samedi 27 décembre 2014

Valutazione del sistema scolastico del Canton Ticino (Svizzera Italiana)

Me ne sono andato(ossia ho dato le dimissioni da insegnante) dalla scuola statale del Canton Ticino nel lontano 1969. Il sistema scolastico  attuale non lo conosco. Leggo su Internet che una grande riforma scolastica  è progettata nel Ticino. Ho il quadro teorico in mano e lo leggerò. Non sono di queste intenzioni che intendo parlare qui. Mi preme solo segnalare che i quindicenni che frequentano la scuola ticinese statale non brillano nei test comparati internazionali come quelli dell'indagine PISA, test ben fatti e suppongo anche coscienziosamente svolti nel Ticino. Ciò non succede ovunque. I punteggi dei Ticinesi sono tra i più bassi di quelli dei sistemi scolastici elvetici che nel 2012 hanno partecipato all'indagine PISA e la media dei Ticinesi quindicenni in cultura matematica è  inferiore a quella lombarda, se non erro. Ammetto che la valutazione della cultura matematica dei quindicenni non è il metodo unico per giudicare la qualità di un sistema scolastico e che ci sono miglioramenti da studiare e attuare quando si valuta, quanto si apprende a scuola e come ho già detto più volte non tutto quello che si impara a scuola è importante e molte nozioni rilevanti per la vita quotidiana (questa è l'ambizione dell'indagine PISA) si apprendono fuori dalla scuola, per cui la valutazione delle conoscenze dei quindicenni in tre rami ( cultura matematica, cultura scientifica e comprensione dei testi scritti) di per sé non basta per giudicare la bontà di un sistema scolastico, ma gli strumenti che l'OCSE produce non sono affatto male e sono approntati da specialisti mondialmente noti.

Scrivo di queste cose non solo perché me ne intendo un poco di valutazione ma perché la valutazione degli studenti con strumenti nuovi, la valutazione delle scuole, quella degli insegnanti e "dulcis in fundo" dei sistemi scolastici è una delle caratteristiche della politica scolastica contemporanea.
Non so neppure se nel Ticino ai quindicenni nella scuola è stato somministrato lo strumento OCSE-PISA sulle conoscenze finanziarie, che era opzionale  nel 2012, ma che alla fin fine va considerato uno strumento eccellente e per di più è il segnale dato dall'OCSE di valutazione di altre conoscenze, di altri saperi spesso non previsti, fortunatamente, nei programmi scolastici ufficiali. L'OCSE - PISA con questo strumento ha aperto una finestra su un campo nuovo .

Varrebbe pure la pena ricordare che uno dei criteri costitutivi dell'indagine OCSE-PISA è  la valutazione della cultura e non di quanto si apprende a scuola. La valutazione del sapere scolastico insegnato nelle scuole esige altri strumenti. La connessione dei punteggi conseguiti dai quindicenni nei test OCSE-PISA con gli apprendimenti scolastici è una forzatura proprio perché questi test sono stati concepiti "curriculum free", ossia indipendentemente dai programmi scolastici proprio perché è estremamente difficile costruire un'indagine internazionale comparata collegata ai programmi scolastici che variano da un sistema scolastico all'altro: in alcuni sistemi scolastici per esempio si prevede di insegnare il calcolo delle probabilità, in altri no; in alcuni il teorema di Pitagora lo si affronta in seconda media e in altri invece in terza; e via dicendo. Non ci sono regole. Occorrerebbe un servizio di valutazione locale per svolgere la valutazione del sapere scolastico, ma ciò costa e l'indagine elvetica Harmos che si farà per la prima volta nel 2015 non è sensibile a questi aspetti. Tra l'altro il mondo scolastico elvetico da decenni ( ci sono documenti in merito che risalgono al 1930-35) è ostile alla valutazione scolastica con test, ha partecipato per la prima volta a un test internazionale di valutazione nel 1990 ( il test dell'IEA "Reading Literacy") e non tutti i sistemi scolastici elvetici hanno partecipato ai test OCSE-PISA oppure ai successivi test dell'IEA, taluni dei quali erano invece molto interessanti, come per esempio il test sulla cultura civica, ma in Svizzera non si formano specialisti della valutazione nelle università. Allora si sta alla larga o si critica questo approccio . Harmos è un'eccezione che ha una strana storia alle spalle la quale viene dalla Germania, un paese che come la Svizzera non ha un sistema scolastico centralizzato, unico, ma ha un sistema scolastico federalista. Non a caso i lavori per l'indagine Harmos sono iniziati con la traduzione dal tedesco di un documento prodotto in Germania. La Svizzera , anzi la Conferenza dei Capi di Dipartimento dell'istruzione Pubblica ha pagato la traduzione e la ristampa del documento.

samedi 13 décembre 2014

Globalizzazione delle politiche scolastiche

Le politiche scolastiche si copiano e se non si copiano, in ogni modo si imitano l'un l'altra. I temi che trattano sono in genere identici anche se le soluzioni non lo sono perché devono tenere conto dei contesti e delle tradizioni amministrative locali. Ogni sistema scolastico  suppone di essere originale, unico. Invece non è proprio il caso.
Il "la" dell'omogeneizzazione dei sistemi scolastici è dato dalle organizzazioni internazionali; un tempo l'Unesco , adesso, da un ventennio, dall'OCSE. Non certamente dall'Unione Europea, almeno fin qui. Magari è un bene che sia così anche se nell'Unione Europea c'è chi lavora come una talpa e scava progetti di politica scolastica e curricoli sotterranei senza essere pagato un gran che , ma si sa che gli insegnanti lavorano volentieri per la causa a gratis.

E' stato recentemente pubblicato il 12 novembre scorso dalla rivista USA "Teachers College Records" di New York  un carteggio sulla globalizzazione dell'istruzione scolastica  che tratta un aspetto della globalizzazione in corso n sette 1 ci siei sistemi scolastici con il caso della rendicontazione , bruttissima parola che traduce quella inglese di "accountability": il rendere conto di quel che si fa. Il carteggio è intitolato:

Accountability: Antecedents, Power, and Processes


e contiene quattro articoli  di autori assai noti per le loro critiche ai programmi delle organizzazioni internazionali:

Heinz Dieter Meyer, Daniel Tröhler, David F. Labaree e Ethan Hutt. 

Chi sono gli autori?

  • Meyer è professore associato all'<università di New York, Albany;
  • Tröhler è professore di scienze dell'educazione e direttore della scuola di dottorato dell'Università del Lussemburgo;
  • Labaree è professore di scienze dell'educazione a Stanford e presidente del gruppo di materie SHIPS ( scienze sociali, scienze umane e studi politici interdisciplinari);
  • Hutt è professore al College Park dell'Università del Maryland. 


L'editoriale, ovviamente in inglese, come del resto gli articoli,  si cita nel modo seguente: Teachers College Record, Volume 116, Number 9, 2014, p. , (http://www.tcrecord.org, ID Number: 17547)

Vale la pena riprendere alcuni spunti di quest'articolo che contesta la pertinenza del concetto di autonomia scolastica.


L'accountability


Il tema dell’accountability è ormai diventato secondo I quattro autori la norma nonché un tema dominante del discorso pedagogico contemporaneo. Tutto ciò ha permesso di legittimare la trasformazione della teoria scolastica da un progetto educativo, sociale e culturale a un progetto economico che genera "competenze" utilizzabili nella vita quotidiana. Questo numero speciale della rivista "Teachers College" tenta di illustrare questa evoluzione.. Nei quattro articoli si trattano gli antecedenti storici, il quadro teorico, i cambiamenti in corso dal punto di vista del rapporto di forze tra i vari responsabili dell'istruzione e le famiglie o i responsabili dell'istruzione e dell'educazione dei bambini e degli studenti.


Gli autori concordano nel fatto che l'indagine dell'OCSE PISA nonché il programma USA « Race to Top » abbiano aperto la strada a questa ondata che travolge tutto il discorso pedagogico contemporaneo. Una ventina di anni fa nessuno parlava di accountability mentre invece questo stesso concetto è diventato centrale oggigiorno nel discorso pedagogico ufficiale. Vent'anni fa nessuno si sognava di utilizzare questo concetto nel senso che ha acquistato nel mondo contemporaneo. Tutto ciò è sorprendente se si pensa al fatto che i promotori dell’ accountability affermano di considerare con estrema cura la proposta perché si tratta di far passare il servizio scolastico statale attraverso la cruna di un ago.


Come è stato dunque possibile arrivare a questo punto? Come si è giunti a ritenere l’accountability l'ancora di salvezza delle riforme scolastiche contemporanee? Come l’accountability è diventata la giustificazione delle politiche che mirano alla produzione di un curricolo centralizzato, all'elaborazione di schemi per la valutazione degli insegnanti basata sui punteggi dei loro studenti nei test, alla prospettiva di chiudere le scuole che non ce la fanno a migliorare?


Questa evoluzione secondo gli autori degli articoli inclusi in questo numero speciale della rivista emergerebbe dall'intersezione di discorsi politici nazionali e internazionali nei quali reti politiche transnazionali e organizzazioni internazionali come l’OCSE o la  Banca mondiale giocano sempre più un ruolo centrale. Gli attori di queste reti operano ad una certa distanza dai meccanismi tradizionali del controllo democratico. In questo mondo, idee provenienti dalla periferia del discorso politico posso essere rilanciate e amplificate da un punto centrale come lo è per esempio l’OCSE  ( mi viene in mente il romanzo di Stephen King, Il duomo. Non so se il titolo sia stato tradotto in questo modo in italiano). Da qui, ossia da questo punto di catalizzazione,  possono essere rilanciate con maggior forza verso la periferia ed inevitabilmente finiscono per modellare le attività di riforma scolastica nei cinque sistemi scolastici. Abbiamo un brillante esempio di questa procedura in Italia. Politiche che potrebbero essere molto ostacolate a livello locale diventano irresistibili quando sono offerte od  imposte con un consenso non contestato dalle democrazie "imperiali" che governano il mondo contemporaneo. In questo modo si omogenizza ciò che è eterogeneo con imposizione di standard unici e di una metrica che fa da referenza a tutti risultati. Inoltre il centro delle decisioni politiche  sfugge di mano ai professionisti locali dell'istruzione e si annida in istituzioni parastatali e in storie nazionali forgiate da una piccola elite di esperti. Infine, si opera uno slittamento da il governo decentralizzato dell'istruzione e del sistema scolastico a un governo centralizzato dell'istruzione e delle politiche scolastiche con l'imposizione di direttive alquanto rigide.


L'agenda dell’accountability deriva alquanto dalla quasi evidenza e dalla popolarità delle idee del sistema democratico. dove i dirigenti politici sono responsabili della vitalità democratica del buon governo. Ma nel sistema democratico, i dirigenti politici sono sanzionati U possono essere sanzionati nel corso delle elezioni ed in modo devono tenere conto quando decidono dal contesto. Tutto questo non è previsto dall’accountability scolastica imposta nelle discussioni dagli organismi internazionali o nelle sedi internazionali o nelle analisi delle indagini internazionali. I criteri utilizzati per giudicare la rendicontazione sono insensibili alla varianza del pubblico e dei luoghi. Per gli autori, degli articoli pubblicati in questo numero speciale, il tema dell'accountability meriterebbe di essere ulteriormente approfondito. È indubbio che quando le scuole sono rese responsabili dei risultati migliorano ed è questo quanto conta. Il problema risiede nella definizione dei risultati. Di quali risultati un insegnante, una scuola, un dirigente sono responsabili?



Fino ad una quindicina di anni fa nessuno parlava di accountabiliy. Si parlava piuttosto di autonomia. Solo in rari casi si accennava ad un regime scolastico impostato sull' accountability. L'autonomia scolastica è connessa all' accountability ma non è la stessa cosa.Una scuola autonoma non è necessariamente tenuta a rendere conto di quel che fa e di quanto ottiene con gli studenti che la frequentano e gli insegnanti che vi lavorano. Del resto fino ad ora non si è ancora deciso di cosa le scuole debbano occuparsi nel XXI secolo. La tendenza dominante resta quella antica: le scuole dovrebbero  occuparsi di tutto. E' probabile che questa via non potrà più essere seguita in futuro. Il curricolo scolastico andrà rivisitato e ridotto. 

Rendere conto però è meglio. Si potrebbe associare il termine accountability a trasparenza.Le scuole dovrebbero essere trasparenti e il più delle volte sono invece opache. A questo punto ci sarebbe chi potrebbe contestare la fattibilità della trasparenza. Non tutto quello che succede in una scuola può essere reso trasparente. Il che vorrebbe dire che la scuola, gli insegnanti, il dirigente non deve rendere conto di tutto quanto capita nell'istituto. Forse nelle scuole come sono oggi questa è una pratica razionale ma ci si può chiedere se nei prossimi decenni, nelle scuole di domani, questa regola potrà ancora sopravvivere. Temo occorrerà rassegnarsi ed apprendere a rendere conto di poche cose essenziali. Ma per farlo si deve apprendere, dei limiti vanno posti: a chi rendere conto, come? Indubbiamente la scopiazzatura di relazioni di fine anno dello stesso calibro non sono un modello corretto per rendere conto , per essere "account", per praticare l'"accountability".

vendredi 12 décembre 2014

Compiti a casa

Altra bella scoperta dell'indagine PISA 2012: chi fa più compiti a casa, chi lavora a casa su quanto fatto a scuola, riesce meglio in matematica e ottiene punteggi migliori nel test di PISA sulla cultura matematica. E' quanto affermato nel blog dell'OCSE "educationtoday" dell'11 dicembre 2014 dall'editore in capo Marilyn Achiron.

Dunque i compiti vanno fatti ma il problema è che non tutti i quindicenni vivono in ambienti domestici dove si possono fare i compiti. Acheron e forse nelle analisi dei risultati PISA si propone di botto la soluzione. Presto detto: chi non può fare i compiti a casa li fa a scuola e poi spetta agli insegnanti convincere i genitori o le famiglie o i tutori che sarebbe bene far fare subito i compiti appena si rientra da scuola, prima di accendere la televisione oppure prima di giocare alla playstation oppure prima di uscire di casa o di scappare dagli appartamenti-tuguri per giocare con i compagni o con gli amici. Visione poetica ed angelica dell'OCSE. Bisognerebbe rendersi conto che gli insegnanti non hanno il tempo per andare a spiegare queste cose ai responsabili degli studenti e che soprattutto non sanno farlo. 


In ogni modo non ci sono dubbi secondo il punteggio del test PISA: chi fa compiti di matematica a casa ha un vantaggio nel test PISA sulla cultura matematica di ben 6 mesi o più rispetto ai compagni quindicenni che invece non fanno i compiti. Resta sempre aperta la questione sullo scopo di PISA che non valuta quando si apprende a scuola. Ma questa è un'altra questione che non va scordata.

Ovviamente, la maggioranza degli alunni che non fanno compiti a casa provengono dai ceti sociali poveri e non da quelli benestanti. Da qui l'altra soluzione estremista che non ha mai funzionato fino ad ora: non dare più compiti da fare a casa. Tutti su un piede di uguaglianza. SI va a casa senza nulla. 

Nel blog dell'OCSE si citano in esempio svariati sistemi scolastici asiatici ma non si dice nulla sulle lezioni private in voga in questi paese nel doposcuola, pagate da chi è ricco. Il fenomeno è stato ben studiato all'università di Hong-Kong e dall'IIEP (http://www.iiep.unesco.org/en/contact-213) dell'UNESCO.

Si potrebbe aggiungere che ci sono studenti delle classi medie e medio-alte che fanno un minimo di compiti, che giocano alla playstation quando arrivano a casa perché in casa non c'è nessuno, e che nondimeno riescono bene a scuola. Il problema qui non sono i compiti. La scuola li può assegnare ma i compiti si possono svolgere in quattro e quattr'otto, all'ultimo momento , prima di andare a letto, dopo cena. Il successo scolastico non si misura solo con i punteggi conseguiti nel test di cultura matematica, ma si consegue anche in altri modi. Ciò vuol dire che i migliori studenti non sono necessariamente quelli che fanno i compiti con diligenza.

Resta comunque il fatto che chi lavora a casa dopo scuola su quanto fatto a scuola  riesce meglio e assimila meglio il sapere scolastico nonché i suoi addentellati che non i compagni che invece non fanno nulla appena usciti dalle lezioni.  L'indagine PISA 2012 conferma con prove alla mano quanto il buon senso ha sempre fatto ritenere. Dunque altro punto fisso: non è il tempo dedicato ai compiti a casa che conta.

Per ulteriori informazioni si veda anche il bollettino PISA in Focus no.46 che esiste anche in francese e che è gratuito ( http://www.oecd-ilibrary.org/education/les-devoirs-entretiennent-ils-les-inegalites-en-matiere-d-education_5jxrhqhj9rjd-fr).

Chi vuole divertirsi può anche prendere in mano le analisi di PISA e fare confronti tra sistemi scolastici. Lo ha fatto il Corriere della Sera. Questo esercizio non vale proprio nulla perché non si conoscono le condizioni nelle quali i compiti a casa sono fatti e nemmeno il tempo reale dedicato dai quindicenni ai compiti. Non si scordi infine che nell'indagine PISA  non si studiano i comportamenti degli studenti delle scuole primarie né quelli dei liceali. L'indagine PISA vale solo per un campione di quindicenni a scuola.

vendredi 5 décembre 2014

Benefici economici di una istruzione scolastica più equa

Il Centro Nazionale USA sulle politiche scolastiche insediato presso la scuola di dottorato sull'istruzione dell'Università del Colorado a Bolder (acronimo NEPC) ha pubblicato in questi giorni un'interessante analisi di una pubblicazione intitolata "Economic Benefits of Closing Educational Achievement Gaps" condotta proprio a Bolder a cura del  Think Twice da  due noti ricercatori nel settore della valutazione scolastica , Robert Lynch and Patrick Oakford, e che si può trovare al seguente indirizzohttps://www.americanprogress.org/ issues/race/report/2014/11/10/ 100577/the-economic-benefits- of-closing-educational-achievement-gaps/

Il tema è iper-discusso negli USA dove Eric Hanushek, noto anche in Italia , ha condotto svariate indagini sulla questione che sono state riprese anche dall'OCSE. L'autore della verifica è Clive Belfield, del Queens College, City University of New York, ossia uno specialista indipendente. Non esiste purtroppo una versione in italiano. Si riporta qui di seguito il comunicato stampa del NEPC che annuncia la pubblicazione dell'esame la quale è favorevole allo studio di Lynch e Oakford. L'indagine dimostra che se si riducesse il grande gap che esiste nei risultati in matematica  tra studenti bianchi e studenti ispanici il sistema economico USA ne trarrebbe un vantaggio di 20 miliardi di dollari entro il 2050 e il gettito fiscale ovviamente aumenterebbe. Belfield ritiene che l'indagine non è molto errata e dimostra che l'istruzione scolastica se migliorasse e se riducesse il divario di risultati scolastici in matematica tra classi sociali potrebbe essere alquanto utile all'economia USA. In fondo queste indagini sono effettuate con i dati delle valutazioni svolte oggigiorno per dimostrare con prove alla mano e con proiezioni talora rischiose che l'istruzione scolastica serve, che la scuola è utile, che il servizio scolastico statale deve migliorare perché se ne traggono grandi benefici. 

Queste indagini in Italia sono tentate dalla Banca d'Italia e dagli economisti ma non dai pedagogisti o dai valutatori che sono affaccendati in tutt'altre faccende. Ecco il comunicato stampa in inglese che si può`leggere al seguente link http://tinyurl.com/l533jns:

Past research suggests that the economic well-being of a society is related to the health and success of the society’s educational system. A new report estimates that if Black and Hispanic high school math scores increased to become equal to those of White high school students, the size of the U.S. economy would increase by $20 trillion by 2050. It also projects that tax revenues would rise by $4 trillion for federal and $3 trillion for state and local. The report therefore argues for substantial public investment aimed at closing achievement gaps.
 
However, a review published today concludes that, while the new report’s broader claim that closing achievement gaps would likely produce economic gains is sound, the report’s specific calculations are insufficiently supported by detail and checks of accuracy.
 
Clive Belfield, of Queens College, City University of New York, reviewed The Economic Benefits of Closing Educational Achievement Gaps for the Think Twice think tank review project at the National Education Policy Center, housed at the University of Colorado Boulder’s School of Education.
 
Belfield is an economist whose research focuses on resource allocation and cost-effectiveness. The Economic Benefits of Closing Educational Achievement Gaps, by Robert Lynch and Patrick Oakford, was published by the Center for American Progress.
 
Belfield’s review points out that the report lacks sufficient detail concerning its calculations of the economic benefits and fails to check the accuracy of its estimates. Additionally, he writes, “these estimates rely on a single study, and that study has limitations: it looks across countries rather than at the U.S. economy, and it implies a very powerful role for cognitive skills (test scores) over behaviors.”
 
The study’s plausible overall premise is that it makes sense to reduce educational gaps in the name of both efficiency and equity. But the economic model it uses lacks the detail required to judge the premise’s accuracy. “In order to be fully convincing, an economic model needs to be transparent in how the calculations are made and incorporate extensive sensitivity testing,” he writes. The model should also fully justify the focus on closing achievement (e.g., test-score) gaps rather than, for example, gaps in attainment (e.g., high school graduation). “Only then,” Belfield concludes, “will the actual numbers generated by the economic models be useful for a calculation of how much to invest in our long-term future from purely an efficiency perspective.”

mardi 2 décembre 2014

Formazione professionale

L'organizzazione della formazione professionale è un incubo sia in Italia che in Francia. In questi due sistemi scolastici la formazione professionale è prevalentemente scolastica. In Italia si svolge negli ITS e in Francia nei licei professionali. In entrambi i casi , in genere, si tratta di buone formazioni, di un eccellente livello. La parte dedicata alla formazione professionale  vera e propria è pero`talora alquanto ridotta.
In entrambi i sistemi scolastici il problema finora irrisolto è quello dell'apprendistato, ossia della formazione professionale svolta parte in azienda e parte a scuola. La percentuale di minori apprendisti come li ha definiti Livio Pesce è molto bassa e peggio ancora, laddove si è riusciti a istituire forme elementari di apprendistato non esistono possibilità di carriera. L'apprendistato è una scelta negativa, per chi non ha più nessuna volontà di formarsi a scuola.

Mi piace ricordare che in Germania un buon quarto degli studenti che conseguono la maturità non va all'università ma inizia un apprendistato professionale e che in Svizzera ci sono professioni alle quali si accede solo con l'apprendistato, che in certe professioni esiste perfino una lista d'attesa per iniziare l'apprendistato e che un apprendista puo`, se lo vuole, conseguire la maturità e andare all'università. Inoltre, molti posti di dirigenti aziendali, bancari, politici sono occupati da ex-apprendisti. In altri termini, dalla gavetta dell'apprendistato si può giungere ai vertici della società.

Nel sito francese  l'Expresso del 2 dicembre è stato pubblicato un articolo sull'uguaglinaza tra apprendistato e licei professionali  che si può consultare cliccando sul seguente link: http://www.cafepedagogique.net/lexpresso/Pages/2014/12/02122014Article635531021402172320.aspx
L'articolo è in francese e riprende alcune dichiarazioni di Henriette Zoughébi che non è l'ultima venuta perché è vice-presidente del consiglio regionale dell'Ile de France , ossia della regione di Parigi dove è responsabile dei licei. Zoughébi dichiara apertamente che il baratro tra apprendistato e licei professionali è inaccettabile, il che vuol dire che si devono cambiare da un lato i licei professionali e dall'altro sviluppare l'apprendistato. Si riporta qua sotto in francese l'articolo dell'Expresso:

Introduzione:

Les jeunes des milieux populaires méritent mieux que la perspective d’échapper au chômage. Le lycée professionnel a des avantages à faire jouer. En plein Salon de l’Education, Henriette Zoughebi, vice-présidente du Conseil régional d’Ile-de-France en charge des lycées, rappelle quelques idées fortes qui dérangent le prêt à penser du moment. A commencer par un traitement égalitaire entre lycéen pro et apprenti…

L'articolo:

« A l’étranger on nous envie l’enseignement professionnel ». Venue assister à la remise des prix  du concours « Filme ton job », organisé pour les apprentis par la région Ile-de-France, Henriette Zoughébi réagit aux slogans du moment. « Aujourd’hui en CFA académique de Créteil on compte 6% de décrocheurs contre 30% dans le privé. L’encadrement des élèves les plus fragiles et un point exceptionnel de notre enseignement professionnel », estime-t-elle. « Il faut veiller sur le lycée professionnel comme sur la prunelle de nos yeux ».

L’opposition entre lycée professionnel et apprentissage ? Un vrai sujet !, estime H Zoughebi. « L’objectif c’est de conduire le jeune le plus loin possible. Le lycée professionnel permet de donner une formation générale en même temps qu’une formation professionnelle. Il donne la possibilité au jeune d’acquérir les bases qui lui manquent pour se former tout au long de la vie. Il est irremplaçable ». Pour elle l’objectif affiché dans le Salon, « Faciliter l’entrée dans l’emploi » est très insuffisant. « L’objectif c’est d’aller le plus loin possible dans le travail et dans la vie. Il faut donner du sens au lycée professionnel et le valoriser mieux qu’on ne le fait aujourd’hui. Les jeuens ont  plus d’ambition que cela. Il ne faut pas les rabaisser ».

Pour faire avancer cette idée, Henriette Zoughébi a des exigences. « Je rêve qu’on puisse avoir en lycée professionnels des micro lycées qui permettent de raccrocher des jeunes en respectant leur ambition. Il ne fait pas faire « petits bras » avec ces jeunes ». 

Seconde exigence. « Un jeune en apprentissage a une rémunération. Pas un lycéen professionnel. Pour les jeunes des milieux populaires c’est un vrai sujet. Si on veut éviter la rupture en égalité entre élèves il faut s’emparer de ce sujet. Il faut que les jeunes puissent choisir la voie professionnelle sous statut scolaire ou en apprentissage et non être contraints par une question de moyens ». Le chemin de l’égalité entre lycée professionnel et apprentissage passe par un nouvel effort de l’Etat en faveur des jeunes les plus démunis. Nul doute que Henriette Zoughebi aille plaider au ministère la cause de l’égalité réelle.

François Jarraud

lundi 1 décembre 2014

In Francia il nuovo ministro dell'educazione di origine magrebina (N. Vallaud-Belkacem)  sconvolge la tradizionale ripartizione delle risorse umane e finanziarie tra scuole per dare di più a chi ne ha meno. Insomma , il ministro auspica maggiore giustizia sociale e equità. Ecco la sua dichiarazione, in francese:

« L’objectif que je me suis fixée est à la fois extrêmement simple et profondément ambitieux : faire reculer les déterminismes sociaux dans l’école… Notre école exacerbe aujourd’hui les inégalités sociales alors même qu’elle a pour mission d’offrir à tous les mêmes chances de réussite. Comment pourrons-nous construire la République de demain si nous donnons aux jeunes générations l’image d’une société qui, non seulement ne leur donne pas les mêmes chances, mais accroît les désavantages initiaux ? Je veux mobiliser la Nation autour d’une priorité : plus d’égalité pour la jeunesse. Je veux faire de ma politique éducative une politique publique au service de l’égalité et de la solidarité. » S’exprimant au Salon de l’éducation , N Vallaud-Belkacem a affirmé avec force des choix éducatifs clairs et volontaires. En préparation depuis son arrivée rue de Grenelle, ils devraient être détaillés courant décembre. La ministre a saisi l’occasion du Salon de l’Education et des manifestations des écoles et établissements sortis de zep pour annoncer la couleur.

« Nous ne les laisserons pas tomber », promet la ministre en parlant des écoles et établissements sortants de zep. « En réformant notre système d'allocation des moyens, nous prendrons désormais en compte les réalités de chaque établissement et mettrons fin aux effets de seuil qui les inquiètent. L'alternative ne sera plus être ou ne pas être en éducation prioritaire. A côté de ces réseaux où nous concentrons 350 millions d'euros supplémentaires, nous veillerons à ce que chaque établissement se voie doté le plus finement et le plus justement possible des moyens adaptés aux freins sociaux constatés ».

Ed ecco il commento del sito di sinistra l'Expresso, ( http://www.cafepedagogique.net/lexpresso/Pages/2014/12/01122014Article635530168105872052.aspx) che non sa come prenderla:

« Je suis la ministre des 12,3 millions d’écoliers, de collégiens et de lycéens. Je serai tout particulièrement celle, aux côtés des équipes pédagogiques et éducatives, des 20% d’élèves en grande difficulté dès la fin de l’école élémentaire et de tous ceux qui subissent le poids des déterminismes sociaux ». Ce que N. Vallaud-Belkacem a annoncé le 28 novembre, dans son intervention au Salon de l’éducation, est bien révolutionnaire. La ministre entend lier les moyens donnés aux établissements aux difficultés sociales et scolaires de leurs élèves. Dans un système éducatif très inégalitaire, la ministre affirme vouloir s’attaquer aux privilèges pour mieux soutenir l’Education prioritaire et les établissements « sortants de zep ». C’est une vraie bataille que N. Vallaud-Belkacem veut mener.