mercredi 20 décembre 2017

Giono

Ho letto per diletto "Provence" di Jean Giono, pubblicato da Gallimard, Parigi, nella collezione Folio. Premetto che i testi di Giono non sono il mio genere, ma debbo riconoscere che Giono scriveva benissimo, è una pena brillante, è un osservatore raffinato, coniuga dettagli del paesaggio o emozioni di ogni genere con la letteratura classica. Per esempio i viticoltori diventano dei poeti che lo fanno pensare a Omero.
In questa raccolta di saggi, sono riuniti articoli, testi, interviste in cui Giono parla della Provenza. Molte pagine sono affascinanti, profumano di Sud  proprio perché l'autore l'ha percorso in lungo e in largo e sa parlarne con grande bravura. Descrive momenti  strabilianti come la nascita delle foglie delle querce in primavera. Le querce non perdono le foglie in inverno. I piccioli, robusti nonostante le folate di vento  impediscono  alle foglie  i cadere durante la cosiddetta brutta stagione e gli alberi conservano la loro veste anche se  di colore diverso durante  tutto l'inverno. Le foglie sono secche, marroncino chiaro.
Ci sono molti passaggi affascinanti. Per esempio quando Giono descrive gli ulivi  della costa , quelli della Bassa Provenza e quelli della montagna ( così per dire, perché qui si è in Alta Provenza, si è n montagna  a 300, 600, 800 metri).
La bestia nera di Giono è la Nazionale 7, la strada che negli anni 50 del ventesimo secolo ha permesso ai Parigini e alla gente del Nord della Francia di raggiungere il Sud, il Mediterraneo. Oggigiorno la Nazionale 7 è un rudere d'archivio, soppiantata dall'autostrada, l'A6 fino a Orange dove si divide: un ramo va verso destra 5 quando si viene dal Nord), ossia verso   Montpellier e la Spagna e l'altro verso sinistra, ossia verso Aix-en-Provence , Marsiglia, la Costa Azzurra e l'Italia. Giono non ha visto le autostrade né le linee dell'alta velocità dei treni ( i TGV). Non ne avrebbe parlato molto bene.






Giono è un romantico che decanta la bellezza della Provenza di un tempo, ossia dagli inizi del Novecento su su fino agli anni Trenta, quando si allevavano ancora cavalli nelle fattorie dei villaggi attorno ad Avignone. Inneggia alla grandezza e alla bellezza della povertà , di un mondo duro, di gente testarda che lotta per sopravvivere, che viaggia a piedi, con scarpe chiodate. Qua e là ce ne sono ancora di personaggi del genere ma la Provenza odierna è molto diversa , è populista, ossia molto anti-governativa ( forse è sempre stata così), molto favorevole alle tesi del Front National ossia dell'estrema destra francese. E' abitata anche da tanti pensionati venuti dal Nord della Francia. La Provenza è protestataria per natura si potrebbe dire. In passato ha accolto giansenisti, perseguitati di ogni bordo, protestanti , e poi oggigiorno accoglie schiere di pensionati che difendono le loro concezioni nostalgiche del passato, che disubbidiscono al governo centrale parigino percepito come una minaccia per il proprio benessere. Giono descrive con lirismo la vita provenzale degli inizi del Novecento ma scrive nel 1950 o giù di lì. E' dunque un nostalgico del tempo che fu, il quale può sembrare bello ma non lo era affatto. La descrizione della spremitura delle olive nel testo intitolato "Arcadie!Arcadie!"è esemplare da questo punto di vista.  Certo, quel mondo è scomparso con i suoi profumi e i suoi gusti ( la musica, le canzoni per esempio) ma un altro mondo è nato . Giono alla fin fine contesta la tecnica, il progresso, che per lui non è che regressione. Non lo dice espressamente ma lo si intuisce. La descrizione dei frantoi dove si ottiene l'olio d'oliva ne è una conferma. Belli , anzi affascinanti sono per lui  i frantoi tradizionali mentre indegni sono i frantoi moderni, in acciaio. Le macchine inossidabili al posto degli impianti d'un tempo non sono che il segno  della scomparsa di una cultura, di un modo di vivere imperniato attorno all'olio di uliva. Si potrebbe dire la stessa cosa del vino, ma Giono non parla della cantine sociali sorte negli anni Trenta. Esalta invece il viticoltore singolo con la sua parcella, il suo vino. Non parla dei vini né tanto meno della crisi della produzione vinicola  che a quei tempi era di là da venire. Il Côte du Rhône era allora usato per rinforzare i vini nobili francesi soprattutto i bordeaux e i bourgognes. Non era un vino prestigioso come lo è diventato ora. Il sistema di produzione vinicola è radicalmente mutato oggigiorno rispetto all'inizio del Novecento. Giono non ne poteva parlare e si è limitato a descrivere  in termini idilliaci la piccolissima produzione singola di allora. Si produceva male e si beveva.

Si può capire come l'autore sia diventato una guida per certe correnti ecologiste, anti-industrialiste, neoluddistiche. I suoi testi li trovo ambigui. Esaltano la povertà, l'autosufficienza alimentare, la cultura locale, i modi di vita ancestrali: pochi animali nelle case coloniche sparse nella Provenza, pochi metri quadrati di orto per famiglia. Solo quanto è necessario per vivere, e via di seguito. Si vedano le pagine dedicate alla vita rude nella valle di Asse, Alpi Marittime. Denigra lo sviluppo tecnologico, l'industrializzazione. Lo paragono agli autori che decantavano la vita alpina. Quel mondo povero è scomparso. Si è persa anche la filosofia della gente che lo abitava. E' un male? Non tutto il mondo che lo ha sostituito è bello. Va da sé, ma neppure quel mondo era idilliaco, piacevole. Era duro, molto ingiusto. La nostalgia inganna.

jeudi 7 décembre 2017

Premio letterario in Francia : il Goncourt 2017

Ho appena finito di leggere il libro del vincitore del Goncourt 2017, cioè il premio letterario più ambito in Francia. Quest'anno ha vinto  Eric Vuillard, con L'orde du jour, pubblicato da Actes Sud. Vuillard è un giovane, nato a Lione nel 1968. Premio meritato secondo me. Bella scrittura e racconto avvincente. Testo breve di 150 pagine in francese. Vi si descrive l'invasione dell'Austria ( l'Anchluss) raccontata con cortissimi capitoli che narrano la vicenda drammatica vissuta dai principali attori: i 24 magnanti della grande industria tedesca, Hitler, il povero popolo austriaco ( quello che ha accolto trionfalmente i nazisti e la piccola minoranza che ha resistito), il presidente dell'Austria Kurt von Schuschnigg, che non esce molto bene nel  libro,  il quale  ha finito per cedere alla prepotenza hitleriana e che è diventato nel dopoguerra nonostante tutto professore di scienze politiche in una università negli USA, gli ebrei austriaci. Spero che questo volumetto sarà tradotto in italiano da qualche editore illuminato.

mardi 31 octobre 2017

Non sparate sul...docente

Ho appena finito di leggere il libro di Eric Debarbieux intitolato appunto "Ne tirez pas sur l'école", Sottotitolo: "...Réformez-la vraiment". Editore Armand Colin, Parigi , uscito nel settembre di quest'anno.

Debarbieux insegna ora all'università di Creteil (periferia di Parigi) ed è stato per alcuni anni , delegato nazionale francese alla lotta contro la violenza scolastica, fuori e dentro le scuole. Di solito non leggo libri di pedagogia , ma questo di Dedarbieux mi intrigava, anche perché l'autore aveva scritto cose eccellenti sulla violenza scolastica. Il libro mi ha deluso. E' in realtà un pamphlet di difesa del corpo insegnante e di critica contro i tradizionalisti e gli anti pedagogisti. Piuttosto filo-governativo, nel senso che elogia  parecchie decisioni  ministeriali, ossia del centro o del livello scolastico più elevato, cioè il Ministero dell'Educazione Nazionale, che gestisce l'immenso apparato della scuola statale francese ( più di un milione di persone lavorano in questo servizio). Qua e là nel volume si difendono le molteplici decisioni in favore dell'inclusione degli studenti in gravi difficoltà scolastiche e in parecchie occasioni l'autore attacca i tradizionalisti , gli anti-pedagogisti, che rivendicano un ritorno alla scuola del passato. Con argomenti talora convincenti si dimostra che l'inclusione non è affatto una zavorra che frena i migliori. A questo riguardo l'autore cita a più riprese, senza nessuna distanza critica, i risultati dei quindicenni  francesi nell'indagine internazionale PISA e ne accetta il responso: i risultati dei Francesi sono quelli di un sistema scolastico non eccelso, né strepitoso né, pessimo.  Questa classifica va accettata e lui è uno dei rari in Francia che l'accettano, che ne parla, ma che non tira conclusioni catastrofiche. Mi vengono in mente le analisi di Denis Meuret, un economista che ha insegnato all'università di Digione, il quale  ha pure esaminato in modo molto più approfondito i  punteggi dei quindicenni francesi nell'indagine PISA e li ha interpretati in un'ottica comparata,  mettendo in evidenza  i punti deboli, i difetti,  della scuola francese. Il divario tra i due è enorme, anche se qua e là i due si assomigliano , quando per esempio comparano  i punteggi del sistema scolastico del  Québec con quello francese.

Debarbieux si è formato nel settore che un tempo si chiamava la scuola speciale, ossia nei servizi che cercano di evitare l'affondamento degli studenti, che li aiutano a stare a galla. E' favorevole a una scuola inclusiva, alle classi eterogenee, nelle quali convivono studenti forti e studenti deboli; L'inclusione è un compito immane anche se le percentuali del numero di studenti bisognosi di aiuto non è elevatissimo. I casi sono pero`molto complessi. Occorre essere preparati e forti non solo professionalmente ma anche mentalmente per tenere classi di pochi studenti totalmente persi, sbandati, restii a apprendere; isolati talora in casa, spesso nella scuola, sempre nella società; Molti casi sono gravi , con  studenti caratteriali, con problemi di comportamento, di inserimento sociale. Poi si è occupato di violenza scolastica , ha ampliato gli orizzonti e nel libro tratta della violenza in seno alle scuole, quella che esiste tra gli adulti dentro le scuole. Nel suo passato ha avuto un'esperienza nelle scuole di Freinet e se ne serve per mostrare tutta l'efficacia della cooperazione tra dirigenti, tra dirigenti e insegnanti,tra insegnanti e famiglie, e via dicendo. Ma anche la cooperazione non è semplice da gestire e da promuovere. Elogia i provvedimenti del Ministero che favoriscono questa prassi e denuncia la mancanza di mezzi.

Nondimeno il suo cavallo di battaglia restano gli anti-pedagogisti. Debarbieux non li sopporta e difende i pedagogisti che per lui sono la scuola russoniana, la nuova pedagogia,  Non cita le scoperte dei costruttivisti e difende a spada tratta le valutazioni che sono uno strumento per conoscere la realtà scolastica.

Per me Debarbieux resta ambiguo soprattutto quando parla di formazione iniziale degli insegnanti negli ultimi capitoli. E' molto astratto, parecchio teorico, privo di dati sicuri che né in Francia né in Italia ci sono ma che nelle università USA si producono sui modelli di formazione iniziale e in servizio degli insegnanti. Non solo teoria ma messa alla prova, raccolta di misure. Ci vuole ingegno, perspicacia per farlo.  Leggendolo, si capisce che la riforma della scuola sarà lentissima, che richiederà parecchio tempo, molto di più di quello che avevo pronosticato. Qualcosa cambia, non tutto quel che si fa è errato, i fondi mancano ma si può produrre molto con poco o nulla, i dati ci sono, si è cominciato a interpellare la realtà e a raccogliere informazioni su situazioni che un tempo si davano per scontate o peggio ancora come incommensurabili.

samedi 24 juin 2017

Il blog dell'OCSE sull'educazione

In una settimana il blog sull'educazione dell'OCSE ha pubblicato quattro post . I post sono contributi corti, di quattro pagine di solito , nei quali ci si concentra su alcuni temi a proposito dei quali si può' dire qualcosa di politico traendo osservazioni dai progetti sulla scuola dell'OCSE e soprattutto dalla miniera di dati  comparati raccolti con l'indagine PISA. Adesso si sfruttano le informazioni fornite nell'indagine PISA del 2015 che verteva principalmente sulla cultura scientifica e aveva un addentellato sulle conoscenze elementari di economia e finanze  dei quindicenni . Test tra l'altro molto bello Il blog e' in inglese. Non esiste una versione in italiano.

Ecco i quatto post di questa settimana:


Rethinking the learning environment by Rose Bolognini

http://oecdeducationtoday.blogspot.fr/2017/06/rethinking-learning-environment.html?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed:+EducationtodayBlog+(educationtoday+blog


Il post presenta i risultati di un progetto del CERI sui contesti scolastici (Innovative Learning Environments )

Priming up for primary school by Andreas Schleicher

http://oecdeducationtoday.blogspot.fr/2017/06/rethinking-learning-environment.html

Post del capo della Direzione dell'educazione dell'OCSE ehe commenta il primo insieme di indicatori comparati dell'OCSE sull'educazione prescolastica




Studying more may not make you a top-performer by Hélène Guillouel 
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Post che sfrutta i dati dell'indagine PISA gia' trattati da PISA in Focus No. 73. Gli studenti studiano anche in Finlandia.


Who makes it into PISA? by Nicholas Spaull

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Altro post che sfrutta la miniera di dati più' o meno comparabili dell'indagine PISA, in questo caso dell'indagine PISA 2015. Il post e' tecnico e tratta appunto di comparabilità', di classifiche . Mostra come i risultati della Turchia, del Messico, dell'Indonesia, del Vietnam possono essere interpretati in modo diverso se si tiene conto delle politiche scolastiche nazionali.

Tra questi quattro post mi soffermerei sul primo e sul terzo, Il post di Schleicher sull'educazione prescolastica riprende con dati alla mano una lunga serie di progetti dell'OCSE sull'educazione prescolastica iniziata allOCSE  nel 1975 . Gia' allora si sapeva  che i programmi di educazione prescolastica erano  benefici . Ma a quei tempi si riteneva che per riuscire ci volessero politiche sociali intersettoriali. Adesso ci si concentra sulle politiche scolastiche . Non a caso si parla di scuole materne e non di educazione prescolastica. L'obiettivo principale condiviso dalla classe politica e' la preparazione alla scolarita' vera e propria, ossia la metamorfosi del bambino in discepolo, in scolaro. Si ritiene che forse in questo modo si riusciranno a ottenere più risorse  per l'educazione prescolastica che gradualmente diventa' obbligatoria. Un'altra via per estendere i sistemi scolastici.Si inizia prima "la scuola" , mentre il miglioramento delle condizioni di vita dei poveri, dell'alloggio, della sanità per i piccoli, sono altri problemi. Oggigiorno si da' per scontato che le scuole materne sono un elemento del sistema scolastico. Nel 1975 ci si chiedeva se i Ministeri dell'Istruzione fossero competenti per attuare politiche intersettoriali per l'infanzia.





L'accountability: può risolvere i problemi della scuola?

Nel blog della fondazione USA  "Brookings Institution" ( Articolo in inglese, cliccare sulla  dicitura per accedere all'originale) ci si chiede se la rendicontazione , ossia se la trasparenza, o l'obbligo di rendere conto sono una soluzione per migliorare la scolarità'. La risposta data da due collaboratori della fondazione e' equilibrata: forse, talora, può succedere ma di per se' non basta. Dunque e' inutile fondare grandi speranze anche sulla "accountability " . A parte le difficolta' che si incontrano per attuarla, l'accountability  non risolve i problemi della scolarizzazione, ossia non concorre a migliorare la media dei risultati scolastici come si misura oggigiorno. Ci vuole altro. Nondimeno l'accountability e' un miraggio affascinante, accecante. Certamente laddove si riesce a attuarla qualcosa di buono succede. Ma la ricetta non e' universale e la politica scolastica deve correre alquanto non dico per imporla ma per attuarla. Imporre e' relativamente facile quando si padroneggiano le leggi dell'amministrazione statale e quando si controlla la propria maggioranza politica; attuarla e' invece un altro paio di maniche come lo dimostra il debole contagio dell'accountability nel settore privato.

vendredi 14 avril 2017

La lezione di domani ( ovverosia come saranno le lezioni di domani?)


E’ davvero interessante seguire cosa succede nel Quebec e in talune province canadesi (non in tutte) nel settore scolastico. A inizio aprile (dal 31 marzo al 2 aprile) a Montreal si e’ svolto un congresso sul tema « La lezione di domani ». Titolo bizzarro perché' presuppone che ci saranno sempre lezioni nelle scuole. Ne ha parlato  Ninon Louise Lepage nel sito di "L'école branchée" ( http://ecolebranchee.com/auteur/ninonlouiselepage/)

i metodi pedagogici tradizionali non funzionano più. Alcuni anni fa ( se non erro nell 2010) se ne era discusso a Torino in un convegno della Fondazione San Paolo che si era occupato di un giorno di scuola nel 2020. Lo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione galoppa e  tutti possono constatare che le giovani generazioni non apprendono più come quelle di una volta e nemmeno come le generazioni adulte odierne quando erano giovani. Si reagisce diversamente, si argomenta in altro modo, si e’ meno pazienti , ma i sistemi scolastici restano sempre molto ingiusti. Sul fondo poco e' cambiato anche se l'OCSE con l'indagine PISA dimostra che si può coniugare eccellenza e qualità', ma "vende"modelli scolastici ambigui e molto diversi tra loro come quello coreano e quello finlandese.





Nel convegno di Montreal non si e’ più  parlato di apprendimento. Ancora una volta si constata che le lezioni  o il tempo passato a scuola per acquisire  il sapere scolastico e  le conoscenze formali,( inutile parlare di classe perché la classe scompare poco per volta) per molta gente che opera nelle scuole o che va scuola,  sono l’ultima ruota del carro. Importa invece  formare cittadini impegnati, critici, lucidi, in grado di scuotere, di argomentare e di cooperare nell’esecuzione di un compito collettivo. Inoltre si ripete a iosa  che la generazione che si trova oggigiorno sui banchi di scuola sara’ confrontata  una volta entrata nella vita attiva ( cosi’ si dice per indicare la vita professionale) a comportamenti inediti. Ma e’ sempre stato cos’i almeno nell’epoca industriale. Mi ricordo di uno zio  attivo nella telefonia che nel corso della vita professionale dopo il 1930 ha dovuto cambiare più volte le sue abitudini di lavoro e apprendere mestieri diversi. Del resto le mie segretarie agli inizi della mia vita professionale non conoscevano ne’ fax ne’ computer e hanno dovuto adattarsi, ossia apprendere a servirsi delle TIC e a lavorare in modo diverso anche dopo avere oltrepassato i cinquant’anni. Dunque oggigiorno nel sistema scolastico si scopre l’America e si parla esplicitamente di sviluppo delle competenze. Ma il sapere formale  ,le conoscenze astratte dove sono andate a finire? Scordate? Non servono più oppure si evidenziano solo di tanto in tanto  quando si parla di crisi? In ogni modo insegnanti e esperti di pedagogia non parlano d’altro che di competenze. Questo e’ successo anche a Montreal. Una delle competenze e’ la perseveranza che un tempo era un elemento centrale nell’apprendimento scolastico. Oggi si insegna la perseveranza ma non la si pratica più come una volta perché’ le giovani generazioni perdono l’interesse per quanto fanno, molto in fretta. perché'  l’apprendimento scolastico non e’ più vissuto come un’ascesi , un sacrificio e questo e’ senz’altro un progresso , frutto di centinaia di indagini sullo sviluppo dell’intelligenza e le modalità di apprendimento, ma in taluni sistemi scolastici,almeno in  alcuni, si e’ passati con armi e bagagli sul fronte opposto e si ignora tranquillamente che l'apprendimento formale non e' affatto naturale,  che l’apprendimento scolastico e’ fors’anche qualcosa d’altro, che non si apprende fuori dalla scuola quanto si apprende a scuola ( vale pero' pure il contrario). La prova e’ che alla fin fine la selezione scolastica opera sempre a vantaggio di taluni e non di altri, nonostante il progresso considerevole della scolarizzazione. Mai infatti nella storia dell’umanità’ percentuali elevate di giovani hanno studiato a lungo nelle scuole, hanno conseguito un livello di conoscenze formali, sancito da diplomi scolastici,  elevato

lundi 27 mars 2017

Le Charter schools hanno 25 anni

Le prime Charter Schools negli USA sono state inaugurate 25 anni fa. Si trattava di un tentativo per rendere le scuole statali più autonome. Negli USA le scuole statali fruiscono di poca autonomia; esse sono infatti inquadrate dai distretti scolastici e dagli Stati. Il regime federalista che vige nell'ambito scolastico  statale USA toglie molta autonomia e indipendenza alle scuole.

L'idea alla base della proposta era interessante. Le scuole sarebbero state libere di impostare l'insegnamento a loro piacimento ma in compenso avrebbero dovuto gestire da sole tutti i costi di funzionamento della una scuola. Infatti agli istituti scolastici candidati a diventare Charter si sarebbe versato un capitale equivalente al calcolo del costo della scuola stabilito in funzione del costo pro capite di ogni alunno. Alle scuole spettava poi il compito di arrangiarsi e di decidere come utilizzare il malloppo.

A che punto si e' ora , 25 anni dopo?



Ne parla in un articolo Brian Jacob professore di politica scolastica alla Michigan University
(testo in inglese, consulente presso il Brookings Institute a Washington: https://feedly.com/i/entry/qyB+4hq9O++v4j3CBPyjWc931uH/3L3cJYpG5m+m+q0=_15b0f2da6fd:2a1bc36:5d3506aehttps://feedly.com/i/entry/qyB+4hq9O++v4j3CBPyjWc931uH/3L3cJYpG5m+m+q0=_15b0f2da6fd:2a1bc36:5d3506ae).

Il movimento delle Charter Schools e' cresciuto e in questo momento ci sono 6000 scuole Charter negli USA ( non molte se si pensa al numero delle scuole USA) e ha soprattutto cambiato di natura. Le Charter Schools non sono più una proposta per rendere le scuole statali più coraggiose ma un affare che permette a enti privati e alle chiese di aprire, grazie anche alla tolleranza delle leggi adottate in alcuni Stati per autorizzare l'apertura di Charter Schools,  proprie scuole. Insomma il quadro globale e' torbido e si può' dire che le Charter Schools abbiano perso le smalto iniziale ( alcuni difensori a spada tratta del servizio scolastico statale sostengono  anche che non lo hanno mai avuto). Per anni , ma questo elemento vale tuttora, si e' dibattuto  sulla bontà' delle Charter Schools rispetto alle scuole statali tradizionali.
Jacob cita svariate indagini recenti sulle Charter Schools, indagini di nuovo tipo, più rigorose, più  dettagliate secondo le quali la qualità' e l'efficacia delle Charter Schools in questi ultimi tempi e' migliorata ma la media delle prestazioni delle Charter Schools non supera quella delle scuole statali tradizionali. Ci si sarebbe aspettato qualcosa di più'. E' tra latro sorprendente constatare che le migliori Charter Schools del Texas. ( L'indagine sulle Charter Schools nel Texas si trova qui:  https://dl.dropboxusercontent.com/u/35897769/bchr_evolution.pdf. ) appartengono al movimento "Non ci sono scuse" ( in inglese " No Excuse") che adotta nelle scuole un regime molto autoritario, molta disciplina, esigenze elevate, molte ore di scuola ( si può fare l'associazione con le scuole coreane o polacche vantate dall'OCSE).

Anche nella Carolina del Nord le constatazioni sono pressapoco identiche a quelle fatte nel Texas, Dopo il 2000 le Charter Schools della Carolina del Nord sono migliorate, la popolazione studentesca che frequenta le Charter Schools e' cambiata, ci sono tra gli iscritti studenti eccellenti, il turnover degli studenti e' calato e le prestazioni degli studenti misurate con i test sono pari a quelle degli studenti nelle scuole statali tradizionali in inglese e leggermente migliori in matematica.

Peccato che stia andando on questo modo. Forse pero' questo e' inevitabile, I cambiamenti nel mondo scolastico sono lenti, le resistenze feroci, la politicizzazione e' inevitabile. Le Charter Schools negli USA sono diventate un tema polemico  e politico. In molto Stati la rivendicazione di scuola libere, autonome , viene dal centro destra mentre le forze della sinistra si schierano a difesa delle scuole statali.

vendredi 24 mars 2017

Selezione dei candidati all'insegnamento

Si potrebbe dire che questa e' l'araba fenice della formazione degli insegnanti. Coloro che vogliono diventare insegnanti dovrebbero per prima cosa essere valutati e selezionati . Non tutti possono diventare insegnante. Si suppone che una buona selezione in entrata ( cosi' si dice nel gergo scientifico) permetta di migliorare globalmente la qualità' degli insegnanti. Detto e fatto? No, perche' non e' affatto facile selezionare i candidati all'insegnamento.  Ci sono test a iosa di personalità ma nessuno ha dato fin qui soddisfazione. Se si fosse scoperto il test inappuntabile lo si saprebbe e tutti lo applicherebbero. Non e' purtroppo il caso. Quindi "cave canem": le soluzioni più attraenti non sono quelle più giuste e efficaci.

In questi giorni il Centro nazionale USA sulle politiche scolastiche ( Acronimo NCEP ) con sede presso la scuola di dottorato in educazione dell'Universita' del Colorado a Boulder ha pubblicato un documento molto critico riguardo a un'indagine del " National Council on Teacher Quality" che e'un ente privato USA costituito nel 2000 e molto vicino alla fondazione conservatrice Thomas Fordham che milita a favore delle Charter Schools. Nel documento si asserisce che per migliorare la qualità' degli insegnanti basta elevare gli standards di ammissione alla formazione iniziale . Il documento in inglese  si può consultare qui :
http://nepc.colorado.edu/thinktank/review-admissions




L'esame del documento e' stato effettuato da un gruppo condotto dalla prof,ssa Marilyn Cochran-Smith personalità' molto nota nel settore scolastico negli USA, che insegna al Boston  College. Il documento di valutazione prodotto dal NEPC lo si può consultare qui;
http://nepc.colorado.edu/thinktank/review-admissions

Gli esaminatori ritengono che il documento del NCTQ non fornisce gli elementi necessari per sostenere le raccomandazioni fornite nel testo. Il documento sarebbe assai debole poiché esprime molte affermazioni senza suffragarle da prove inconfutabili che dimostrerebbero la  validità'  di criteri più severi di selezione dei candidati all'insegnamento. Ogni raccomandazione si basa su un paio di citazioni che sono come la ciliegina sulla torta mentre si ignora la montagna di indagini svolte sulla questione che forniscono per esempio prove contrastanti e che indicano come la questione sia assai più complessa di quanto il documento suggerisca.  Per finire si afferma che il documento del NCTQ non serve gran che. In ogni modo e' poco utile come guida per i responsabili politici.

mercredi 22 mars 2017

Sindacati insegnanti inglesi

Mega fusione nel mondo dei sindacati degli insegnanti inglesi. Ne parla il servizio scolastico della BBC( testo in inglese:  http://www.bbc.com/news/education-39351936).

Si tratta di una mega-fusione tra due fortissimi sindacati: il NUT ( National Union of Teachers) e l' Association of Teachers (ATL). il nuovo sindacato degli insegnanti si chiamera' National Education Union ( acronimo NEU) e contera' più di 500.000 insegnanti. La NEU sarà' il sindacato degli insegnanti più potente di Europa e si può gia' sin da ora supporre che gli insegnanti inglesi detteranno legge sul piano europeo. Si deve sapere che le organizzazioni 
sindacali sono regolarmente consultate sia dall'UE che dall'OCSE o dall'UNESCO e che hanno un'attività' internazionale per nulla trascurabile. Spesso sono presi sottogamba da queste consultazioni molto formali, ma ogni tanto le rappresentazioni sindacali internazionali riescono a dire la loro sui progetti scolastici che sono loro sottoposti . Qui sta uno dei problemi. Spesso i temi sui quali si richiede il parere dei sindacati degli insegnanti sono temi marginali. La consultazione e' una farsa.

La fusione e' il frutto di una consultazione della base. Il 25% dei membri dell'ATL  ha espresso un parere favorevole alla fusione e il 25% dei membri del NUT pure. Le percentuali sono più elevate se si considera il numero degli insegnanti che hanno votato.

I due sindacati raggruppano insegnanti delle scuole primarie e secondarie.

Si ritiene che la fusione dei due sindacati di per se' molto combattivi non fara' altro che potenziare la voce sindacale nelle discussioni con il governo. Questo e' almeno l'intento della fusione e il parere dei due segretari generali  rappresentati nella fotografia della BBC. Il governo inglese per anni ha soffiato sul fuoco e contrapposto le due forze sindacali, Ora non potrà  più farlo.

Le mega-fusioni dei sindacati degli insegnanti sono rarissime. In genere succede il contrario. Gli insegnanti si dividono in gruppi disciplinari o di categoria per difendere a spada tratta interessi particolari. Questa frammentazione favorisce indubbiamente il gioco delle forze governative che possono sfruttare a loro agio le divisioni corporative del corpo insegnante. Apre pure sbocchi  professionali inediti agli insegnanti. Non si diventa sindacalisti per caso. Un esempio e' l'odierno ministro italiano della Pubblica Istruzione che proviene dal mondo sindacale ma non da quello degli insegnanti.La mega fusione si spera dovrebbe produrre anche un miglioramento delle analisi sindacali sulla scolarizzazione e quindi potrebbe indurre il mondo accademico a interessarsi delle questioni poste dall'evoluzione e dal finanziamento dell'istruzione. Forse si vedranno analisi più  raffinate sia da parte governativa che da quella sindacale a tutto beneficio della ricerca scientifica sulla scuola. Questo e' gia' successo negli USA dove i sindacati degli insegnanti gestiscono centri di ricerca scientifica propri che sfornano documenti brillanti.

Si può sperare che da questa fusione si esca dalla logica molto pragmatica delle rivendicazioni classiche dei sindacati degli insegnanti , troppo spesso concentrate sulla difesa del posto di lavoro, sulla moltiplicazione dei posti di lavoro, sulle retribuzioni, sui criteri di valutazione, sulla formazione iniziale degli insegnanti. Va anche detto che nel mondo inglese gli insegnanti hanno nel passato ottenuto vittorie consistenti come per esempio nel settore della formazione o dei piani di carriera, ma che spesso, nonostante scioperi rilevanti, gli insegnanti sono stati sconfitti, come per esempio nel caso della valutazione. I sindacati degli insegnanti inglesi non sono riusciti a impedire la pubblicazione sui quotidiani , da parte del governo dei punteggi conseguiti dalle scuole nei test.

lundi 6 mars 2017

Femmilizzazione della professione di insegnante

La professione di insegnante è diventata o sta diventando una professione monopolizzata dalle donne, ossia è una professione tipica del mondo femminile. Ci sono professioni tipicamente femminili e altre invece tipicamente maschili. Quella di insegnante è una professione vieppiù femminile.

Ne parla Dirk Van Damme, il capo della Divisione degli indicatori scolastici e della valutazione nella Direzione dell'educazione dell'OCSE nonché direttore del CERI,  il Centro dell'OCSE per la ricerca e l'innovazione nella scuola, nell'ultima versione del blog dell'OCSE sulla scuola (http://oecdeducationtoday.blogspot.fr/2017/03/why-do-so-many-women-want-to-become_1.html?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed:+EducationtodayBlog+(educationtoday+blog).

Van Damme aggiorna informazioni già note da decenni e dimostra con dati alla mano provenienti dalla miniera di dati comparabili dell'OCSE che la professione di insegnante si femminilizza a ritmo accelerato e fornisce un'informazione sorprendente connessa al livello salariale comparato delle donne insegnanti nelle scuole primarie rispetto a quello dei maschi con titoli simili che spiegherebbe almeno in parte l'attrazione della professione insegnante esercitata tra le donne. L'accelerazione della professione si osserva comparando per esempio la percentuale delle donne insegnanti nella scuola media nella fascia d'età inferiore ai 30 anni (ora superiore al 70%), mentre tale proporzione è del 65% nella fascia di età superiore ai 50 anni.

Van Damme conclude il blog affermando che l'uguaglianza di genere nella scuola, uguaglianza che non esiste affatto ( per esempio la proporzione delle donne preside o dirigenti di scuola è nettamente inferiore a quella degli uomini , oppure la proporzione delle donne nel settore  universitario -- nell'ambito internazionale si parla piuttosto di settore terziario -- è solo del 43%, nonostante l'assenza o la debolezza di disparità salariale tra gli stipendi delle donne e quelli degli uomini insegnanti. L'uguaglianza tra uomini e donne nella scuola  potrà essere raggiunta se al di fuori della scuola la disparità di rimunerazione tra uomini e donne non solo sparisca ma sia meno svantaggiosa per i maschi a parità di titolo e se ovviamente la politica scolastica diventi meno segregatrice nei confronti della donne che non lo sia oggigiorno ma si deve tenere conto del fatto che gli stipendi dei laureati uomini comparati a quello delle maestre che sono pure laureate sono in genere meno attraenti. .Questo divario vale anche per l'Italia.In altri termini è più vantaggioso per una donna scegliere di diventare insegnante delle scuole primarie che non praticare un'altra professione.

Quando ero bambino tra il 1946 e il 1950 negli anni di scuola primaria ho avuto quattro insegnanti maschi e una sola donna che è stata la maestra di prima elementare. Non ho mai avuto un direttore o un preside o un dirigente scolastico donna anche in seguito.Tutti i professori dell'insegnamento secondario furono maschi. Nessuna donna. I tempi sono cambiati in cinquant'anni   e muteranno ancora.

jeudi 2 mars 2017

Buoni scuola

Fatta la legge, fatto l'inganno.

Articolo in  inglese pubblicato nel New York Times del 2 marzo, a cura di Kevin Carey, su quanto succede nello stato dell'Arizona dove la maggioranza conservatrice ha imposto la libertà di scelta della scuola, dove esiste una percentuale molto elevata di "Charter Schools", dove la privatizzazione del servizio scolastico è assai spinta, dove la competizione tra scuole è elevata ed è stata adottata come  dottrina di stato nella politica scolastica. Ci sono furbi che approfittano ben bene dei buoni scuola. L'articolo è in inglese e si può leggere qui https://www.nytimes.com/2017/03/02/upshot/arizona-shows-what-can-go-wrong-with-tax-credit-vouchers.html nella versione originale.

La scuola in USA :marcia indietro?

Questo è un testo diffuso da Eva Baker su Facebook questa mattina 2 marzo 2017. Ho conosciuto Eva Baker quando dirigeva nel 1990 il  CRESST( il Centro nazionale USA di ricerca sulla valutazione, gli standards e i test degli studenti) all'università di Los Angeles( UCLA) e l'avevo invitata a Lugano al convegno del progetto INES nel 1991  sugli indicatori scolastici prodotti dell'OCSE, dove le avevo chiesto un intervento sugli insiemi di indicatori scolastici. Baker è stata decano ( si diceva così un tempo) del centro  di perfezionamento sulla scuola (Graduate School of Education) dell'UCLA e nel 2007 ha presieduto l'AERA ( American Educational Research Association). Questa mattina ( 2 novembre) chiede su Facebook di diffondere un messaggio di allarme avverso alle ultime decisioni prese dal Congresso USA in materia di politica scolastica.


Il progetto di legge 610 (Legge sulla  distribuzione dei  fondi federali per l'istruzione elementare e secondaria, sotto forma di voucher per studenti idonei e di abrogazione di determinate regole  relative alle norme sui criteri di distribuzione dei buoni pasto nelle scuole) in discussione al Congresso USA generalizza il sistema dei buoni scuola ( i vouchers) negli USA per tutti gli alunni dai 5 ai 17 anni e inizia la politica scolastica auspicata dal presidente Donald Trump di indebolimento della scuola statale con la generalizzazione del vouchers e il finanziamento delle politiche e delle esperienze di libertà di scelta della scuola.. Baker milita per la difesa della scuola statale ma anche per una valutazione corretta di quanto vi si svolge. E' una oppositrice della politica scolastica di Donald Trump. 

Mi sembra utile diffondere un testo come questo che illustra una tendenza in atto nelle politiche scolastiche. E' vero che non tutto luccica nella scuola statale, che ci sono molte ingiustizia, che le disuguaglianze non calano, che molti insegnanti non si curano affatto di quanto apprendono gli studenti e che fanno i loro comodi, ma non si deve neppure supporre che la scuola statale sia tutta marcia e che la si debba smantellare per migliorare gli apprendimenti degli studenti e per correggere le ingiustizie. Quindi è ottima cosa occuparsi di quanto succede nel mondo  scolastico ovunque e soprattutto seguire le mode, valutare le politiche, chiedere prove. Si può senz'altro migliorare l'istruzione e lo si deve anche fare non tanto per migliorare il rendimento economico ( il che conta, perché la distribuzione della ricchezza generata da una economia in espansione serve a tutti)  ma soprattutto per ottenere condizioni di vita migliori per tutti e ci si deve anche chiedere se la scuola statale sia proprio in grado di compensare le disuguaglianze sociali in materia di istruzione, se può essere migliore di quel che è. L'elevazione  dei livelli di istruzione da quando esiste il servizio statale di istruzione è innegabile ed è stato utile per molti ovunque. Per questa ragione il messaggio di allarme diffuso da Baker e consorti è interessante. Illustra una tendenza in atto e descrive una illusione diffusa. Lo riprendo nella versione originale in inglese. 

House Bill 610 makes some large changes. Inform yourselves.

This bill will effectively start the school voucher system to be used by children ages 5-17, and starts the defunding process of public schools.
In addition, the bill will eliminate the Elementary and Education Act of 1965, which is the nation's educational law and provides equal opportunity in education.
ESSA is a big comprehensive program that covers programs for struggling learners, AP classes, ESL classes, classes for minorities such as Native Americans, Rural Education, Education for the Homeless, School Safety (Gun-Free schools), Monitoring and Compliance and Federal Accountability Programs.
The Bill also abolishes the Nutritional Act of 2012 (No Hungry Kids Act) which provides nutritional standards in school breakfast and lunch.
Some things ESSA does for Children with Disabilities:
-Ensures access to the general education curriculum.Ensures access to accommodations on assessments.
-Ensures concepts of Universal Design for Learning
-Includes provisions that require local education agencies to provide evidence-based
interventions in schools with consistently under-performing subgroups.
-Requires states in Title I plans to address how they will improve conditions for learning including reducing incidents of bullying and harassment in schools, overuse of discipline practices and reduce the use of aversive behavioral interventions (such as restraints and seclusion).
Please call your representative and ask him/her to vote NO on House Bill 610 (HR 610) introduced by three Republican reps.
PLEASE copy and paste, don't just share. That limits it to friends we have in common.

vendredi 27 janvier 2017

La scuola di domani è nata

Mi capitano  sotto gli occhi i risultati del  sondaggio svolto dalla rivista USA Phi Delta Kappan sull'opinione degli Americani sugli obiettivi fondamentale della scuola ( sia statale che paritaria , come si dice in Italia, o privata o di altra forma, per esempio le Charter Schools). La scuola di domani si intravvede chiaramente in filigrana ( PDK,  novembre 2016, pag.7).
Per gli adulti USA, genitori di bambini frequentanti la scuola, i cinque obiettivi fondamentali della scuola sono i seguenti:


  • sviluppare buone abitudini  di lavoro ( 90% di risposte favorevoli);
  • fornire informazioni comprovate (85%);
  • sviluppare il pensiero critico (ossia non prendere tutto per oro colato, ma verificare) ( 82%);
  • preparare a diventare buoni cittadini (82%);
  • preparare a lavorare bene in gruppo (76%).
Nelle priorità non esiste né il nozionismo, né il calcolo, né la lettura, e tantomeno  l'apprendimento delle conoscenze di base dell'alfabetizzazione tradizionale( sapere scrivere correttamente per esempio, oppure conoscere a memoria le tabelline delle moltiplicazioni). Si è entrati in un altro mondo.
Mi ricordo che una decina di anni fa, quando ero a Ginevra, si fece un'indagine presso gli insegnanti della scuola elementare o scuola primaria, sulle priorità dell'istruzione scolastica e già allora , ma tra gli insegnanti, l'apprendimento delle conoscenze di base non apparve in prima linea. Se ben ricordo, gli insegnanti hanno collocato  al decimo posto nella lista degli obiettivi fondamentali dell'istruzione scolastica l'apprendimento delle conoscenze di base. I curricoli cambiano. Le attese sono altre. Non si scrive più, per esempio, in carattere corsivo da decenni e il corsivo forse sparirà anche nei sistemi scolastici che ne impongono l'apprendimento, come se fosse la sola calligrafia degna di nota.

I cinque obiettivi indicati come fondamentali dall'opinione pubblica USA per l'istruzione dell'obbligo elencano cinque competenze. Non si tratta più di apprendere nozioni. Questo non significa affatto eliminare la selezione scolastica perché ci saranno sempre i più competenti e i meno competenti. Si tratta di fissare il momento nel quale effettuare la selezione decisiva. Le classifiche non sono scomparse. Le scuole sono istituzioni designate ad effettuare questa selezione in età giovanile. Poi intervengono altre istituzioni e infine la selezione  finale avverrà probabilmente sulle nozioni. Il periodo della scolarizzazione si prolungherà, durerà più a lungo. Oggigiorno, nei paesi scandinavi, si frequenta la scuola fino ai trent'anni e forse di più. Adesso l'opinione pubblica e gli insegnanti concordano che la priorità della scolarizzazione sono le competenze: per esempio lavorare in gruppo, difendere le proprie opinioni senza azzuffarsi, fare valere i propri argomenti, sviluppare il pensiero critico, essere originali nei modi di argomentare e di pensare. 

Se si esaminano i programmi scolastici sviluppati nelle scuole odierne e se si comparano con quelli di cinquanta o sessant'anni fa si scopre che le mutazioni sono state enormi. Ai miei tempi la selezione scolastica per esempio si svolgeva su artrusi problemi di lavandini, di rubinetti e di scoli. Adesso la selezione scolastica è ancora ibrida. In parte si effettua sulle nozioni e in parte sulle competenze. Una forma, la prima, è esplicita, la seconda è ancora implicita.  Si giocherella, nelle scuole primarie, sui voti , sui colori delle notazioni, sulle lettere alfabetiche da utilizzare per classificare gli alunni, per valutare nel contempo  l'acquisizione di competenze e di nozioni. Nel sistema scolastico francese, gli insegnanti hanno ricevuto una tabella di valutazione delle competenze molto raffinata, lunga, ben fatta. Ovviamente l'uso da parte del corpo insegnante e del sistema scolastico  è stato fallimentare. Le famiglie hanno ricevuto per alcuni trimestri documenti complessi  che non hanno capito. Subito sono apparse  soluzioni di comodo, rapide e burocratiche, per compilarle. Le tabelle di valutazione delle competenze  non sono servite a nulla anche perché tali valutazioni non servivano a definire il curricolo scolastico individuale. Come ho già avuto modo dire non si può tenere il piede in due scarpe.   In ogni modo, la discussione sul tipo di voti è una discussione di retroguardia. Tra poco i voti scompariranno. Il percorso scolastico, il curricolo come si dice, cambia. Non  è più quello di mezzo secolo fa. Nella nuova scuola si apprende, ma si apprende qualcosa d'altro e le nuove forme di valutazione sanciranno il risultato conseguito dall'apparato scolastico, dagli insegnanti e dagli alunni che non è più quanto si apprendeva alcuni decenni fa ma però si continuerà sempre a selezionare nella scuola di base.


mardi 17 janvier 2017

Educazione prescolastica

Le solite stupidaggini: nel settimanale USA sulle politiche scolastiche "Education Week"  si pubblica  (l'11 gennaio 2017) un articolo ( di Sarah Spark) nel quale si sostiene con prove alla mano che gli studenti quindicenni che hanno conseguito punteggi elevati nel test PISA sulla cultura matematica svolto nel 2012 hanno in media effettuato almeno un anno di scuola per l'infanzia. Corbellerie simili, perché si tratta di corbellerie, indipendentemente dalla validità delle osservazioni,vengono scodellate regolarmente nelle analisi delle valutazioni soprattutto nei paesi nei quali l'educazione prescolastica è poco diffusa, come per esempio negli USA. L'argomento è utilizzato per convincere i responsabili politici e l'opinione pubblica che è giunta l'ora di sviluppare le scuole per l'infanzia, di generalizzarle.

Ci sono ricercatori che si presterebbero a qualsiasi esercizio pur di sbarcare il lunario. Come si fa a sostenere una cosa simile? Eppure si sfornano  prove che convalidano la pertinenza  di affermazioni   simili. Tesi: se si vogliono ottenere buoni risultati in matematica occorrerebbe cominciare presto e mandare i bimbi nelle scuole per l'infanzia , che un tempo erano semplicemente dette "asili".
Orbene, gli asili o le scuole per l'infanzia sono necessari per altri motivi, soprattutto per i ceti sociali poveri. Se poi chi frequenta quest'istituzione diventa una buon allievo, tanto meglio, ma diventare un buon allievo non è lo scopo primario dello sviluppo dell'educazione prescolastica.

In ogni modo la moltiplicazione delle scuole per l'infanzia è un fenomeno connesso all'espansione del sistema scolastico e al trionfo delle società scolarizzate. Più scuola si fa meglio è nelle società dominate dalla logica matematica deduttiva: le società funzionano meglio, si guadagna di più, si fanno affari migliori, il commercio andrà meglio e la disoccupazione calerà. Per questi e per altri motivi le politiche di espansione delle scuole per l'infanzia conosceranno un successo planetario, ma vale proprio la pena scomodare le valutazioni, sfruttare i punteggi ni test, tirare per i capelli le medie nelle prove strutturate somministrate a dieci anni di distanza dall'età buona per accedere alle scuole per l'infanzia, per impostare politiche a favore dell'infanzia e delle famiglie che sembrano ormai indispensabili.

A dire il vero l'articolo in questione ha un sottotitolo nel quale si dice anche che occorre essere cauti nell'interpretazione dei dati. Questo è il minimo che si poteva dire.

dimanche 15 janvier 2017

Asili nido

In Italia il governo propone l'istituzione di un sistema integrato di educazione ed istruzione per i bambini da 0 a 6 anni. La novità è di estendere il più possibile il servizio educativo per l’infanzia (in diverse forme, ma soprattutto asili nido e micronidi)  a tutto il Paese, fino a coprire entro il 2020 almeno un terzo della popolazione sotto i tre anni. La notizia proviene dal quotidiano La Stampa che ha pubblicato un commento del direttore della Fondazione Agnelli, l'economista Andrea Gavosto. La proposta emana dal precedente governo ed è stata ripresa da quello vigente.

Per prima cosa occorre rilevare che questo passo non costituisce una novità. E' da almeno dal 1970 che a livello internazionale si propone una politica integrata dell'infanzia, che esistono prove della bontà dei nidi dal punto di vista dello sviluppo dei bimbi, di quanto apprendono, che si  è dimostrato il beneficio economico per lo Stato della creazione dei nidi ( le madri che possono praticare una professione extra-domestica  grazie ai nidi dove si lasciano i bimbi, pagano le imposte sul loro salario), che si ammette l'alto costo dei nidi e anche la grande iniquità del sistema  che prevede al massimo l'accoglienza nei nidi del 30% dei bimbi piccoli. Questo tra l'altro è proprio l'obiettivo della legge delega italiana. Anche nei celebri asili-nido di Reggio i posti erano occupati dai bimbi delle classi agiate e non da quelli delle classi popolari le quali dovevano arrabattarsi per piazzare i bimbi in strutture diverse da quelle pubbliche. Quindi nulla di nuovo sotto il sole, ossia nulla che non si conoscesse già.

La novità più rilevante della legge delega italiana è la statalizzazione ambigua degli asili-nido. I comuni sono sempre responsabili della creazione degli asili-nido che sono però sovvenzionati dallo stato. Come lo rivela Gavosto la somma stanziata dalle autorità centrali per  promuovere la creazione di asili-nido in Italia è ridicolmente bassa. Ma questa è un'altra faccenda, tipica di un paese nel quale alle buone intenzioni non seguono i fatti. Resta comunque il tentativo di dimostrare che le iniziative governative a livello di ministero e quindi dell'amministrazione centrale sono in grado di suonare la sveglia, di scuotere i comuni dal  torpore, di sostituire lodevoli iniziative locali, comunali, con iniziative centrali. Questa è davvero una beata illusione. I comuni tenteranno di liberarsi dall'onere dello sviluppo e della gestione degli asili-nido e si appoggeranno sulle fumose proposte dell'amministrazione centrale. Se ci sono sovvenzioni stanziate dal governo romano perché non approfittarne? Le condizioni poste per ricevere le sovvenzioni non sono un capestro. Si può fare. In questo modo la statalizzazione dell'istruzione pubblica in Italia continua, a scapito del buon senso secondo il quale la decentralizzazione è di gran lunga più efficace.

Infine non si può non sottolineare il fatto che la legge delega sugli asili-nido sancisce il progresso della società secolarizzata. Tutti a scuola . Della scuola non se ne può fare a meno. Poco importa che la scuola sia buona o meno. Del resto si prendono provvedimenti per fare in modo che sia buona ovunque, come per esempio la formazione iniziale prolungata delle insegnanti agli asili-nido. Che poi questo passo  di per sé lodevole generi automaticamente la bontà delle prestazioni è un altro affare.

samedi 14 janvier 2017

Naturalizzazione agevolata in Svizzera

Il prossimo 12 febbraio i cittadini svizzeri sono invitati a votare su una modifica della costituzione federale decisa dal Parlamento che agevola la naturalizzazione degli stranieri della terza generazione. Qualsiasi cambiamento della costituzione va sottoposto in Svizzera a una votazione popolare e la proposta di modifica passa solo a doppia maggioranza, ossia se è accettata sia dalla maggioranza dei votanti sia dalla maggioranza dei cantoni ( le Regioni in Italia, i Länder in Germania e via di seguito).

In Svizzera non esiste lo "ius soli". Ciò significa che chi nasce in Svizzera  non diventa automaticqmente svizzero se i genitori sono stranieri. Si resta stranieri. Prevale , nel linguaggio giuridico, lo "ius sanguinis".

La naturalizzazione in Svizzera è un cammino del combattente che solo una minoranza di stranieri domiciliati in Svizzera magari da anni o magari nati in Svizzera e scolarizzati in Svizzera intraprende. In genere, si può presentare una domanda di naturalizzazione solo se si è domiciliati nello stesso comune da almeno un decennio. Il Parlamento elvetico non cambia questa pratica ma chiede soltanto di agevolarla per la terza generazione. Del resto , le condizioni previste dalla legge sono drastiche e sono le seguenti:

  • non avere più di 25 anni;
  • essere nato in Svizzera e avervi frequentato per almeno cinque anni la scuola dell'obbligo;
  • uno dei genitori deve  avere soggiornato in Svizzera per almeno dieci anni, avere frequentato la scuola dell'obbligo per almeno cinque anni;
  • uno dei nonni almeno deve essere stato domiciliato  in Svizzera ( il domicilio lo si ottiene a determinate condizioni) o essere nato in Svizzera.

Quando sono stato direttore dello SRED a Ginevra ho chiesto ai collaboratori che curavano la statistica scolastica del Cantone di considerare svizzeri tutti gli studenti nati in Svizzera e che avevano frequentato le scuole statali in Svizzera. Nondimeno, in ossequio a una fobia elvetica, il numero di questi studenti è stato anche pubblicato nelle tavole in una colonna a parte riservata al totale degli studenti stranieri per anno di scuola e per ordine di scuola, ossia al numero di studenti privi di passaporto elvetico inscritti nelle scuole.

Mi sembra che sia del tutto logico dare  alla seconda e a maggior ragione alla terza generazione di stranieri nata e scolarizzata in Svizzera la nazionalità elvetica. In questi giorni ho purtroppo letto inviti pubblicati su Facebook a rifiutare l'agevolazione della naturalizzazione. Trasecolo e non capisco come si possa formulare una argomento simile. Cerco di capire come mai persone istruite e colte possano opporsi a una proposta che mi pare del tutto sensata, anche se non ne condivido la prudenza che la inspira e le restrizioni imposte nella procedura di agevolazione. 

Mi ricordo che quando ero piccolo mio padre era uno specialista delle naturalizzazioni. Prendeva in mano le richieste, ne ponderava la chances di successo o di insuccesso, preparava i candidati che allora ( magari ancora oggi) nel Ticino dovevano sottoporsi a un esame per comprovare la loro conoscenza della storia e della geografia del paese, e gongolava quando dopo due o tre anni di incontri, di procedure, le persone ottenevano la cittadinanza elvetica. Era una festa. Giravano anche soldi. L'operazione per lui aveva un senso compiuto solo se i nuovi elettori riconoscenti avrebbero votato per il suo partito.

Non abito più in Svizzera. Suppongo che il patriottismo e il nazionalismo non siano scomparsi, che molte persone ritengono ( ne sono convinte) che la nazionalità implica un determinato modo di pensare, il rispetto di taluni valori, e anche alcuni obblighi. Non è concesso a tutti di essere un cittadino, più o meno buono, di un determinati paese. 

Non credo alle fandonie della naturalizzazione e faccio quindi fatica a entrare nei ragionamenti dei difensori della nazionalità. Sono davvero sorpreso quando si proclamano valori connessi alla nazionalità e all'identità, come se questi dipendessero dal possesso di una determinata cittadinanza. Questo succede un po`ovunque in questi  tempi. Non sono nemmeno un ingenuo e ammetto che la nazionalità fornisce privilegi e vantaggi a coloro che ne posseggono una piuttosto che un'altra. Per esempio, determinate carriere pubbliche sono precluse a chi non ha una determinata cittadinanza in un determinato paese. Allora ci si oppone allo "ius soli", ossia alla cittadinanza attribuita automaticamente a chi nasce in un certo territorio. Il nazionalismo non è ancora del tutto scomparso , le frontiere politiche continuano a operare e  a essere ritenute una barriera protettiva. Di cosa? Di quali privilegi accessibili a una piccola minoranza?