se si possa parlare di benessere). C'è uno scarto di 30000 voti circa tra la maggioranza che condivide la visione di un mondo  chiuso su se stesso e la minoranza che invece ritiene doveroso impegnarsi per salvaguardare una società aperta. Due visioni radicalmente opposte della società si contrappongono. Nel mondo elvetico 400 000 votanti circa invece fanno la differenza in senso opposto. Tutti i principali centri urbani elvetici rifiutano la proposta di fare piazza pulita degli stranieri colpevoli, anche quelli tradizionalmente cattolici come Lucerna o Friborgo. Poi ci sono i cantoni di frontiera simili  dal punto di vista geopolitico al Ticino  nei quali non si ritiene di doversi chiudere a riccio su se stessi per proteggersi, come per esempio il Giura che è cattolico e francofono, oppure Basilea o Sciaffusa che sono a Nord, al confine  con la Germania. Anche nel cantone dei Grigioni, cantone alpino per eccellenza , dove l'ancoraggio alle tradizioni è forte, dove l'esposizione al confronto con gli altri è grande, si è rifiutata l'iniziativa xenofoba per eccellenza. Il risultato del voto del Canton Ticino mi rattrista, mi induce a riflettere sulle ragioni di una scelta simile. I dati statistici mi rinviano un'immagine della società cantonticinese che non è la mia, che non condivido.







mercredi 3 février 2016

Partire, protestare, essere leali

Quando si giunge a una certa età  e si intravede la fine prossima si riflette sul passato e soprattutto su quel che si è combinato nella vita. Mi capita la stessa cosa. Ho il ricordo, in questi giorni, di momenti in cui mi sono sentito inutile. L'inutilità è una prova e un sentimento politico; non è solo una emozione. In questi giorni ( fine gennaio 2016) ho letto o ho sentito alla TV ( non mi ricordo più esattamente) una persona ( mi pare la Callas, in un documentario su di lei)  dire che a un certo punto della vita si è sentita di colpo e che le è parso di avere fallito la propria esistenza.

Ho di colpo associato questa ammissione alla mia esperienza personale. Anch'io mi sono sentito inutile nella vita a un certo punto. Mi sono venuti in mente due episodi. Dapprima all' OCSE quando non ho più avuto a che fare con il progetto sugli indicatori dell'istruzione, ossia tra il 1996 e il l'aprile 1997. Quel periodo fu una lenta , progressiva caduta nell'inutilità. Non servivo più a niente. Non volevo più continuare a occuparmi di indicatori comparati dell'educazione .  L'avevo detto al direttore che ne avevo piene le scatole degli indicatori dopo avere impostato il lavoro e prodotto tre insiemi di indicatori internazionali comparati . Mi sembrava di avere dato il meglio nel lancio di questa impresa che continua tuttora. Stavo all'OCSE in attesa di una proposta di lavoro. Chiedevo di prendere in mano un progetto di lavoro ma dall'alto non giungeva  nessuna proposta. Non mi rendevo però conto di quanto succedeva.  Non capivo i tentennamenti e i ritardi. Il Capo della direzione dell'educazione nonché direttore del CERI Thomas Alexander non mi diceva nulla e continuava a rassicurarmi ma nonostante le mie sollecitazioni mi lasciava crogiolare nel brodo. Nessuna mia proposta conveniva. Nel frattempo avevo una vita da re. Potevo viaggiare, risiedere in alberghi  lussuosi, partecipare a riunioni e conferenze prestigiose quanto inutili, essere mandato in rappresentanza a eventi rinomati e eleganti. In pochi mesi sono stato a Monaco, poi a Seoul e a Tokyo, in Messico e a Washington. Avevo una bella vita, ma ero inutile. Le visite e gli incontri erano protocollari, formali. Mentre subivo questo trattamento all'OCSE si riduceva il personale, si licenziava o si incoraggiavano le partenze con buoni di fuoriuscita favolosi. Ci fu chi ne approfittò alla grande. A dire il vero la sensazione di diventare inutile di botto la provai di colpo subito dopo l'infarto che avevo fatto nell'estate del 1995 dopo l'assemblea del progetto INES che si era tenuta, con successo, a Lahti in Finlandia. Dietro le quinte però le tensioni riguardanti il futuro del progetto erano enormi. Il disaccordo sulla gestione del progetto  e gli indirizzi da curare in priorità tra il gruppo che aveva pilotato la realizzazione dell'insieme di indicatori e la direzione dell'OCSE era crescente. Capivo che con la malattia  il progetto  che avevo realizzato con tenacia crollava di colpo. Non avrei più potuto fare quello che avevo impostato negli anni precedenti. La depressione è durata qualche mese poi ho iniziato a cercare uno sbocco, un'alternativa  professionale. E sono finito a Ginevra dove è iniziata un'altra avventura , ma questa è un'altra storia.
A Ginevra  ho però avuto la seconda esperienza di inutilità, ma non nel contesto dello SRED e del mondo ginevrino. Ero tornato in Svizzera dopo 22 anni di assenza , con un bagaglio di esperienze internazionali. Avevo lasciato il paese dopo essere riuscito ad  aprire una finestra sui lavori dell'OCSE nel settore delle scienze dell'educazione. Il mondo elvetico della scuola era allora , negli anni 70, piuttosto chiuso, fatiscente. Puntava tutte le energie sul Consiglio d'Europa dove le scienze dell'educazione erano assai deboli, non facevano  e non fanno tuttora male a nessuno, sono insignificanti, e sull'UNESCO dove la ricerca empirica sulla scuola era pressoché assente ma dove il mondo della diplomazia poteva sbizzarrisci. Agli Elvetici andava ben così  ma non a me e non a un gruppetto di colleghi elvetici che invece aspiravano a dialogare e a lavorare con  la comunità scientifica internazionale operante nel settore scolastico. Per questa ragione i lavori dell'OCSE mi sembrano interessanti e non capivo come mai in Svizzera ci fosse un disinteresse pronunciato per quella produzione che allora , negli anni Settanta, era gratuita ( lo è di meno in meno ora).  Dunque nel 1997 rientro in Svizzera e provo una cocente delusione. Come direttore dello SRED ( il Servizio cantonale ginevrino di ricerche sull'educazione) occupavo uno dei rari posti di responsabilità nel settore della ricerca scientifica sulla scuola esistenti in Svizzera. Mi illudevo con l'esperienza che avevo accumulato ed il posto che occupavo di contribuire alla formulazione della politica elvetica nel settore della ricerca scientifica sulla scuola. Invece sono stato marginalizzato. Vivevo isolato a Ginevra. Nessuna informazione, nessun coinvolgimento, nessuna delega. I posti erano occupati o presi da altri. Ebbi solo un paio di opportunità: nel Consiglio romando  della ricerca scientifica sulla scuola che si riuniva un paio di volte all'anno e nella Commissione nazionale elvetica sulle statistiche scolastiche. Qualche vagito insomma, ma ero inutile, non servivo proprio a gran che. Le decisioni erano prese senza che fossi né consultato né interpellato Alle riunioni e alle conferenze delle istituzioni nelle quali si delineò il panorama della politica scolastica del XXI secolo erano designati altri delegati. Il clima elvetico nel settore della ricerca scientifica sulla scuola era cambiato, i giochi erano fatti, non c'era affatto bisogno di me.
Si può essere utili in vari modi, per esempio essendo accomodanti con chi detiene il potere e prestarsi ai bassi servizi. Non era il mio caso. Ero percepito come un intruso che si doveva neutralizzare, ignorare, accantonare. L'operazione è perfettamente riuscita.
La spinta per questa confessione è venuto dalla lettura di un articolo di Freeman Dyson che ha recensito  il libro   "Plank: Driven by Vision, Broken by War" di Brandon R.Brown, Oxford Univesity Press pubblicato il 22 ottobre 2015  dalla rivista "The New York Review of Books". In questo articolo si cita a un certo punto  il libro di Albert Hirschmann pubblicato nel 1970 intitolato "Exit, Voice, and Royalty" ( in italiano "Lealtà, Defezione e Protesta" pubblicato da Bompiani nel 1982) tre risposte alternative possibili per le persone con posti di responsabilità di fronte alle magagne, agli errori, alle insipienze dei dirigenti. Il titolo in italiano non è nell'ordine del titolo in inglese. L'ordine esatto sarebbe "Defezione, Protesta e Lealtà", ossia andarsene ( ossia partire, dimissionare) , protestare ma restare nel posto che si occupa oppure essere leali fino in fondo all'istituzione,tacere nonostante il disaccordo per rispettare altri valori che l'istituzione rappresenta. Le tre opzioni mi hanno sempre affascinato e per inclinazione ho spesso protestato, ma me ne sono spesso andato, sono stato qualche volta leale. La vicenda del fisico Max Plank , uno dei grandi della fisica del XX secolo, tedesco, rimasto a Berlino durante tutto il corso della guerra , fedele al Reich pur disapprovando la politica di Hitler, è quella di una figura tragica posta di fronte a scelte cruciali. La vicenda di Plank è paragonata nell'articolo a quella di Einstein e di altri fisici confrontati al dilemma del rifiuto o della collaborazione con il progetto Manhattan di costruzione dell'ordigno nucleare. Einstein non ha collaborato (Exit), ha protestato (Voice) . Cosa avrebbe fatto Plank, logicamente escluso in quanto tedesco dagli inviti rivolti ai fisici emigrati negli USA?
Non ho la pur che minima ambizione di essere comparato a questi nobili e grandi personaggi del XX secolo. Mi sono trovato in posizioni molto meno importanti ma ho dovuto anch'io operare le mie scelte tra exit ( scappare, andarmene), protestare-voice ( restare e alzare la voce) oppure tacere, collaborare- royalty e criticare dall'interno.
Alcuni amici cari mi chiedono costantemente perché me ne sono andato dal Ticino e dalla Svizzera. Credo che la risposta è duplice. In primo luogo per non sentirmi inutile, in secondo luogo per protesta. Ho optato per l'Exit. Soluzione facile? Non credo. Certamente con un costo che ho assunto più o meno coscientemente. In ogni modo non mi pento affatto. Il libro di Hirschman mi è servito come quadro di riferimento, mi ha aiutato a capire le scelte che ho fatto, i costi costi che ho pagato.

vendredi 15 janvier 2016

In memoria di James Coleman

James Coleman fu uno dei massimi sociologi contemporanei. In occasione del cinquantesimo della pubblicazione  nel 1965 dell'indagine da lui pilotata e commissionata dal governo federale USA intitolata “Equality of Educational Opportunity”   la quale  ha suscitato  grande interesse e anche molto scalpore ovunque perché vi si sosteneva con prove alla mano che le scuole non contavano quasi nulla e che il fattore determinante del successo scolastico era la famiglia, il ceto da cui si proveniva, l'eredità familiare dunque (Da questo punto di vista i lavori di Bourdieu e Passero in Francia erano sulla stessa lunghezza d'onde). 

Nel sito USA EducationNext  (http://educationnext.org ) si sta pubblicando una serie di articoli per commemorare la ricorrenza della pubblicazione di questa indagine che trasferiva alle politiche sociali la responsabilità di creare una società giusta nonché quella di ridurre le disuguaglianze scolastiche.

Si riprendono in in questa sede  alcuni spunti e informazioni del primo articolo redatto da  che è stata una delle allieve e una collaboratrice di Coleman ( breve notizia biografica di Kilgore in inglese cliccando il seguente link:  http://www.zoominfo.com/p/Sally-Kilgore/3526735). Kilgore  ha svolto un dottorato di ricerca in sociologia dell' educazione con Coleman. L'articolo è una biografia di Coleman ed è consultabile in inglese cliccando il link http://educationnext.org/life-times-james-s-coleman-school-policy-research/

Coleman ha diretto indagini rilevanti sulla giustizia e l'equità dei sistemi scolastici nonché sul capitale sociale. Ha prodotto anche un trattato di sociologia che è stato pubblicato in italiano dalla Casa editrice il Mulino con il titolo "Fondamenti di teoria sociale". Mi sembra opportuno ricordare la figura di questo professore che ha orientato un indirizzo di ricerca scientifica sulla scuola, ossia sui sistemi scolastici, assai significativo .  La sua presenza non può essere ignorata accanto a quella di Bourdieu in Francia, di Bernstein in Inghilterra di Husèn in Svezia. A questo quartetto aggiungerei anche Christopher Jencks a Harvard, dove è sempre in attività. Coleman è  un personaggio che ha marcato un'epoca della ricerca scientifica sulla scuola.




Ecco alcune informazioni tratte dall'articolo biografico di Kilgore corredate da alcuni  commenti miei:


Coleman nacque nel 1926 nell'Ohio. Compi`studi universitari banali terminati con una  laurea in ingegneria chimica e inizio' la vita professionale presso Eastman Kodak prima di inscriversi come è prassi negli USA a un corso di dottorato alla Columbia University a New York dove cambia totalmente indirizzo. E' assunto come collaboratore nel Dipartimento della Columbia University di ricerche sociali applicate dove ebbe come maestri due celebrità dell'epoca, Robert Merton ( uno dei primi sociologi della scienza. Si veda qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Robert_K._Merton) e Paul Lazarsfeld (https://en.wikipedia.org/wiki/Paul_Lazarsfeld) . Termina la specializzazione con un dottorato in sociologia nel 1955 e trova un posto di lavoro alla John Hopkins University dove nel 1959 apre il Dipartimento di sociologia. Qualche anno dopo , nel 1973, si trasferisce a Chicago nel 1973 come professore ordinario.

Oggigiorno Coleman è noto soprattutto per il celeberrimo documento “Equality of Educational Opportunity” ( Acronimo EEO) ma l'enorme appetito intellettuale del professore lo condusse ad occuparsi di molte questioni, per esempio di sociologia della matematica , un campo di lavoro originale e nuovissimo, oppure dei meccanismi di potere nella società, di teoria dei comportamenti umani, di psicologia degli adolescenti, di capitale sociale. Coleman aveva una potenza di lavoro strepitosa; Sapeva trascinare e  coinvolgere nugoli di assistenti e di studenti. Non era dunque soltanto un sociologo dell'educazione. Le indagini sulla scuola furono soltanto  uno dei campi di lavoro di Coleman.

L'indagine sulle opportunità educative

Il documento che rese famoso Coleman nasce da un mandato del congresso USA mirante a  approfondire la questione della segregazione razziale nelle scuole USA. Coleman decise di effettuare un'indagine empirica su vasta scala per raccogliere uniformazioni incontrovertibili. L'indagine riguardo'  600 000 studenti , i loro professori, i dirigenti scolastici delle scuole da loro frequentate, i genitori, le loro famiglie. Un lavoro enorme in un'epoca in cui non c'erano ancora i  computer. Il documento finale pubblicato nel 1966 di 700 pagine fu una bomba. Vi si dimostra che le risorse scolastiche, le attrezzature scolastiche contano ben poco , mentre il background familiare e il ceto sociale da cui si proviene esercitano un'influsso ben maggiore della scuola sulla carriera professionale e sociale delle persone. Inoltre nel documento si dimostra anche che il peso rilevante dal punto di vista del successo scolastico dei compagni di scuola, soprattutto dei ceti sociali da cui i compagni provengono. Il documento ebbe un'incidenza enorme sulle politiche di disgregazione negli USA. Molti tribunali fecero riferimento a questo documento per imporre l'adozione di politiche miranti a accentuare la mescolanza sociale e a ridurre la segregazione sociale e scolastica come per esempio la celebre politica del busing che doveva accrescere la diversità sociale nelle scuole urbane.

Nel 1975 ( ossia un decennio più tardi) Coleman ha pubblicato una appendice a questa indagine nella quale dimostra che la causa principale della segregazione scolastica è la segregazione residenziale, in particolare il divario tra il centro urbano e i quartieri periferici. In questo lavoro Coleman critica anche i provvedimenti adottati per lottare contro la segregazione e dimostra che molti provvedimenti adottati per ridurre la segregazione hanno avuto l'effetto opposto e l' hanno aggravata. Per esempio il "busing" ha solo permesso di integrare la minoranza povera afro-americana con studenti bianchi dei ceti poveri. Il ghetto della povertà non è stato affatto violato e la segregazione sociale è peggiorata. La denuncia di Coleman ha scatenato una violenta polemica tra i sociologi USA. Taluni non hanno esitato ad accusare Coleman di essere contrario alla politica di desegregazione, una vera e propria fandonia.




Da segnalare che l'autrice dell'articolo biografico su Coleman ha collaborato con lui per realizzare un altro celeberrimo studio che compara scuole statali e scuole private ( in maggioranza cattoliche) negli USA. L'indagine fu commissionata dal Dipartimento Federale USA dell'educazione. Il lavoro iniziale è stato pubblicato con il titolo “High School and Beyond”
nel quale Coleman dimostra che a parità di condizione le scuole private cattoliche USA erano migliori di quelle statali e per finire l'indagine ha generato una coda sotto forma di un lavoro longitudinale. Si è trattato di un altro studio colossale nel quale l'analisi dei dati statistici ha imperato, a dimostrazione dell'interesse e della validità degli studi comparati su vasta scala, nonostante a tutti fosse noto che Coleman non era affatto un genio della statistica. Questa indagine ha riguardato 70 000 studenti di 1015 scuole secondarie pubbliche e private, ha fornito questionari a tutti i presidi ( in Italia sarebbero i dirigenti scolastici), e ha utilizzato punteggi nei test di matematica, lettura e discipline artistiche. I risultati finali di questa indagine furono pubblicati nel 1982 in un volume intitolato High School Achievement. Nell'indagine  per il Dipartimento federale  USA dell'educazione nel quale si confrontavano i risultati delle scuole statali e delle scuole private Coleman scopri`che non solo gli studenti delle scuole private cattoliche USA conseguivano punteggi migliori negli  apprendimenti scolastiche non  quelli che frequentavano le scuole statali ma che questi studenti inoltre erano più impegnati socialmente mentre gli studenti delle scuole statali con il passare degli anni riducevano la partecipazione alle attività extra-curricolari. Le critiche rivolte a questo studio furono feroci. Coleman fu attaccato da molti colleghi che criticavano la metodologia dell'indagine. Qualche anno fa i dati raccolti da Coleman e dal suo gruppo di lavoro furono riesaminati e  trattati con metodi statistici più elaborati, più complessi. Si concluse che Coleman si era sbagliato. I difensori della scuola statale USA non sfruttarono in modo polemico l'esito di questa revisione. I lavori di Coleman e collaboratori erano ormai datati e potevano essere letti con serenità.

Il contributo di Coleman alla ricerca scientifica nel settore della politica scolastica e delle scienze dell'educazione è stato grandioso. La sua personalità, la sua generosità, la sua cultura  ne hanno fatto un grande maestro che ha marcato generazioni di studiosi nel mondo. Senza dubbio Coleman è paragonabile a Bourdieu o a Husèn, altre due figure notevoli della stessa epoca nel campo della ricerca scientifica sulla scuola . Coleman ha contribuito a definire i parametri e gli standard della ricerca scientifica sull'educazione. Il maestro ha saputo reclutare e formare una vasta schiera di giovani dotatissimi. I suoi lavori hanno esplorato aspetti rilevanti dell'adolescenza. Coleman era convinto di due cose: che le banche dati erano fondamentali e che dovevano essere pubbliche. Questi due principi hanno contribuito in modo determinante a far progredire la ricerca scientifica sulla scuola e sull'istruzione.