jeudi 19 décembre 2013

INVALSI

In questi giorni , prima metà  di dicembre, in Italia i circoli che si occupano dell'istruzione scolastica sono in agitazione per il futuro dell'INVALSI, ossia dell'Istituto Nazionale di valutazione del sistema d'istruzione. Infatti il ministro dell'istruzione Carrozza, una ricercatrice, ha composto una commissione per la scelta del futuro presidente dell'INVALSI dopo le dimissioni di Paolo Sestito un economista della Banca d'Italia che ha preso il posto di Piero Cipollone, altro economista della Banca d'Italia, come presidente dell'INVALSI.

Il ministro ha avallato le proposte di qualcuno nel ministero che ha suggerito una rosa di cinque persone del tutto ignote nell'ambito della ricerca scientifica internazionale sulla valutazione scolastica, nel senso che non hanno pubblicato quasi nulla in materia di valutazione dell'istruzione, di studi comparati tra sistemi scolastici. Conosco alcuni membri designati di questa commissione che rispetto alquanto ma devo pur constatare che nessuno di loro è mondialmente noto per pubblicazioni sulla valutazione. Il prof. De Mauro è un esimio linguista e a mia conoscenza solo il prof. Vertecchi ha avuto a che fare con le valutazioni internazionali quando il ministro italiano dell'istruzione era l'on. Luigi Berlinguer.

Le vicende italiane della valutazione non mi lasciano indifferente ed è per questa ragione che ne parlo. La storia della valutazione comparata contemporanea in Italia è patetica. Bisogna risalire al prof. Aldo Visalberghi che nel corso degli anni Sessanta del Ventesimo secolo ha traghettato l'Italia verso l'IEA, l'Associazione Internazionale di Valutazione dei Risultati Scolastici, associazione che esiste tuttora. L'IEA era ed è un'associazione internazionale di ricercatori che funziona grazie a risorse fornite dagli Stati che hanno la responsabilità di un sistema d'istruzione scolastica. Per anni l'IEA è stata soprattutto finanziata dalla Svezia e poi dagli USA. Il prof. Visalberghi con uno sparuto gruppetto di suoi collaboratori ha partecipato ad una serie di indagini dell'IEA. Quasi nessuno ne era al corrente in Italia. Il gruppetto di ricercatori era annidato nella sede del CEDE, il centro europeo dell'educazione, denominazione alquanto pomposa, che si trovava a Frascati, nella villa Borromini, laddove ora si trova l'INVALSI. I risultati degli studenti italiani comparati a quelli degli studenti di altri sistemi scolastici non furono brillanti già nel corso degli anni Sessanta. Quelli erano gli anni dei pionieri. Si sperimentava infatti la valutazione su vasta scala e si comparavano i risultati degli studenti di diversi sistemi scolastici. Gli strumenti messi a punto dall'IEA non erano come quelli dell'indagine PISA e la popolazione scolastica alla quale erano somministrate le prove dell'IEA era quella dei tredicenni e non dei quindicenni come è il caso nell'indagine PISA.

Il prof. Visalberghi era una persona rispettata e competente sul piano internazionale. Direi che era una figura assai nota anche perché i suoi interventi negli incontri internazionali erano solidi, sostanziosi e quindi ascoltati, ma in Italia , non so per quali ragioni, Visalberghi non era  né molto seguito né molto ascoltato. Con me si lamentava dei problemi di gestione di Villa Falconieri. Le risorse erano scarse e servivano in primo luogo per riparare il tetto o le fughe d'acqua del monumento storico che era Villa Falconieri.

Per anni l'Italia ha partecipato alle indagini internazionali dell'IEA, lo ha fatto molto di più della Francia, ma senza che i risultati mediocri degli studenti italiani suscitassero una reazione nei media o nel ministero dell'istruzione pubblica. Più volte Visalberghi mi è parso rassegnato. L'Italia pertecipava alle indagini, pagava la sua quotaparte, ma non traeva nessuna indicazione pratica da questa esperienza. Si potrebbe dire che questo era un caso di partecipazione per onore di firma e spesso ho avuto la sensazione  che Visalberghi fosse presente per il proprio piacere personale ( esagero con questa affermazione che però mi serve per spiegare la situazione).

Quando l'on. Luigi Berlinguer è diventato ministro dell' istruzione nel primo governo di Romano Prodi e quando Visalberghi era ormai andato in pensione, l'on. Berlinguer si rivolse all'OCSE per chiedere un parere sul suo progetto di riforma del servizio d'istruzione statale italiano. Il direttore dell'istruzione all'OCSE Thomas Alexander mi chiese di entrare nel gruppo di periti designato per esaminare il progetto di riforma tratteggiato dal ministro Berlinguer. Questo tipo di esame si svolge secondo una procedura formale standardizzata. Nel capitolo 5 del documento si tratta di valutazione e si raccomanda al ministro di istituire un sistema di valutazione indipendente, che incentri la sua attività sulla definizione di parametri di valutazione, di istituire un ente indipendente incaricato di svolgere ricerche in proprio materia di valutazione dell'istruzione. Il passaggio sulla valutazione fu redatto da Alejandro Tiana che è ora rettore dell'Università spagnola distanza (UNED) di Madrid, la più importante università spagnola. Il testo fu scritto nel 1997 ma le raccomandazioni sono cadute nel vuote. Non ci siamo ancora. In quegli anni le argomentazioni sulla valutazione erano capite da pochissime persone. Mi ricordo per esempio che il CENSIS si occupava della questione , che Giorgio Allulli aveva un interesse per l'argomento. Erano i nuovi venuti sulla scena italica della valutazione, che si affiancavano a Visalberghi. Non posso però dire che erano gli eredi di Visalberghi. I loro interessi erano di un altro genere, più politici che scientifici.

Una decina d'anni dopo, quando presidente dell'INVALSI era Piero Cipollone, fui invitato a presiedere la giuria incaricata del concorso per la selezione di alcuni collaboratori scientifici dell'INVALSI. In questa occasione ho scoperto la complessità della burocrazia dell'amministrazione statale italiana ed ho conosciuto Paolo Sestito, Piero Cipollone e Lucrezia Stellacci che rappresentava il  ministero nella commissione. Ma l'aspetto più rilevante di quell'esperienza sono stati i sotterfugi messi in atto per salvare tre o quattro candidati. La media dei risultati era talmente scadente nella maggior parte dei casi al punto da costringere la giuria ad abbassare la soglia della media pur di potere selezionare un numero minimo di candidati. Molti concorrenti lavoravano da anni all'INVALSI ma non avevano una conoscenza accettabile dei principi con i quali erano costruiti gli strumenti delle prove strutturate.

Infine, un'esperienza per me sconvolgente fu la partecipazione alla commissione internazionale del MIUR per costruire un sistema nazionale di valutazione dell'educazione. Si era all'epoca del ministro Maria Stella Gelmini. Il direttore generale Giovanni Biondi era stato incaricato dal ministro di concepire un sistema nazionale di valutazione. Occorre subito dire che questa operazione non è del tutto facile e che pochi sistemi scolastici statali nel mondo dispongono di un sistema di valutazione coi fiocchi che fornisca informazioni attendibili sui risultati scolastici e che serva a capire in che direzione va la politica scolastica statale. Un sistema nazionale di valutazione dell'istruzione non si improvvisa.  Ho subito capito che di internazionale in quella commissione c'era ben poco. Invece, mi ci è voluto del tempo per capire che il sistema nazionale di valutazione era già pronto nella mente del direttore generale e forse anche del ministro e che la commissione non serviva ad altro che ad avallare il progetto. Infine, alle riunioni alle quali ho partecipato non si è mai parlato del servizio nazionale di valutazione, l'argomento per il quale ero stato invitato ad entrare nella gruppo di lavoro. Il tema di cui si discusse a lungo era la valutazione dei docenti. Ci fu detto in riunione che questo era la questione che il Ministro voleva risolvere in priorità e il direttore Biondi aveva a questo riguardo forgiato due metafore: la traversata del Mar Rosso e l'arrivo nella terra promessa. Il Mar Rosso era evidentemente la valutazione dei docenti. Occorreva dapprima attraversare il Mar Rosso per poi approdare alla Terra Promessa , ossia alla costituzione del servizio nazionale di valutazione. La traversata del Mar Rosso fu pilotata in gran parte da Attilio Oliva e da Andrea Ichino, entrambi membri della commissione. Senza di loro il progetto "Valorizza"  di valutazione degli insegnanti non sarebbe giunto in porto. Ma la traversata fu più lunga e perigliosa di quanto supposto e della valutazione del sistema scolastico statale non se ne parlò mai. A questo punto sono uscito dalla commissione. La strategia messa in atto per giungere alla Terra Promessa mi era del tutto incomprensibile.

Ed ora siamo da capo. L'INVALSI che dovrebbe essere un pilastro del sistema nazionale di valutazione è senza presidente, nessuno sa bene quali debbano essere i suoi compiti, quale potrebbe essere il profilo del sistema nazionale di valutazione ; i pedagogisti sono pressoché assenti dalla scena, le università italiane a differenza di quelle tedesche non sono attrezzate per impostare valutazioni su vasta scala, le autorità scolastiche del MIUR avallano tutto quanto viene dal contesto internazionale senza disporre di nessun strumento critico non dico per guidare una contestazione delle prove internazionali, come per esempio i test sul "problem solving" ,  ma per lo meno per pilotare piste alternative di valutazioni empiriche. La cultura della valutazione nel contesto italiano  è carente a pressoché tutti i livelli e poche sono le esperienze italiane, se ci sono, di prove empiriche su vasta scala di valutazione degli studenti, delle scuole , degli insegnanti, dei dirigenti.









lundi 18 novembre 2013

Riorganizzazione del ministero della pubblica istruzione in Italia

Leggo un articolo che mi piace sul "Sussidiario" di oggi : http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2013/11/18/SCUOLA-La-spending-review-tocca-l-istruzione-tecnica-cosa-cambia-davvero-/3/444510/
 Vi si tratta della riorganizzazione del MIUR in Italia (MIUR, acronimo per Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca Scientifica). La riforma del sistema scolastico italiano deve iniziare da qui. Da anni ripeto che occorre pressoché chiudere il MIUR che ha sede in un imponente edificio in via Trastevere a Roma. Ogni volta che ci sono stato mi è venuto il mal di stomaco: non descrivo l'ambiente molto strano. I ministri passano, le maggioranze cambiano, ma l'atmosfera e la frenesia oppure la noia che regna nei corridoi, nella sala mensa che si trova nel sottosuolo, nei bagni, nei corridoi, negli ascensori non muta.

Per ragioni professionali ho visitato nel mondo diversi ministeri della pubblica istruzione ma nessuno mi ha impressionato come il monumento romano, un vero e proprio pachiderma che dirige il servizio scolastico italiano. Davanti al monumento sferragliano i tram e spesso ci sono manifestazioni rumorose che lasciano il tempo che trovano. Tutto continua come sempre da decenni. In una grande sala , mi pare al primo o al secondo piano, ci sono i quadri dei ritratti dei vari ministri . Tra questi Gentile, Croce. Chissà se erano migliori dei più recenti?
Nell'articolo del "Sussidiario" a cura di Max Ferrario, che non conosco, si parla di un probabile smantellamento della Direzione dell'Istruzione tecnica e professionale nonché della Direzione delle relazioni internazionali. Se ci sono due direzioni da tenere in piedi nel ministero che pilota il servizio nazionale dell'istruzione scolastica sono proprio queste due. Ne aggiungerei una terza e una quarta: la Direzione della statistica scolastica e quella della Ricerca scientifica sull'istruzione scolastica.  Distaccherei invece integralmente dal Ministero futuro l'INVALSI, ossia l'Istituto Nazionale di valutazione del sistema d'istruzione.

In taluni  paesi il Ministero dell'Istruzione statale è stato del tutto smantellato ed i funzionari  che non erano volontari per andare in pensione o per essere trasferiti in altri settori sono stati rispediti nelle regioni d'origine.  Capisco che in un colosso come il MIUR e nell'amministrazione statale italiana con le sue abitudini ciò sia pressoché impossibile. Occorrerà invece discutere le sistemazioni dei singoli, caso per caso. Ci sarà un'agitazione grandiosa nel Palazzo e fuori. Ma per prima cosa è indispensabile elaborare  un progetto globale di scuola, uno scenario di sviluppo dell'istruzione statale in Italia e una strategia a lunga o media scadenza ( direi almeno cinque anni) per realizzarlo. Questo scenario non c'è anche se nella costituzione italiana, nel celebre capitolo V, si parla di decentralizzazione del servizio scolastico statale. L'articolo è stato votato nel 2001 e sono passati da allora diversi anni ma non è successo nulla. Molte riunioni, litigi furibondi ma nessuna modifica strategica.

La decentralizzazione del servizio scolastico implica la riorganizzazione completa del MIUR. Il ministro deve avere tra le mani alcuni strumenti essenziali: le statistiche scolastiche, le relazioni internazionali, la ricerca scientifica. In Inghilterra , se ben ricordo, alcuni anni fa, invece,  il nome del Ministero è cambiato e si è adottato come titolo del Ministero la formazione professionale o qualcosa di simile, una decisione eloquente per segnalare la priorità principale del Ministero: non la scuola primaria né quella secondaria, ma la formazione formazione ( "Vocational Education" in inglese). In Italia si fa il contrario secondo Ferrario, l'autore dell'articolo pubblicato dal "Sussidiario".  In Svizzera c'è il caso opposto: non esiste un ministero centrale dell'istruzione ma un Ufficio federale per la formazione professionale, inserito nel Ministero dell'economia.

Alla lista delle direzioni indicata poco fa forse ne aggiungerei un'altra, ma con seri dubbi: una direzione sull'istruzione e la formazione professionale degli adulti, ma questa potrebbe essere incorporata nella direzione della formazione professionale. Non cito né l'università né la ricerca scientifica che potrebbero essere disgiunti da un ministero di nuovo tipo che opera in un apparato fortemente decentralizzato.


vendredi 8 novembre 2013

Pasolini

La mostra su Pier Paolo Pasolini alla Cineteca di Parigi che sarà aperta fino al 26 gennaio 2013 quando si sposterà in Spagna (se non erro a Barcellona)  e in Italia è deludente da molti punti di vista. Per esempio , i documenti originali in italiano sono quasi illeggibili perché male illuminati oppure perché collocati in posti strampalati, mentre le traduzioni di alcuni passaggi in francese e inglese sono stampati con caratteri di stampa molto più grandi e sono bene illuminati. Ma ciò è una bazzecola rispetto a tutto il resto.

Sono stato molto deluso dall'esposizione che non mi ha dato assolutamente nulla tranne alcune informazioni su Pasolini giovane quando risiedeva nel Friuli prima di trasferirsi a Roma. Non ho capito a che pubblico l'esposizione  era destinata, né quali fossero i temi salienti che si volevano mettere in evidenza anche se di questioni scottanti in ballo ce ne sono molte. Pasolini è stato il testimone di un'epoca scomparsa, un provocatore, un grande intellettuale che ha fatto quasi di tutto: scrittore, poeta, romanziere, pittore, regista cinematografico. Attivo tra il 1950 e il 1975 ha denunciato e combattuto il potere in Italia, la corruzione della classe politica di allora. Una delle poche sorprese per me fu  la sua espulsione nel 1950 per indegnità dal PC italiano dopo la denuncia di relazioni omosessuali a Caserta nel Friuli durante una festa di paese.

Ho visto quasi tutti i suoi film tranne Salò, ossia l'ultimo. Non tutti mi sono piaciuti o non tutti sono riusciti ma mi è rimasta  in mente la denuncia della povertà e dello squallore delle borgate romane. Non cito nessun titolo deliberatamente, ma l'esposizione non ha nemmeno valorizzato Pasolini cineasta.

Quest'uomo fu una figura principale della vita culturale italiana dominata durante il quarto di secolo in cui lui fu attivo dalla Chiesa cattolica, dalla Democrazia Cristiana, dal Partito comunista, e infine dalle Brigate Rosse . L'esposizione si perde in dettagli. Non ha nemmeno messo in prospettiva Pasolini con la sua epoca. Ci sono alcuni personaggi di spicco della storia italiana di quegli anni come Guttuso, Moravia, Olivetti che sfilano velocemente ma non si produce nessuna informazione su di loro. Si citano come se fossero noti. Invece non lo sono, forse nemmeno in Italia. Di sicuro non lo sono in Francia.

Mi chiedo il perché di questa esposizione in questo momento. Una ragione ci deve pur essere, ma nell'esposizione non esiste nessun riferimento con la situazione politica-culturale del mondo italiano contemporaneo. Quale relazione si può stabilire tra l'opera multipla di Pasolini con tutte le sue sfaccettature e il periodo contemporaneo? Ho vissuto intensamente quegli anni. L'opera di Pasolini fa parte della mia formazione, della mia concezione della società. Nessuna allusione nell'esposizione agli aspetti critici, scottanti, ribelli presenti nell'opera di un personaggio difficile, complesso.

mardi 5 novembre 2013

A Nation at Risk

Nell'aprile del 1983 venne pubblicato a Washington da parte di una commissione federale della presidenza Reagan un documento sullo stato della scuola USA, intitolato "A Nation at Risk" (Una nazione in pericolo).

A quei tempi lavoravo all'OCSE e scrissi poco dopo un documento di una cinquantina di pagine per commentare i passaggi salienti di quel documento. C'erano affermazioni retoriche di scarsa rilevanza ma anche denunce gravi sullo stato del servizio statale d'istruzione nonché sull'organizzazione e la gestione della scuola. Il documento faceva ovviamente riferimento alla scuola statale USA ma subito feci l'associazione con quanto avveniva e si percepiva avvenisse nei servizi scolastici europei.

A quel tempo l'OCSE era una organizzazione piccolina. I paesi membri erano solo 24. Esisteva ancora l'Unione Sovietica e il blocco sovietico non faceva parte dell'OCSE. La regola aurea dell'OCSE era quella di accogliere nell'organizzazione solo i paesi che adottavano le norme  dell'economia di mercato. In cambio l'organizzazione offriva analisi, dati, interpretazioni, consigli ai governi sulle politiche da impostare per essere competitivi e per migliorare il PIL.

Il settore educazione nel quale lavoravo era minuscolo. Il responsabile principale era un sociologo inglese, Ronald Gass, un personaggio interessantissimo, complesso, con molte idee sul sociale. Veniva da una famiglia povera, il padre , se non erro ,  faceva di mestiere il macellaio. Lui fece la guerra del 39-45 come pilota e al ritorno andò a studiare all'università. Ron capiva molte cose sul sistema sociale. Era davvero una figura brillante, di gran lunga superiore ai  colleghi dello staff che si occupava dell'educazione. Secondo la logica del servizio all'economia di mercato gli studi sul servizio scolastico dovevano limitarsi a precisare gli interventi politici necessari per produrre manodopera qualificata, in grado di sostenere le economie in espansione dei Paesi membri. Ron intuì che ciò non bastava, ossia che non si poteva dare per scontato il contributo del servizio scolastico all'espansione economica senza passare alla lente il funzionamento e l'organizzazione del sistema scolastico. Del resto gli avvenimenti del maggio 68 comprovavano alla grande che lui aveva ragione, che qualcosa non funzionava nelle scuole.

La faccio breve. Per Ron occorreva proporre di rinnovare il sistema scolastico se si voleva migliorare il contributo dell'istruzione scolastica al benessere delle società, ma ben presto, nel corso degli anni 70, tutti i progetti dell'OCSE miranti a mettere a punto strategie di aggiornamento e rinnovo del servizio scolastico dovettero chiudere baracca: le resistenze erano troppo forti e le opposizioni al cambiamento nonché le politiche di conservazione erano soprattutto annidate ovunque dentro il sistema scolastico. Mancavano statistiche adeguate, si conosceva ben poco di quanto succedeva nelle scuole, di come le decisioni erano prese. Il servizio scolastico era una "black box", ossia una scatola nera. Si arrivò al peggio: la resistenza si era infiltrata anche all'interno dell'OCSE.

Il documento USA del 1983 arrivò a proposito e confermò quanto si intuiva sulle prestazioni dell'apparato scolastico. All'interno dell'OCSE le reazioni dei colleghi furono negative. Nessuno accolse quel documento in modo favorevole. I commenti erano ironici, sprezzanti. Sottoposi a Ron il mio testo nel quale si dava parzialmente ragione alle analisi del documento USA senza tra l'altro citarlo direttamente. Le mie fonti erano soprattutto europee. Ron mi diede ragione, condivideva le analisi e propose ai colleghi di presentare il mio testo al Comitato Direttore del CERI , ossia al "Governing Board" del Centro per la ricerca e l'innovazione dell'insegnamento. Il "Governing Board" era composto da personalità scelte ad personam dal segretario generale dell'OCSE ( l'Italia era rappresentata da Aldo Visalberghi).  I colleghi si opposero in massa a questa proposta, contestavano la pertinenza dei miei commenti e ritenevano che le analisi erano errate. In fondo, per loro, i servizi scolastici funzionavano bene. Gass allora suggerì di presentare il documento al " Governing Board" non come un prodotto del CERI, in forma anonima, come si faceva di regola, ma di distribuirlo firmato, con il mio nome. Altre proteste indignate dei colleghi che rifiutarono questa soluzione. Non si era mai adottata una simile procedura al CERI o all'OCSE. I documenti dovevano restare anonimi e rappresentare il punto di vista dell'organizzazione. A questo punto Ron Gass dovette darsi per vinto. Non poteva andare contro il suo staff. Mi autorizzò allora a pubblicare privatamente, al di fuori dell'OCSE,  il testo. E' quanto feci. Ne risultò "La ricreazione è finita" pubblicato in Italia dalla Casa Editrice il Mulino di Bologna nel 1986.

mercredi 30 octobre 2013

WISE13

WISE è l'acronimo per "World Education Summit" che si tiene a Doha, Qatar dal 29 al 31 ottobre di quest'anno.  Circa 1000 partecipanti di più di 100 paesi partecipano a quest'incontro dedicato alle politiche scolastiche, per discutere delle tendenze in corso, delle modalità di cooperazione tra paesi, allo scopo di offrire alle nuove generazione un'istruzione migliore . La descrizione di questo summit che si è tenuto anche lo scorso anno  a Doha  si può consultare all'indirizzo seguente http://blog.web20classroom.org/2013/10/the-world-innovation-summit-on.html oppure nel sito ufficiale dell'incontro: http://www.wise-qatar.org/content/wise-initiative#tabslink-3. Una ricerca su Google fornisce diversi indirizzi per sapere cosa capita a WISE13. I dibattiti possono essere seguiti in diretta su Internet. Il tema di quest'anno è "Reinventing education for Life". Il presidente dell'incontro è lo sceicco  Abdulla bin Ali Al-Thanidell della Fondazione del Qatar.

Quest'incontro è pomposamente presentato come la "Davos dell'istruzione" . Si tratta dell'ennesima trovata internazionale per promuovere la scolarità nel mondo. Non tutti sono invitati, non tutti possono permettersi il soggiorno a Doha. Succede la stessa cosa che a Davos. Grossi nomi tra i relatori ( per esempio Edgar Morin), interlocutori di rango  ben pagati che intervengono a presentare le loro teorie scolastiche e sociali, incontri dietro le quinte tra ricercatori di grido e alcuni responsabili politici dell'istruzione. 

Occorrerebbe molta pazienza per sapere chi è presente a quest'incontro. La lista dei relatori  si trova qui: http://www.wise-qatar.org/wise-2013-speakers-and-moderators. A prima vista, sembra che le grandi organizzazioni internazionali che si occupano da decenni di politiche dell'istruzione non siano presenti come attori principali, tranne l'UNESCO con la Segretaria Generale. Ma l'UNESCO , come tutti sanno,ha bisogno di soldi. Ci sono alcuni esperti della Banca Mondiale ma nessuna figura di primo piano. L'OCSE è assente. Anche sul piano politico non ci sono personaggi di rilievo ( penso per esempio a una figura come Tony Blair) e assenti sono pure gli attori dei principali dei principali centri di ricerca scientifica sull'istruzione. Tra gli Europei mancano gli Italiani, gli Spagnoli ,  i Greci mentre invece ci sono i Francesi, ma non quelli ad alto livello ( per esempio il ministro dell'istruzione). Compaiono pochi Inglesi. La messa in scena è grandiosa, direi pomposa, ma da quanto si riesce a capire manca una visione prospettica e politica, non si presenta nessun scenario per il futuro.

Soldi nel Qatar non mancano per organizzare un circo simile. Ci si può chiedere a cosa serva quest'ennesimo show internazionale . Si tratta senz'altro di un caso esemplare della mondializzazione dell'istruzione scolastica, un prova di forza dei sistemi scolastici per unirsi e difendere le proprie posizioni. Con iniziative simile e con queste forze economiche in campo si può ritenere che occorreranno decenni per modificare i servizi scolastici di stato.

Poco per volta i partecipanti al loro ritorno oppure direttamente dal Qatar in questi giorni via Internet faranno conoscere le loro scoperte, riveleranno quanto si è discusso, racconteranno quanto hanno sentito, esprimeranno il loro entusiasmo. 

lundi 28 octobre 2013

Valutazione delle scuole

Leggo questa mattina nel sito L'Expresso http://www.cafepedagogique.net/lexpresso/Pages/2013/10/28102013Article635185407102561358.aspx la presentazione di un libro coordinato da Christian Maroy che ha insegnanto a Lovanio , poi a Montréal ed ora sembra sia ritornato a Lovanio. Maroy è un economista e come molti altri economisti si occupa del servizio scolastico perché i pedagogisti si interessano di altre faccende. Titolo del libro: "L'école à la preuve de la performance". Il sito non indica l'editore che si ritroverà presto o tardi su http://www.amazon.fr.
Il volume mi sorprende subito per varie ragioni. Ne espongo alcune. In primo luogo confonde , come spesso capita nell'area francese, indicatori dell'istruzione e valutazione delle scuole. Orbene si tratta di due strumenti diversi.
 In secondo luogo si limita ad alcuni casi di sistemi scolastici: Francia, Belgio, Ungheria, Svizzera. Cita gli Stati Uniti, forse anche l'Inghilterra, i Paesi scandinavi, la Nuova Zelanda. Non lo so perché non ho il volume tra le mani.
In terzo luogo è privo di visione storica: il Belgio, in particolare quello francofono, è presente e attivo nelle valutazioni internazionali da decenni; la Svizzera invece è del tutto una neofita. L'Ungheria ha, come il Belgio, una lunga tradizione in materia di valutazione.

Come detto poco fa, non ho il libro sottomano ma espongo queste considerazioni basandomi sull'intervista che L'Expresso ha fatto al compilatore del volume e da quanto da lui detto. Il panorama internazionale è stato delineato, se ho ben capito , da Nathalie Mons , ora a Grenoble, che un decennio fa aveva prodotto una tesi eccellente a Digione sulla valutazione. Talune affermazioni ripetute da Maroy sono corrette ma l'impianto del volume mi sembra davvero traballante. Se penso alla Svizzera, dove ho lavorato diversi anni sia prima di andare all'OCSE sia dopo, come direttore dello SRED di Ginevra, resto di stucco nel vedere coinvolta Monica Gather Thurler dell'Università di Ginevra. Negli ultimi otto anni passati a Ginevra (dal 1997 al 2005) non ho mai visto questa collega occuparsi di valutazioni internazionali, di valutazioni comparate, di insieme di indicatori comparati, di valutazione dello spazio scolastico elvetico proprio mentre negli stessi anni in Svizzera si tentava di mettere in piedi un apparato nazionale di valutazione detto Harmos e si facevano sforzi per trovare risorse che permettessero di partecipare alle indagini internazionali come PISA, IALS, ALL, oppure quelle dell'IEA. Confesso che faccio fatica a capire come si possa discettare di una questione senza essersene occupati.  In ogni modo, per quel che riguarda la Svizzera, prima del secondo conflitto mondiale, Piaget e Bovet ,come rappresentanti della Svizzera, probabilmente invitati dalla Carnegie Foundation ( non ho le prove) avevano partecipato a incontri preliminari transatlantici per impostare la valutazione comparata. Si erano ritirati dal progetto dopo cinque anni se non erro perché non ne condividevano le finalità.
Forse sarebbe bene aprire gli orizzonti, quelli geografici e quelli teorici, quando si affrontano questi temi.

samedi 5 octobre 2013

La scuola media unica compie 50 anni in Italia

La scuola media unica italiana, oggi classificata come insegnamento secondario di primo grado, festeggia il cinquantenario: fu creata nel 1963. Lo ricorda l'ispettore scolastico Giancarlo Cerini con un post su Facebook che allude ad un convegno di celebrazione tenutosi a Pescara il primo e due ottobre. Ecco il post di Cerini:

"A Pescara, 1-2 ottobre2013, Convegno del Cidi sui 50 anni della scuola media unica (1° ottobre 1963). Una ricostruzione della storia, delle sfide, degli impegni, della scuola che ha elevato il profilo culturale della popolazione italiana, ha aperto nuove opportunità educative, ha rappresentato una palestra di cittadinanza e democrazia. Il rammarico è che oggi, a distanza di 50 anni, la terza media è ancora l’ultimo luogo educativo dove ragazzi/ragazze stanno tutti assieme: dopo, i loro destini formativi, culturali, sociali si divideranno irrimediabilmente (troppo presto, nonostante l’obbligo portato a 16 anni). Questo richiede un impegno “supplementare” –ma la scuola di base non si è mai tirata indietro- per rafforzare la formazione dei ragazzi a 14 anni, tenendo presente il profilo del 14enne delineato nelle Indicazioni/2012, i curricoli verticali in progressione, una valutazione effettivamente formativa, il nuovo contesto dell’istituto comprensivo. ..."

Ci sarebbero molte cose da dire sulla scuola media unica italiana ed alcune sono state espresse un paio di anni fa in un documento della Fondazione Agnelli. A quei tempi, ossia nel 1963,  ero troppo giovane per capire il senso della decisione di allora. E' innegabile che l'Italia fu uno dei sistemi scolastici all'avanguardia in Europa  con questa riforma. Infatti , pochi sistemi scolastici hanno compiuto questo passo dopo d'allora. Per esempio in Francia la scuola media unica fu creata soltanto nel 1975 e in Germania si è perfino rinunciato a generalizzare le "Gesamtschulen", che sono l'istituzione equivalente della scuola media unica. Un simile atteggiamento fu seguito dai cantoni elvetici dove soltanto a Ginevra fu creata in quegli anni una specie di scuola media unica dagli 12 ai 15 anni. Più tardi anche nel cantone di lingua italiana, il Canton Ticino, confinante con la Lombardia e il Piemonte, fu realizzata la scuola media unica, non tanto grazie a quanto successo in Italia ma piuttosto grazie all'influsso ginevrino e a una lunga battaglia sull'uguaglianza scolastica e sulla giustizia sociale di fronte all'istruzione. Un Cantone alpino, vallonato, rompeva in Svizzera, come a Ginevra, città-stato, una tradizione pluridecennale di privilegi e di selezione arbitraria degli studenti che erano costretti, se volevano proseguire negli studi , a spostarsi in alcuni centri urbani dopo la scuola elementare quinquennale. Non era una cosa da poco in mezzo alle Prealpi.


Non sono sicuro che il trionfalismo emergente dal post di Cerini sia del tutto valido. Esistono poche prove sull'efficacia e l'equità della scuola media unica. Quando ero a Ginevra esistevano 15 scuole medie uniche (dette "collèges") e due di queste erano veramente uniche come  lo sono quelle italiane: tutti assieme, per tre anni. Eppure, agli inizi del 2000 nessuno aveva mai comparato i risultati delle scuole media uniche-uniche, dette "collèges hétérogènes",  con quelli delle altre tredici scuole. I miei ricercatori l'hanno fatto. Sono stati pubblicati tre volumi nei quali si descrivevano vantaggi e svantaggi di un modello rispetto all'altro. I lettori francofoni possono rivolgersi allo SRED di Ginevra per leggerli. Eccellenti indagini, anche se limitate per certi versi, ma assai complete. Emergeva che non c'erano grandi differenze tra i due modelli , ma si dovrebbero rifare queste indagini sempreché ci siano ancora i "collèges hétérogènes" per compararli agli altri "collèges", ossia alle scuole medie all'interno dei quali non tutti gli studenti stavano assieme nelle stesse classi ma erano ripartiti per indirizzi, per filiere, per sezioni di eccellenza o solo manuali. Non lo so. Molte cose sono cambiate all'estremità del Lemano dopo d'allora.

A distanza d'anni mi farebbe piacere leggere un'indagine sulle origine della scuola media italiana, sulle modalità seguite per realizzarla, sui costi, sulle risorse umane e finanziate stanziate allora, sui corsi per formare gli insegnanti, sul sostegno, sui gruppi che hanno formulato i programmi del primo triennio, insomma sulle condizioni materiali e sui risultati conseguiti in termini di apprendimenti, di scolarizzazione. Qualcosa esiste, ma molto vago, nebuloso, impreciso. Forse occorre costruire questi indicatori per capire la percentuale odierna della dispersione scolastica, quanto succede dopo il triennio, quanto tutti "si dividono irrimediabilmente" come dice Cerini.

mardi 1 octobre 2013

Valutazione del servizio scolastico statale in Italia

Sono sempre stupito nel leggere i numerosi interventi sulla valutazione che appaiono in diversi forum sulla scuola italiana esistenti in rete e su vari giornali italiani, cartacei o meno. Si parla per partito preso e non si precisa che in Italia manca pressoché totalmente una scuola della valutazione, che formi valutatori scolastici competenti. Il numero di studenti italiani che intraprendono una laurea di ricerca sulla valutazione scolastica è esiguo. Pochissimi studenti si specializzano in questo campo. E' del tutto assente una comunità scientifica italiana della valutazione scolastica.
Nelle pubblicazioni spesso si mescola la rava e la fava: la valutazione degli insegnanti, la valutazione dei dirigenti scolastici, la valutazione delle scuole, la valutazione degli studenti, la valutazione del sistema scolastico, quello paritario incluso. Orbene, queste valutazioni sono diverse l'una dall'altra. Si afferma talora in modo perentorio che l'istruzione scolastica, l'insegnamento, sono di per sé non valutabili e quindi si chiude la porta a qualsiasi progresso  scientifico, come se si potesse fare a meno oggigiorno degli antibiotici. Quando ero bambino la penicillina era una rarità e i bambini morivano come mosche. adesso ci sono antibiotici di ogni tipo che guariscono da gravi infezioni e salvano moltissime vite.
Qui mi limito a parlare della valutazione del servizio scolastico statale il quale non si ferma alla valutazione dell'istruzione formale alla fine dell'insegnamento secondario di secondo grado. Ci sono inoltre vari modi di valutare ma mi sembra che  in molti interlocutori italiani la valutazione non sia che quella empirica basata su prove strutturate , che taluni ancora chiamano quiz, in talune discipline  i cui risultati sono  analizzati in maniera matematica.
Vorrei solo ricordare che la valutazione è una scienza, che questa scienza non è perfetta ma che è perfettibile secondo modalità tipiche del lavoro scientifico, che questa scienza ha una storia alle spalle, che se da un lato si compiono errori dall'altro si registrano anche progressi. Sulla valutazione del servizio scolastico statale esiste un dibattito teorico ed uno metodologico. In mancanza di una scuola di formazione sulla valutazione, in Italia si dibatte alla grande con voli pindarici strabilianti. Occorrerebbe invece mettersi al lavoro, rimboccare le mani, comparare i risultati, rifare le valutazioni, incitare il MIUR a calmarsi con le sue richieste, a ponderarle prima di imporre per decreto valutazioni di ogni genere e formare i valutatori. Ci vorranno almeno una decina di anni per giungere ad ottenere la presenza di un nucleo critico di valutatori del servizio scolastico statale. Anche la valutazione del servizio scolastico statale è una scienza democratica, una scienza dei cittadini che si interessano di istruzione e formazione, una scienza che non esclude gli insegnanti, ma non è compito degli insegnanti pilotare le valutazioni del servizio scolastico nel quale operano e dal quale sono retribuiti.

lundi 30 septembre 2013

Charter Schools

In Italia molte persone che giustamente operano per migliorare il servizio scolastico statale,  che non è ovunque perfetto come ormai ben si sa,  sognano e propongono di adottare il modello USA delle "Charter Schools". Sono allibito di fronte a cotale superficialità.

Il modello USA delle "Charter Schools"è la formula più avanzata di autonomia scolastica finora attuata nel settore statale. Gli Inglesi hanno cercato di copiarlo con le "School Academies". Orbene, il modello delle "Charter Schools" esiste negli USA da una ventina d'anni e non ha fin qui convinto. I promotori si sono illusi che con l'attribuzione di una maggiore indipendenza e autonomia alle singole scuole il rendimento scolastico degli studenti misurato con test di competenze e conoscenze nella comprensione di testi scritti e della matematica, esiti  spesso assunti come misura del  rendimento delle scuole, migliorasse sensibilmente. Ciò non è successo e sono invece  capitate varie altre cosucce assai interessanti. In ogni modo l'esperimento delle "Charter Schools" non ha dato l'esito scontato. Inoltre, il servizio scolastico tradizionalista ha frenato alla grande e inventato tutta una serie di lacci per imbrigliare le "Charter Schools". Il risultato è paradossale: gli esiti delle "Charter Schools" in media , sul territorio degli USA, non divergono da quelli delle scuole cosiddette tradizionaliste. Ci sono centinaia di indagini scientifiche sul funzionamento delle "Charter Schools", sul confronto tra "Charter Schools" da un lato e le scuole tradizionaliste dall'altro. Ne ho segnalate parecchie nel mio sito www.oxydiane.net .  Quindi prima di invocare la soluzione delle "Charter Schools" sarebbe opportuno studiare da vicino i limiti della sperimentazione, i difetti, le tendenze, i fenomeni generati da questa operazione. Forse le "Charter Schools" rappresentano una via per la scolarizzazione nel XXI secolo e per salvare il servizio scolastico statale ma ciò non è affatto sicuro.

lundi 9 septembre 2013

Enfants valises: figli di immigrati nel servizio scolastico statale francese

Sono andato ieri, 8 settembre, a vedere il documentario "Enfants Valises" proiettato alle 11 di mattina nella sala cinematografica "L' Escurial" nel 13esimo quartiere di Parigi. Il documentario riguardava l'accoglienza di giovani immigrati clandestini, privi di documenti , minori con un'età inferiore ai 16 anni che secondo la legge francese non possono essere espulsi dalla scuola ed anzi devono essere accolti nella scuola dell'obbligo.

L'autore del documentario Xavier de Lauzanne ha seguito per un intero anno una classe in una scuola media del 20esimo quartiere di Parigi. La classe era composta in gran parte di maschi di colore e di alcune ragazze pure di colore. Tutti provenivano dai paesi dell'Africa francofona. Tutti biascicavano il francese come lo si parla nei paesi africani subsahariani. Classe quindi relativamente omogenea composta di ragazzotti e femmine, della stessa età, con una lingua in comune, il francese, protetti dalla scuola. Alcuni erano nati in Francia, alcuni avevano perfino la nazionalità francese. Non ho capito perché erano finiti lì dentro , in una classe speciale detta "classe d'accueil". Il titolo del film è quindi sbagliato. Non tutti gli studenti erano "enfants valises" sbarcati in Francia illegalmente. Taluni anche se privi di documenti erano accolti  dalle famiglie o dai fratelli maggiori. altri avevano già la nazionalityà francese.

Il regista si è ben guardato dal mettere in evidenza la povertà di questi studenti e di soffermarsi sulla segregazione del sistema scolastico con l'apertura di queste classi. Di questi studenti del resto non si sa nulla, non si sa quali lingue parlano, non si conosce la religione, non si ha un'idea di cosa mangino. Il regista, presente alla proiezione ha più volte ripetuto che voleva filmare questi studenti come se fossero adolescenti "normali" ,  come giovani qualunque che vivono immersi nelle metropoli. A differenza del film " La classe" non si vede nessun compagno francese nel documentario. La classe è isolata dalle altre classi. Penosa è la lunga sequenza dedicata all'orientamento professionale. Parlare di dilettantismo in questo caso sarebbe eccessivo. In questo passaggio è rivelata la miseria del sistema scolastico, la pretesa delle anime angeliche che vi operano di fare del bene. Nel film appare una sola insegnante, un'anima pia, dolce, che si dà molto da fare, un angelo del focolare per l'appunto, un'insegnante con la vocazione come si diceva un tempo. Ho anche pensato al film "L'esquive" perché anche nella classe del documentario si legge un classico, un testo di Blaise Cendras ed alla fine dell'anno si fa una festa. Xavier de Lauzanne non poteva ignorare questi precedenti.

La scena  che mi ha più colpito è stata quella della camera da letto di uno degli studenti: un locale con sei o sette letti a castello per i fratelli. I genitori erano morti ed il fratello maggiore si occupava di tutti.

Sono andato a vedere il film quasi per dovere professionale. Ritengo giusto che la scuola sia un santuario impenetrabile per la polizia o per qualsiasi tipo di autorità incaricata dell'ordine o del disordine pubblico. Clandestini o meno, con o senza documenti, i giovani immigrati vanno accolti nelle scuole e vanno aiutati, se necessario istruiti. La padronanza della lingua locale è un passaggio indispensabile per attuare tutte le pratiche successive necessarie per trovare un lavoro, per ottenere i documenti che offrono un minimo di protezione sociale.  La soluzione illustrata nel documentario "Enfants Valises" è errata, arbitraria, artificiosa.

Quando ero a Ginevra c'erano classi del genere ma molto più complesse, con giovani provenienti da diverse parti del mondo, che padroneggiavano lingue diverse, messi assieme nella stessa classe. Anche a Ginevra il modello non funzionava, ma  per tutt'altre ragioni di quelle che concorrono a spiegare il fallimento del modello parigino o francese (suppongo che classi del genere ci siano in tutta la Francia). Questi studenti non sono dei minorati, non sono dei debili mentali. Sono , come appunto afferma De Lauzanne, persone "normali", ma che provengono da un altro mondo, sono poveri, vivono in ambienti precari, praticano valori diversi da quelli proposti dal servizio scolastico d'istruzione e formazione. Occuparsene costa assai, perché non si possono isolare e rinchiudere in un'aula speciale.

Il film non mi è piaciuto, era sbagliato, ha evitato questioni scottanti come quelle di politica scolastica: chi ha voluto queste classi? Perché sono state create?


lundi 12 août 2013

Una vita altrove

Da tempo mi chiedo da dove vengo, ossia mi interrogo sulla mia identità. Non so se sia una cosa seria,  se occorra davvero chiederselo. Penso di no. Per me non è un aspetto  rilevante almeno da un punto di vista razionale, ma l'inconscio mio viaggia in un'altra direzione e nei sogni continuo a confrontarmi a questo tema.

Sono nato in un buco, sono scappato via da quel luogo dove il mio destino era prestabilito, ho passato anni difficili ma anche entusiasmanti nella "Ville Lumière" dove ho cresciuto, come si dice , una famigliola, ma questo è un altro problema, sono tornato per concludere la vita professionale nel paese che si chiama la patria e di cui detengo il passaporto, poi sono di nuovo ritornato nella "Ville Lumière" perché non mi sono integrato nella società elvetica ed ora probabilmente finirò la mia esistenza da queste parti. Mi piace l'anonimato.

Dopo una lunga e dolorosa analisi mi sono accorto che sono un cittadino cosmopolita, non ho legami con nessun luogo ed anche quest'aspetto mi pare una stranezza da un lato ed un gran vantaggio dall'altro perché mi sento bene per il fatto di non avere legami particolari. Però, da alcuni anni, provo in me più affinità con il mondo da cui proviene mia madre che non con il mondo di mio padre. Da parte di madre mi troverei nella terza generazione di bergamaschi all'estero. Il nonno materno che non ho conosciuto perché è morto prima che nascessi veniva  da Costa in Val d'Imagna, un luogo  bellissimo a strapiombo sulla pianura padana, che all'inizio del Novecento doveva essere poverissimo. Il nonno ha fatto il merciaio ambulante e si è fermato nel Canton Ticino, che a quei tempi doveva essere percepito come un luogo molto distante dal Bergamasco,  ha fatto fortuna, si è sposato, ha avuto due figlie e cinque maschi.

Mia madre, per sposarsi ha dovuto rinunciare alla nazionalità italiana. Era la vigilia della seconda guerra mondiale e lei ubbidì all'ingiunzione, si capisce. L'amore fa compiere scelte del genere. Poi, con il passare degli anni, non solo ha fatto il suo dovere di madre elvetica, ma  è diventata più svizzera degli svizzeri e non mi ha mai narrato la sua storia. Qualche spezzone ogni tanto, ma proprio il minimo. Ha fatto di tutto perché mettessi le radici laddove si era accasata lei. I miei zii materni, ovverosia i suoi fratelli , erano ben diversi dai Ticinesi. Me ne accorgevo ogni volta che li incontravo, ma non ne capivo le ragioni. Nessuno mi ha mai spiegato come sono cresciuti.

Perché questa lunga introduzione? La ragione è un film di Alberto Cima  intitolato "Una vita altrove" , un documentario del Centro Studi Valle Imagna finanziato dalla Regione Lombardia, patrocinato dal Ministero per gli Italiani nel Mondo ( non so nemmeno se ci sia ancora). Il film è dedicato ad un boscaiolo bergamasco originario di Sant' Antonio Abbandonato che ha trascorso tutta la sua vita lontano dalla Valle d'Imagna come boscaiolo.

Mi ricordo che quando avevo sette o otto anni, nell'immediato dopoguerra,  andavo a trovare ogni estate, in montagna i miei nonni paterni che avevano una casettina accanto ad una foresta che in quei tempi era ripulita da boscaioli bergamaschi, gente tarchiata, grandi bevitori e bestemmiatori, dai quali occorreva stare alla larga. La guerra, il fascismo, erano passati nel frattempo ed avevano lasciato un segno indelebile nella società locale. Ma anche loro erano boscaioli come Lorenzo, il principale personaggio del film di Cima, ed anche a me piace moltissimo fare il boscaiolo quando sono in Provenza.

"Una vita altrove" non è un bel documentario. l'ho ricevuto dopo avere scritto al Centro Studi Valle Imagna che desideravo in occasione dei miei settant'anni conoscere la produzione del Centro. Ho ricevuto in risposta uno scatolone di documenti ed alcuni DVD. Ho subito capito l'approccio degli studi. Non mi sono sentito a mio agio. La storia del mio ramo materno era del tutto diversa da quella tratteggiata nella documentazione ricevuta.

Il DVD " Una vita altrove" racconta di un gruppo di bergamaschi che sono finiti nel Giura vodese, a Le Brassus , uno dei luoghi più gelidi della Svizzera, e dintorni e lì hanno vissuto  per 40 anni e più. Il film è del 2004. I testimoni intervistati e filmati sono emigrati nell'immediato dopoguerra come i boscaioli che pulivano il faggeto e la pineta accanto alla residenza estiva dei miei nonni.

Mi sono recato  a Costa con i miei primi cugini a settant'anni. Il paese è abitato da famiglie i cui antenati sono in gran parte emigrati . Ne conoscevo i cognomi. Le tombe del grande cimitero ne portavano del resto le tracce. Nonostante la bellezza del luogo ho capito che non avevo più nessun legame con quel posto. Anch'io ho vissuto una vita altrove, non solo nel senso geografico ma anche in quello spirituale, culturale, sociale. Non ho radici nemmeno lì, anche se provo una grande affezione per quel mondo da dove proviene una parte di me, una parte repressa, che dentro di me non posso, non voglio soffocare.

dimanche 14 juillet 2013

14 luglio

La festa popolare per il 14 luglio , festa nazionale francese ma anche data simbolica  del crollo dell'Ancient Régime in Europa, si svolge il 13 luglio sera in tutta la Francia. La tradizione consiste soprattutto nei balli popolari che si svolgono nelle caserme dei pompieri ma a Parigi si balla anche in riva alla Senna , o dietro Nôtre Dame. I gay hanno i loro ballo, le femministe il loro, il PC il suo e uno dei divertimenti parigini il 13 sera è  passare da un ballo all'altro fino alle piccole ore. Ogni ballo ha le sue caratteristiche, il suo popolo, i suoi fan. Ci sono i balli rock, funck, electro,  quelli tradizionali "musette" con la fisarmonica come negli anni Cinquanta, quelli romantici con  valzer e tanghi, il jazz. Si avanti fino al mattino presto. A Parigi i più belli sono quelli in diva alla Senna.

La festa ufficiale del 14 luglio si svolge invece il 14 ed è caratterizzata dalla grande sfilata militare dell'esercito francese sui Campi Elisi , dall'Arco di Trionfo fino alla tribuna dei notabili e del governo costruita ai bordi della piazza della Concordia , a due passi dall'Assemblea Nazionale, proprio alla fine del Giardino delle Tuileries. Indubbiamente il quadro è spettacolare. La messa in scena pure anche se mi fa una gran pena vedere militari gallonati di cinquant'anni e più che si impegnano come matti per regolare al millimetro la sfilata delle truppe. Il loro orizzonte  mentale si ferma lì. Nella sfilata ci sono due aspetti topici: il passaggio delle truppe e l'insediamento degli invitati nella tribuna principale accanto al presidente della repubblica, al governo, agli ospiti d'onore, agli invitati. Occorre immaginare le discussioni dietro le quinte sulla scelta degli invitati, sui cartoncini d'invito firmati dal presidente della repubblica o dal primo ministro. Dopo la sfilata il secondo momento ufficiale è l'allocuzione o l'intervista del presidente della repubblica alla televisione. Ciò succede di solito alle 13:00. Poi in serata grande concerto sinfonico al Trocadero ed infine verso mezzanotte i fuochi d'artificio tirati dalla Torre Eiffel. Il popolo assiste, fa ressa, dapprima alla mattina, sui Campi Elisi e poi la sera per i fuochi d'artificio.

Ogni città, Marsiglia, Lione, Lilla, per esempio, ha le sue tradizioni. Di solito, dopo la festa popolare del 13 luglio sera, il 14 è una giornata morta: tutti davanti ai piccoli schermi a vedere la sfilata o a sentire il presidente. Non c'è altro.

Quest'anno fa bel tempo, è caldo. Spesso invece piove e fa freddo almeno nel Nord della Francia. Quindi quest'anno il clima è ideale per la celebrazione della "grandeur" francese. Mi viene da ridere quando penso a una notizia di pochi giorni fa pubblicata dai quotidiani francesi nei quali si diceva che la maggior parte degli obiettivi colpiti dall'aviazione militare francese in Libia sono stati identificati e segnalati dai servizi segreti USA. Questa è la "grandeur" francese.

Quest'anno sono a Parigi per il 14 luglio. Non mi succedeva più da una buona ventina d'anni. Però non mi muovo di casa, non sono andato ai balli popolari ieri sera e ho la TV  spenta. La sfilata militare mi disgusta. Provo nausea di fronte all'esibizione della forza militare, penso ai morti delle ultime due guerre, al governo di Vichy, alle truppe USA che per ben due volte in un secolo sono intervenute per salvare la Francia. Non riesco a scordare questi aspetti. Il folclore monarchico mi supera. Lo scorso anno la candidata ecologista alle elezioni presidenziali, se non ero, aveva proposto di sostituire la sfilata militare con una sfilata "citoyenne", facendo sfilare sui Campi Elisi le ONG per esempio oppure le associazioni umanitarie. A me pareva una buona idea ma ha suscitato una violentissima opposizione. Sia a destra che a sinistra ci sono troppe persone che aspettano questo momento di pseudo-gloria.

Un ultimo dettaglio: per finanziare i balli popolari del 13 luglio sera nelle caserme dei pompieri nelle scorse settimane i crocicchi di Parigi erano occupati da giovani pompieri che vendevano biglietti di lotteria. Nelle ore di punta non si riusciva ad evitarli. Giovanotti in gamba, in uniforme, bei ragazzetto: i capi li mandavano sul terreno a raccogliere soldi. La gente compra i biglietti della lotteria e poi il 13 luglio sera va ai balli.


dimanche 16 juin 2013

Fred Buscaglione

Domenica, 16 giugno: per caso nel pomeriggio guardo RAI 3 TV accesa e sullo schermo appare Fred Buscaglione. Immagini in bianco e nero che ricordo benissimo. Era il lontano 1956. Nel convitto dell'Istituto Magistrale di Locarno, dopo cena, in una saletta contigua alla sala da pranzo, con alcuni compagni si andava a vedere e ascoltare una trasmissione in bianco e nero della RAI ( allora la TV era solo in bianco e nero) su Fred Buscaglione. Eravamo impressionati dalla novità, dall'originalità di quella musica, di quelle canzoni e del suo stile d'interpretazione. Qualche anno dopo sono arrivati Modugno e Lucio Battisti.

Non ricordo più i nomi dei compagni con i quali seguivo lo spettacolo che era per me del tutto inabituale. In quegli anni ero un cattolico praticante, un militante nell'azione cattolica, ma le canzoni, la musica di Fred Buscaglione mi affascinavano benché le recepissi come scandalose. Non ho più scordato da allora, ben 57 anni fa, "Eri piccola, piccola così", " Che bambola", " Guarda che luna", "Teresa non sparare", " Una sigaretta". Appena ho potuto,  ho acquistato un CD di Fred. Ho scoperto oggi che la casa editrice Cetra aveva rifiutato inizialmente di produrre dei 75 giri di Buscaglione che non era considerato un cantante. Il successo popolare di Buscaglione, iper-censurato, è dovuto ai juke-box.

Non capivo un gran che di quelle canzoni che cantavano la malavita, l' amore, le amanti, i soldi, la vita notturna di Torino né comprendevo molto quella  musica, oppure, sarebbe preferibile dire, ne capivo assai bene il senso, il valore trasgressivo:  sesso,  donne, amore, fumo, alcool erano per me allora realtà proibite al punto di essere incomprensibili. Dopo la prima cotta avevo cancellato dentro di me perfino il senso di " desiderarti tanto", non sapevo , non potevo dire a una ragazza, a una donna  " Che bella cosa sei", oppure semplicemente esclamare " Che Bambola!"ed  immaginare che una donna poteva essere un accumulo di curve. Ma certamente nell'inconscio  captavo qualcosa di tutto ciò al punto di non averlo mai scordato.

Buscaglione mi piace ancora oggi , mi commuove. Forse adesso ne afferro in parte anche l'importanza musicale nella storia della canzonetta italiana.  I suoi grandi successi si trovano su "You Tube". Nel 1956 ero a Locarno, cittadina provinciale. Non ero mai stato né a Torino, né a Milano. Non avevo la minima idea di cosa fosse una città industriale. Milano e Torino ci erano presentate dai professori come delle metropoli da sogno. Ho scoperto molto tardi che metropoli non erano affatto e che oggigiorno lo sono solo in parte. Non sono comparabili né a Berlino, né a Parigi, né a Londra, né a New York, tanto per citare qualche esempio. Ma erano senza dubbio incomparabili rispetto a Locarno.

Così oggi pomeriggio altro tuffo nel passato remoto, nell'adolescenza disperata e deprimente di un ragazzo di provincia. Mi fa bene ascoltare Fred Buscaglione, scoprire nella sua band l'eco della musica americana, del jazz, della vita pulsante di miseria, tradimenti, povertà, ricchezza, gelosia. L'avessi capito allora!

samedi 15 juin 2013

Chega de Saudade.

Un brano che anni fa suonavo al sax e che so ancora canticchiare. Adesso non suono più il sax perché nella casa in cui abito non si può. Manca l'isolamento. Sensazione di tristezza. Mi è venuta di colpo stasera, mi ha penetrato, dopo avere letto la decisione della società dei docenti svizzeri di opporsi alle esigenze del programma Harmos per quel che riguarda il coordinamento dell'insegnamento delle lingue straniere nelle scuole primarie dei sistemi scolastici elvetici. Argomenti deboli, reazione tardiva.

Non spiego cosa è il programma Harmos. Chi conosce la politica scolastica elvetica sa cosa sia. Per me è una follia, ma non entro in questa discussione. Di solito non penso più alla politica scolastica elvetica ed ho rimosso anche quella ginevrina dove ho passato gli ultimi otto anni della mia vita professionale. Sono lontano da Ginevra da ben otto anni ed ho rimosso tutto. Come ho già avuto modo di dire in questo blog gli anni ginevrini per me non sono stati affatto rosei. Vorrei starmene alla larga , scordarli, ma mi accorgo che ogni tanto riaffiorano di colpo. Non posso cancellarli. Sono dentro di me, nel bene e nel male, concorrono a fare di me quel che sono ora, con le mie idee sulla politica scolastica e la ricerca scientifica sull'organizzazione ed il funzionamento dei sistemi scolastici. Sono un tassello della mia "Weltanschaung". Per non offendere nessuno, spero di riuscirci, tengo per me gli apprezzamenti sul mio vissuto elvetico, quello degli anni 70 e poi quello della transizione dal ventesimo al ventunesimo secolo. Però questa sera quella voragine si è riaperta, di colpo. La lettura della notizia riportata dal Corriere del Ticino nonché la lettura di alcuni tweet scritti da abbonati al mio indirizzo mi ha fatto provare la sensazione di tristezza che posso calmare solo ascoltando "Chega de Saudade". Tante speranze deluse negli anni della cosiddetta vita attiva; la fine ormai prossima con la lucidità di un mondo che ho lasciato, che ho tentato di cambiare e che invece è rimasto quel che era.

Un paio di settimane fa ho dovuto rivedere un'intervista sulla mia formazione professionale realizzata nell'ambito di un progetto europeo, curata da un ricercatore francese che sarà pubblicata su una rivista francofona tra qualche mese. Anche questo tuffo nel passato è stato doloroso: ho dovuto spiegare cosa ho studiato, in quale università, in quali anni, come sono giunto all'OCSE, come mai mi sono occupato di indicatori senza avere nessuna competenza statistica, quali sono stati i fattori del successo del programma INES e della pubblicazione "Uno sguardo sull'educazione" ( "Education at a Glance"). Sono stato costretto a guardare al mio passato remoto, ai successi  e agli insuccessi. Stasera sono triste e guardo la serie TV USA Mad Men, stagione 2, episodio 2 " Flight 1" mentre cerco di capire quanto ho vissuto anni fa in riva al Lemano e all'Ara, il fiume che passa sotto il Palazzo federale a Berna. Ma la sensazione di tristezza non passa.

samedi 25 mai 2013

Vivere bene

Ho appena letto un articolo di Marcia Angell, Senior Lecturer in Social Medicine alla Harvard Medical School sulla New York Review of Books del 9 maggio 2013 che recensisce  un libro di George Vaillant [[Triumph of Experience. The Men of the Harvard Grant Study]] che  ha diretto dal 1972 al 2004 l'indagine avviata ad Harvard nel 1938 su 268 studenti maschi per rispondere alla domanda che cosa definisce il migliore stato di salute, e quali sono i fattori che rendono la vita felice. Ho immediatamente associato l'articolo al progetto DESECO dell'OCSE, boicottato e fallito, nonché alle tirate pseudo-filosofiche dell'OCSE sul successo nella vita o su una vita riuscita collegata all'istruzione. Questa ricerca, molto parziale e lacunosa, zeppa di difetti, è però una delle rari indagini longitudinali condotte su questi temi, continua tuttora con molti studenti di allora oggigiorno novantenni, che vi partecipano ancora. L'indagine è nota come l'indagine Grant. Del campione iniziale la morte ne ha portati via pochi per cui si dispone di una massa di dati unica per avviare una riflessione sul concetto " successfull life" sbandierato dall'OCSE in questi ultimi decenni senza dati precisi, senza ipotesi chiare, senza prove, insomma un poco alla leggera. Le strategie scolastiche contemporanee si sono impossessate di questo concetto venduto "urbi et orbi".

Parlo qui di quest'articolo qui perché non lo si trova in extenso su Google. La NY Review of Books ne ha pubblicato solo una presentazione succinta, di pochi paragrafi. L'articolo si può acquistare per circa 4 dollari. Siccome ho anch'io più di settant'anni il libro mi interessa anche dal punto di personale.

L'autore, George E.Vaillant è pure un ultra settant'enne e tira le conclusione dai dati in suo possesso incrociando quelli dell'indagine Grant con quelli di altre due indagini longitudinali della stessa portata svolte negli USA. Il tutto mi sembra molto interessante.

Ovviamente, la selezione molto particolare del campione convalida la tesi secondo la quale il livello d'istruzione è un fattore determinante del successo nella vita, di guadagni  elevati, di una bella vita insomma. Mi chiedo se una vita di successo sia equivalente ad una bella vita e cosa significhi una bella vita. Probabilmente non esiste identità tra i concetti di vita riuscita e di bella vita.

Un fattore di riuscita nella vita è un buon matrimonio, ossia una partner con la quale si vada d'accordo, poco importa se sia il primo o il secondo matrimonio, ed infine l'alcolismo sia dell'uomo che della partner, fenomeno che è un effetto di malessere e non una causa di fallimento dell'esistenza.

Uno dei punti deboli dell'indagine Grant è paradossalmente la sua lunghezza: gli uomini intervistati regolarmente sono dei "dinosauri" secondo l'espressione dell'autrice dell'articolo, ossia sono  persone cresciute in un altro mondo, in una società scomparsa. Essere amati dai genitori negli anni 20 per un bambino non è come essere amati e circondati di attenzione e affetto nel 2010. Per me essere amato negli anni 40 non è come i miei figli amano i miei nipotini ora.

Una frase di Vaillant, l'autore del libro, mi fa riflettere perché non ne vedo bene le conseguenze sull'istruzione iniziale che è poi l'aspetto che mi interessa: " l'uguaglianza dei livelli d'istruzione di per sé è bastata per produrre uguaglianza della salute fisica"  [[ " Parity of education alone was enough to produce parity in physical health"]].

Nell'articolo non si accenna alla sessualità, altro tema rilevante probabilmente per condurre una vita felice. Si parla invece delle mogli o delle compagne o delle partner che contano moltissimo nell'invecchiamento dei maschi.

In ogni modo , forse anche perché ho una certa età, l'articolo mi ha interessato perché ritengo che una vita di successo debba includere anche la vecchiaia, il modo con la quale la si vive. La degenerazione fisica presto o tardi arriva per tutti ma cosa può fare la scuola a questo riguardo? I livelli d'istruzione contano? Mi sembra che nell'attuale impostazione delle valutazioni sulla riuscita scolastica l'orizzonte temporale del successo sia l'entrata nella vita attiva, o la carriera professionale, ossia un orizzonte a breve scadenza.

Cito questo articolo non tanto per i contenuti e le riflessioni sull'esistenza che si possono trarre dalle indagini empiriche, ma per il metodo, perché si tratta di una  delle poche indagini longitudinali che esplorano la durata della nostra esistenza e che cercano  coincidenze o  correlazioni tra quanto si vive durante la scolarità iniziale e l'esistenza fino alla vecchiaia. Ci sono molti aspetti oscuri da esplorare, molti elementi da chiarire se se si ha la volontà di non rassegnarsi e soprattutto di non affidarsi a spiegazioni mistiche della vita e della morte.


dimanche 19 mai 2013

Infarto


Per sei giorni di fila sono stato degente nel reparto cure intense del centro cardio-medico dell'ospedale Salpétrière-La Pitié., un ospedale del,servizio pubblico sanitario francese.  Mi hanno trasportato d'urgenza in una tecno-struttura ospedaliera. Professori, assistenti, studenti, infermieri, altro personale ospedaliero a iosa che andavano in tutti i sensi.  Un nugolo di persone con camici vari che ne denotano la posizione gerarchica e ne contraddistinguono la funzione  nei corridoi, discutono, chiacchierano tra loro, giorno e notte. Aspetto per quattro giorni una spiegazione di quel che mi è capitato  .Occorre porre molte domande nei rari momenti in cui è possibile fermare qualcuno per capire la ragione di esami, di pillole da prendere, per dare un senso a quanto si sta sperimentando e  per ridurre la sofferenza, per prevenire, per guarire. I progressi delle cure terapeutiche sono innegabili, ma le frustrazioni sono anche rilevanti quando per una vita intera si è lottato per essere padroni di se stessi, per non lasciarsi dominare o schiacciare né dal potere né dalla presunzione di chi comanda.

Il soggiorno ospedaliero è un'occasione per molteplici osservazioni sociologiche. Dapprima sul personale e poi sull'organizzazione e le procedure di funzionamento dell'istituzione ospedaliera. All' osservatore esterno, ossia in questo caso al paziente,  salta subito all'occhio la struttura molto gerarchizzata dell'istituzione: la scala gerarchica, almeno qui, è molto ampia. Dal vertice alla base esiste una gamma di graduazioni  larga e diversificata.. Penso subito alle promozioni, alle lotte per andare avanti, per fare carriera. Qua dentro il termine carriera ha un senso non come nel mondo scolastico. Suppongo quindi che ci debbano essere concorrenza, competizione, congiure, manovre multiple per salire nella gerarchia, per non scendere o semplicemente per tenere il proprio posto. Sicuramente gli esperti dell'istituzione ospedaliera conoscono e hanno descritto questo universo nel quale interviene non solo la competenza. Quanto contino i criteri di competenza in queste manovre per me è impossibile dirlo. L'alta specializzazione tecnologica genera livelli multipli di responsabilità, il controllo e l'uso delle risorse,ma anche in questo caso sarebbe bene sapere qual è il rapporto tra livelli di responsabilità e modalità di rendicontazione ( ossia l'"accountability"). Da tutti questi punti di vista intravvedo similitudini e differenze tra il sistema ospedaliero e quello scolastico. Quello ospedaliero mi pare più complesso , e quello scolastico mi sembra meno strutturato all'interno, con una gerarchia meno estesa e meno leggibile. Entrambi i sistemi stanno facendo i conti con la valutazione esterna ( espressione alquanto detestata nelle cerchie della Svizzera Romanda della ricerca scientifica sulla scuola ) e con il dovere di trasparenza almeno per quel che concerne il settore pubblico-statale. Mi ricordo che all'OCSE negli anni Novanta l'insieme di indicatori internazionali comparati dei sistemi scolastici e dei sistemi nazionali  della sanità sono stati prodotti negli stessi anni. A questo  punto non posso non evocare Michel Foucault che aveva appunto iniziato le sue indagini sul sistema di potere negli ospedali con uno stage proprio qui dove mi trovo , ossia alla Salpétrière-La Pitié,  e Ivan Ivic che ha pubblicato  nel corso degli anni Settanta un altro  celeberrimo pamphlet sull'evoluzione delle istituzioni del welfare state intitolato "La Nemesi medica" che faceva seguito al pamphlet sui sistemi scolastici " De-schooling society". Mi chiedo come fare in modo di conciliare il progresso medico-farmaceutico che genera una tecno-struttura gigantesca e forme di lobbismo invadenti al servizio della finanza internazionale con la razionalizzazione dei trattamenti medici, il miglioramento delle cure e il rispetto dei diritti e dei doveri dei singoli?
Anche la sociologia del personale attivo all'interno dell'istituzione ospedaliera è un terreno di osservazione fertile di considerazioni sulla struttura sociale.  Il paziente è soprattutto in contatto con il personale di base, quello infermieristico, quello delle pulizie, dei trasporti, dell'amministrazione, della mensa. In questo ospedale che ha 400 anni di vita la maggior parte di queste persone è di colore. Non conta più la nazionalità ( in questo caso essere francesi): si recluta chi c'è per un lavoro duro, poco retribuito. L' inquadramento  invece mi sembra diverso. Salta agli occhi la presenza di molte giovani donne, forse in una proporzione di nove su dieci. I maschi sono una minoranza e non svolgono compiti umili.  Suppongo ci debbano essere statistiche in merito.. In questo caso esiste una similitudine tra il sistema scolastico dove le donne sono in maggioranza, in particolare enlla scuola primaria e il sistema ospedaliero. Anche nel mondo scolastico dirigenti, ispettori, responsabili sono in prevalenza maschi e le professoresse sbaragliano il campo alla base, nella scuola primaria e nella scuola media. Si è in pieno nel problema dei generi. Certe professioni rappresentano probabilmente la porta d'entrata nel mondo del lavoro per le donne che devono accettare posizioni subalterne oppure condizioni di lavoro per nulla favorevoli. Nel settore ospedaliero le porte al personale di origine non indigena mi sembrano più aperte che non nel mondo scolastico. Senza questo personale molti ospedali dei centri urbani europei non funzionerebbero e dovrebbero chiudere. La penuria di personale più o meno qualificato per svolgere mansioni meno nobili di quelle dei dirigenti si fa però sentire da anni anche  in molteplici sistemi scolastici. Ci si può quindi chiedere quando i bacini di reclutamento del personale al quale attingono le istituzioni statali potranno continuare a fornire risorse umane, fin quando si potrà pompare in questi bacini, in zone meno sviluppate dove è presente una massa di persone pronte a qualsiasi sacrificio pur di entrare nel mondo del lavoro. Ma questo non sarà un problema di cui dovrò preoccuparmi.

Sono ben cosciente che queste osservazioni non sono affatto originali, sono epidermiche, frutto di osservazioni momentanee, prive di documenti, di prove empiriche. Mi servono per riflettere e per resistere mentalmente alla pressione dell'apparato medico nelle cui mani mi trovo. Altro genere di riflessioni sono quelle consentite in una fase come questa di calma nella mia vita  per l'introspezione per riflettere sulle osservazioni delle persone che mi sono prossime,, ma queste considerazioni le tengo per me.

samedi 27 avril 2013

Viacolvento: AERA Meeting 2013 San Francisco

.AERA Meeting

L'AERA è l'incontro annuale della Società Americana di ricerca sull'istruzione.  La manifestazione permette di riunire una buona parte della comunità che negli Stati Uniti svolge indagini sull'istruzione, di trovarsi una volta all'anno per presentare le indagini, di confrontare le opinioni sui metodi di lavoro, di incontrare i responsabili politici che si occupano di scuola e di promozione della ricerca scientifica nel campo scolastico, di ponderare, correggere, contestare, criticare le loro opzioni, di esporre e di spiegare quando è possibile , quando le prove sono convincenti, conclusioni di indagini che vanno considerate come punti fermi. Evidentemente l'incontro è l'apice della vita dell'associazione che rappresenta la maggior parte della comunità scientifica attiva nel settore dell'istruzione scolastica americana, ma non solo. La vita interna dell'associazione consente di coronare la carriera scientifica accademica.  Non si occupano posti prestigiosi nell'ambito dell'associazione senza guadagnarli. Questo non vuol dire che si comperano. Si ottengono sul campo, si guadagnano con meriti conseguiti sul campo, ossia nell'ambito dell'attività scientifica con risultati riconosciuti e apprezzati dai pari. Non tutti si prestano al gioco, ma le star della pedagogia americana sono presenti, intervengono con i propri associati , i propri assistenti e dottorandi. Tengono relazioni, commentano presentazioni varie, si incontrano ovunque nel corso di queste giornate.

L'incontro ha travalicato i confini degli Stati Uniti ed è diventato un incontro internazionale. Quest'anno a San Francisco erano rappresentate più di 60 nazionalità . Tradizionalmente  è sempre presente un forte nucleo britannico, uno olandese, uno scandinavo, uno australiano ed uno neozelandese. Da alcuni anni è diventata visibile la,presenza cinese e russa. 

Si tratta di un mega-incontro con circa 15000 partecipanti, almeno 6000 sessioni di vario tipo, dai simposi, alle conferenze TED. La selezione delle presentazioni inizia con un anno d'anticipo ed è molto rigorosa. Soltanto il 10%   circa delle proposte di presentazioni è accettato dopo essere stato vagliato con una procedura di tre arbitri anonimi che giudicano l'interesse, l'originalità della potenziale presentazione. 







Viacolvento: AERA Meeting 2013 San Francisco

.AERA Meeting

L'AERA è l'incontro annuale della Società Americana di ricerca sull'istruzione.  La manifestazione permette di riunire una buona parte della comunità che negli Stati Uniti svolge indagini sull'istruzione, di trovarsi una volta all'anno per presentare le indagini, di confrontare le opinioni sui metodi di lavoro, di incontrare i responsabili politici che si occupano di scuola e di promozione della ricerca scientifica nel campo scolastico, di ponderare, correggere, contestare, criticare le loro opzioni, di esporre e di spiegare quando è possibile , quando le prove sono convincenti, conclusioni di indagini che vanno considerate come punti fermi. Evidentemente l'incontro è l'apice della vita dell'associazione che rappresenta la maggior parte della comunità scientifica attiva nel settore dell'istruzione scolastica americana, ma non solo. La vita interna dell'associazione consente di coronare la carriera scientifica accademica.  Non si occupano posti prestigiosi nell'ambito dell'associazione senza guadagnarli. Questo non vuol dire che si comperano. Si ottengono sul campo, si guadagnano con meriti conseguiti sul campo, ossia nell'ambito dell'attività scientifica con risultati riconosciuti e apprezzati dai pari. Non tutti si prestano al gioco, ma le star della pedagogia americana sono presenti, intervengono con i propri associati , i propri assistenti e dottorandi. Tengono relazioni, commentano presentazioni varie, si incontrano ovunque nel corso di queste giornate.

L'incontro ha travalicato i confini degli Stati Uniti ed è diventato un incontro internazionale. Quest'anno a San Francisco erano rappresentate più di 60 nazionalità . Tradizionalmente  è sempre presente un forte nucleo britannico, uno olandese, uno scandinavo, uno australiano ed uno neozelandese. Da alcuni anni è diventata visibile la,presenza cinese e russa. 

Si tratta di un mega-incontro con circa 15000 partecipanti, almeno 6000 sessioni di vario tipo, dai simposi, alle conferenze TED. La selezione delle presentazioni inizia con un anno d'anticipo ed è molto rigorosa. Soltanto il 10%   circa delle proposte di presentazioni è accettato dopo essere stato vagliato con una procedura di tre arbitri anonimi che giudicano l'interesse, l'originalità della potenziale presentazione. 







vendredi 26 avril 2013

AERA Meeting 2013 San Francisco

Hello a tutti da San Francisco. Sono appena giunto da Parigi per partecipare alla riunione annuale della societa' americana di ricerca sull'istruzione (American Educational Research Association , acronimo AERA). Il tema di quest'anno e' "istruzione e poverta'" (Ci sono problemi di accento dalla tastiera USA dei computer dell'Apple Store). Traduco con istruzione il termine inglese "education", mi sempbra piu' pertinente. Ci sono circa 15000 inscritti e sono previste grosso modo 6000 presentazioni. Inizia domani pomeriggio. Oggi vado a registrarmi e a ritirare i documenti. Partecipo a questi incontri da circa trent'anni, dapprima quasi ogni anno, adesso con minore regolarita'. Ne ho meno bisogno, ma al convegno dell'AREA  incontro vecchi amici non solo americani almeno una volta all'anno. Riferiro' sul convegno se ci riesco nei prossimi post. Per ora consiglio a chi ha un conto Twitter di consultare #aera13.

dimanche 14 avril 2013

A Lugano un defunto nominato nella giunta comunale

E' bene che si sappia. Certe cose non succedono solo nei gialli di Camilleri o laddove la democrazia è balbettante. Si sono svolte in questi giorni a Lugano le elezioni per la nomina della giunta e del sindaco. Ebbene, terzo eletto è risultato un morto, Giuliano Bignasca, defunto più di un mese fa. A Lugano, la mia città, il popolo ha eletto un morto nella giunta!  Queste sono cose di mafia.
Come ciò è potuto succedere? Non so rispondere a questa domanda perché non abito più nel Luganese da decenni, ma molti miei amici mi hanno segnalato scandalizzati l'enormità. Lugano non è una città qualunque. Ha una delle più alte concentrazioni di banche per abitante al mondo, una delle concentrazioni più dense di farmacie per abitante al mondo, probabilmente anche di medici e di studi d'avvocatura e notarili. Ha un'università, è la sede di un vescovado, ha ospitato per decenni la sede della Radio Svizzera Italiana e della Televisione della Svizzera Italiana, due enti che hanno traslocato in un comune periferico della città o che forse è stato incamerato nella città recentemente. Non ne sono al corrente. Quindi probabilmente a Lugano vivono anche moltissimi giornalisti. In altri termini Lugano è un polo culturale. A Lugano esiste un'orchestra sinfonica, un coro di livello mondiale di musica da camera seicentesca. In altri termini la città non è sprovveduta, non è un polo industriale, naviga nel benessere. E' stata nell'Ottocento un rifugio per molti attori dell'unità d'Italia, come per esempio Carlo Cattaneo o i fratelli Ciani. All'inizio del Novecento è diventata un rifugio per  gli anarchici. E' proprio il caso di cantare con loro: "Addio Lugano bella". Ed ora a Lugano si nomina un morto nella giunta comunale e la Lega dei Ticinesi, un movimento strano, assai vicino alla Lega Lombarda di Bossi, conquista la maggioranza politica e con grande probabilità il futuro sindaco della città sarà un leghista. Resto anch'io allibito di fronte a quest'evoluzione ma non ho argomenti per analizzarla e nemmeno la forza per farlo. Mi sento umiliato non tanto per la vittoria della Lega dei Ticinesi (così si chiama il movimento politico che ha sbaragliato il campo) quanto per il morto votato dal popolo. Un omaggio postumo, si potrebbe dire, a una personalità unica? Tutti sapevano che era morto. Il suo funerale fu un funerale di stato, con la partecipazione dei leaders leghisti lombardi. I media locali hanno riservato grande spazio all'evento. Eppure un gran numero di votanti , pur sapendo che il candidato era defunto, lo hanno votato. Cosa significa questa scelta? Provo vergogna ma temo che la maggioranza degli elettori ritengano questo gesto una farsa e non abbiano sentimenti analoghi ai miei. Si dice che il corpo elettorale in democrazia abbia ragione e che le sue scelte vadano rispettate. Il popolo ha sempre ragione, diceva mio padre. Vorrei essere aiutato a capire quanto è successo, come ciò sia potuto capitare, perché pur vivendo all'estero da decenni, la città nella quale ho studiato e dove sono cresciuto resta pur sempre la mia città.

samedi 30 mars 2013

Premio Goncourt 2012

In queste uggiose giornate di marzo ho letto il libro di Jérôme Ferrari "Le sermon sur la chute de Rome" che ha vinto lo scorso autunno il prestigioso premio letterario Goncourt in Francia. Il volume sarà certamente tradotto in italiano o magari è già stato tradotto. Il romanzo mi è piaciuto. Scrittura magnifica, molto diversa dal francese classico, con frasi lunghe come in italiano, una prosa mozzafiato ma molto leggibile.
Al centro del racconto, un bar di un villaggio della Corsica a metà costa, da cui si intravvede il mare in lontananza, frequentato all'inizio da omaccioni, da cacciatori di cinghiali, da grandi bevitori davanti all'Eterno. Nel libro si racconta la storia del bar ritirato da due giovani locali che interrompono studi brillanti in filosofia, uno su Leibniz e l'altro su San Agostino. La vicenda si intreccia con la storia di una famiglia locale, con zii, nonne, cugini sparsi nel mondo che spariscono uno dopo l'altro, secondo le leggi ineluttabili della natura. Tutti muoiono, in un modo o in un altro, nonostante le ambizioni, le carriere, i successi ed i fallimenti dell'esistenza. Le famiglie, anche le più unite, finiscono per disgregarsi e sparire nei meandri delle genealogie e dei cimiteri.
Il volume termina con la predica di San Agostino sulla caduta di Roma invasa dai Visigoti nella cattedrale di  Ippona assediata dai Vandali.   La predica è un omaggio a uno dei personaggi chiave del libro, ex-studente brillante, figlio di una numerosa famiglia di emigrati sardi, Libero Pintus.
Alcune pagine sono magnifiche. Ricordo quelle dedicate alla vigilia pasquale, al rito celebrato in Corsica, nella notte del sabato santo accompagnato dal canto polifonico di una corale di Corte.

Anche a me la liturgia del sabato santo mi era molto piaciuta quando cominciavo a capire qualcosa del mondo biblico. Per questa ragione mi è venuta voglia di citare questa lettura e questo libro. Mi sono ricordato di una spedizione primaverile agli inizi degli anni Sessanta,  un venerdì santo, a piedi verso un paesotto delle prealpi meridionali ticinesi, Isone, con un gruppetto di scout cattolici di cui ero allora responsabile. La vocazione dell'educatore mi è passata perché ho capito che non era la mia. La notte di venerdì l'abbiamo passata riparati in un cascinale a Gola di Lago. Questo toponimo esprime bene la natura del passo che permette di scendere da Nord a Lugano e di arrivare al Ceresio. Siamo stati svegliati la mattina presto dal proprietario del cascinale semi-diroccato, probabilmente un contadino locale, che ci ha insultati ben bene, a ragione. Siamo ripartiti in fretta e furia per arrivare a Isone a preparare con il parroco la veglia notturna del sabato santo. Ero molto orgoglioso di questa impresa. Mi sembrava di fare una gran cosa, di combinare una buona azione (l'aiuto a un parroco di montagna) con una liturgia impegnativa, zeppa di simboli profondi, per nulla superficiale. Prendevo sul serio queste occasioni, questi testi, un poco come la predica di Sant'Agostino sulla caduta di Roma, nella quale il vescovo di Ippona tenta di spiegare alle sue pecorelle che anche Roma può cadere, che le opere dell'uomo sono fragili, non sono eterne. Restano ogni tanto dei ruderi, dei ricordi, qualche fotografia ingiallita.

mercredi 20 mars 2013

Storia dei nonni che non ho avuto

Questo è il titolo di un libro uscito un anno fa in Francia, pluripremiato, che quasi di sicuro non sarà tradotto in italiano, per cui do le referenze bibliografiche originali:
Ivan Jablonka: Histoire des grands-parents que je n'ai pas eus, Seuil, 2012.

Si tratta di un libro inclassificabile: non è un romanzo, non è un saggio di storia, non è un giallo. E' tutto questo ed è altro. Il volume è stato premiato come testo di storia. Jablonka è un giovane storico, ha 38 anni, vive a Parigi. Il libro forse annuncia l'apparizione di un modo nuovo di fare storia, di scriverne, di parlarne.

L'autore è andato alla ricerca dei nonni paterni che non ha mai conosciuto, ne ha ricostruito le vicende prendendo lo spunto da pochissimi documenti, una foto, qualche testimonianza, in primo luogo quella del padre nato nel 1940 a Parigi, della zia, di cugini sparsi nel mondo, alcuni in Argentina, altri in Israele, altri negli USA. Da questo punto di vista si tratta indubbiamente di un libro di storia. In modo metodico, verificando i documenti , rimbalzando da un prova all'altra, con fiuto, con perseveranza, con rigore, incrociando pareri diversi,  l'autore tratteggia un metodo storico applicato ad un caso preciso, quello dei suoi nonni, Matès e Idesa Jablonka, una coppia di ebrei polacchi, nati e cresciuti a Parczew.

Si entra nel libro a fatica, all'inizio ci si muove storditi nel mondo degli ebrei di Parczew e si scopre che anche in quella comunità non tutto è roseo. In gioventù i due diventano militanti comunisti, si innamorano, si sposano e scappano dalla Polonia. Dove vanno a finire? Come molti altri a Parigi, come succedeva a molti clandestini. Arrivati a Parigi al momento del fronte popolare di Leon Blum inizia la trafila per uscire dalla clandestinità, per ottenere la cittadinanza francese. Più si avanza nella lettura più si è presi alla gola dalla nausea degli eventi che hanno preceduto lo scoppio della seconda guerra mondiale, dalla ricostruzione meticolosa degli alloggi dei clandestini, dalle loro condizioni miserevoli di vita.  Il libro diventa un giallo. Non gliene va bene una. Allo scoppio della guerra mondiale nascono due figli, il che vuol dire che una certa speranza e voglia di vivere probabilmente sopravvive in questa coppia nonostante la durezza della vita quotidiana.  Idesa, la moglie, non milita più. Matès, il marito forse, ma non ci sono prove per affermarlo. E' aiutato anche da anarchici francesi, ma lui si arruola nella Legione Straniera, una scelta fatta probabilmente con la segreta speranza di avere una carta in mano per ottenere un documento che lo faccia uscire dalla clandestinità. La Legione è mandata sul fronte di guerra nella Somme per affrontare l'avanzata tedesca nel 1940 ed è un massacro. Matès si salva, non si sa bene come, non ci sono testimoni oculari da intervistare. Il libro non vuol essere un romanzo. Gli atti eroici non servono, si ricade nella clandestinità con due piccoli da crescere e finalmente il peggio arriva. La coppia è arrestata al proprio domicilio nei paraggi del cimitero del "Père Lachaise" a Parigi da gendarmi francesi  nel 1943, è trasferita al campo di raccolta di Drancy alla perifieria di Parigi e poi finisce a Auschwitz ed è assassinata. I bambini si salvano perché al momento dell'arresto non erano in casa e la coppia li aveva affidati a un vicino di casa polacco con le carte in regola.

Per scrivere il libro l'autore   ha esplorato una ventina di archivi, in Francia e in Polonia. Montagne di scartoffie nonostante la distruzione di molti archivi preziosi avvenuto alla fine del conflitto bellico. Ma non tutto è stato distrutto. L'amministrazione burocratica non perde il vizio, annota tutto. Con pazienza l'autore cerca i nomi dei nonni nelle scartoffie, poi va ad incontrare testimoni oculari in Francia, in Polonia, in Israele, in Argentina, negli USA. Cerca di tenere le distanze da una vicenda che lo attanaglia, di scrivere un libro di storia. Credo che ci sia riuscito. Nella quarta di copertina l'autore afferma che l'emozione nasce dalla nostra tensione verso la verità. C'è una traccia di Michel Foucault in questo passaggio. Anche Foucault a suo modo era un innovatore nel mondo della storia.

Per concludere, il libro è anche la ricostruzione della scomparsa della cultura yiddish , di un mondo massacrato dagli eventi terribili della seconda guerra mondiale.

Anch'io non ho conosciuto mio nonno paterno. E' morto prima che nascessi. Era una figura autoritaria. Aveva ripudiato un figlio per una storia amorosa e l'aveva costretto ad emigrare negli USA. I suoi figli, i miei zii e mia madre non ci sono più. Non ho testimoni diretti di questo emigrante bergamasco di Costa in Val d'Imagna che ha fatto fortuna nella Svizzera Italiana.

dimanche 10 mars 2013

Lutto cantonticinese

Alcuni giorni fa è deceduto improvvisamente a Lugano Giuliano Bignasca. Per chi non lo sapesse ancora Giuliano Bignasca, detto Nano,  fu il fondatore della Lega dei Ticinesi, qualcosa di simile per filosofia politica alla Lega di Umberto Bossi e non è un caso se Bossi e Maroni erano presenti al funerale di Bignasca a Lugano.
Bignasca è un fenomeno a sé stante, un capo-popolo, una persona volgare, grossolana, senza peli sulla lingua, una figura carismatica che è riuscita ad ottenere i consensi di una parte cospicua dell'elettorato ticinese (circa un quinto degli elettori).
Sono partito dal Ticino prima che il fenomeno Bignasca si manifestasse ma se fossi rimasto lì ne sarei stato un bersaglio, che dico, una vittima.
Non è però del morto che intendo parlare ma di un articolo su Bignasca pubblicato dal Sussidiario e firmato da un certo Claudio Mésoniat che pure non conosco. Quando ho letto l'articolo sono rimasto di stucco. Come mai "Il Sussidiario", quotidiano elettronico, pubblicato in italiano, diffuso soprattutto in Italia,  con redazione a Milano e con  più di due milioni di lettori, ha pubblicato un articolo su Bignasca, ossia su un personaggio strano, squallido, volgare, magari , anzi senza dubbio intelligente anche se ciò non vuol dire nulla, che ha spopolato nel Canton Ticino, un angolino di Svizzera dove si parla ancora italiano e dove soprattutto si comunica in vari dialetti che invece sono quasi scomparsi nel resto d'Italia? Non capivo quale fosse l'interesse del "Sussidiario" per questa figura che per principio non interessa nessuno in Italia. Del resto in Italia si ignora quasi tutto del Canton Ticino e la maggioranza dei Ticinesi è ferocemente anti-italiana. Il necrologio di Mésionat  era molto alambiccato. Non si capiva bene cosa volesse dire. In conclusione tesseva un elogio allo scomparso al quale si attribuiva il merito della creazione dell'Università della Svizzera Italiana, una rivendicazione che risaliva al 1848 o giù di lì, mai realizzata (vorrei qui precisare che ho sempre avversato la creazione di un'università nel Canton Ticino), ma prima della coda dell'articolo Mésoniat si dilungava sui valori impersonati da Bignasca, in particolare sulla relazione tra opinione pubblica e politica. Bignasca avrebbe interpretato con intuizioni e fiuto unici gli umori dell'opinione pubblica cantonticinese e per questa ragione sarebbe diventato un uomo politico di grande rilevanza, un leader, un capo-popolo. Ho subito pensato a Grillo, a Berlusconi. Anche se da decenni non vivo più nel Ticino questo è pur sempre il mio paese d'origine e lì vivono i miei familiari, quelli di mia moglie, molti amici. Parecchia gente offesa, umiliata dalla "verve" polemica di Bignasca, attaccata per settimane con insulti di ogni tipo sul settimanale della Lega dei Ticinesi "Il Mattino della Domenica". Questa sofferenza, queste umiliazioni, questo terrorismo retorico mi erano noti. E' così che ho conosciuto Bignasca, mediante la testimonianza di persone che sono state violentemente attaccate, in modo indiretto dunque, senza nessuna esperienza personale.

Non tutto è roseo nel Canton Ticino. Ci mancherebbe. Ma la contestazione, la critica, le denunce si formulano secondo codici e regole nelle società avanzate. Lo scomparso ha violato questi codici ed ha raggranellato voti e appoggi, è stato ammirato. Per molta gente fu un faro, una guida, un esempio anche se la sua vita personale non fu proprio esemplare, ma questi sono affari suoi.

Ho pertanto inviato al redattore capo del "Sussidiario" (credo che lo sia, ma non ne sono certo) Federico Ferrau  con il quale ho avuto a che fare in passato per contributi sulla scuola una messaggio di protesta, d'indignazione e di domande. Volevo dapprima segnalare che Bignasca non meritava a mio parere l'attenzione che "Il Sussidiario" gli ha prestato e poi volevo capire come mai "Il Sussidiario" aveva deciso di pubblicare il contributo di Mésoniat. Ferrau mi ha subito gentilmente risposto, menando un po' il can per l'aia.  Mi ha subito rinfacciato che non potevo esigere che il "Sussidiario" non parlasse di un fatto di cronaca rilevante come il decesso di Bignasca. Ha quindi specificato che il contributo è stato chiesto dal "Sussidiario" a Mésoniat; poi mi ha informato che Mésoniat è il direttore del Giornale del Popolo a Lugano (spiegherò tra poco cosa è il GdP) ed infine mi ha invitato a mandare una lettera al "Sussidiario" per spiegare il mio punto di vista come cittadino elvetico. Ho declinato l'invito perché non ho nessuna voglia di occuparmi di queste cose, ma lo faccio qui nel mio blog dove esprimo alcuni miei sentimenti.
Per prima cosa constato con sorpresa che nella redazione del "Sussidiario" a Milano si sapeva chi fosse Bignasca e cosa rappresentava. Come mai? Non lo so.
Poi scopro che il signor Claudio Mésoniat è il direttore del GdP. Orbene il GdP fu e forse lo è ancora il giornale dei cattolici ticinesi, anzi fu e forse lo è ancora il giornale della diocesi di Lugano. Il vescovo di Lugano ha voce in capitolo e forse indica, nomina (non lo so) , licenzia il direttore. Il GdP fu creato e diretto per decenni da Monsignor Alfredo Leber, che in un certo senso fu il tutore, la guida, il maestro di mio padre. So cosa è il GdP, non so più cosa sia il cattolicesimo nel Canton Ticino, ignoro tutto della diocesi di Lugano ma conosco assai bene il vescovo attuale, Mino Grampa, ex-rettore del Collegio Papio a Ascona, settantacinquenne, che attende  per limiti di età di essere sostituito. Quando ho saputo che Mésoniat era il direttore del GdP lì per lì non ho più ben capito il senso dell'articolo ma poi ho scoperto che il direttore del giornale luganese è una persona impegnata in CL (Comunione e Liberazione) e "Il Sussidiario" è l'organo di una fondazione prossima a CL o forse anche è il giornale della stessa CL, anche qui ammetto che non lo so. A questo punto non posso altro che emettere ipotesi da verificare: sembra che il GdP incontri problemi finanziari, che la curia vescovile luganese sia pure in difficoltà finanziarie. Il giornale sarebbe tenuto in piedi con risorse e aiuti  di vario genere provenienti da diverse fonti. Si potrebbe supporre che tra queste fonti ci sia anche la potentissima CL di Milano e quindi....."Il Sussidiario". Se le cose stanno in questo modo, ma ripeto non ho nessuna prova in mano, allora si capisce l'articolo. A Milano sanno cosa succede a Lugano, al "Sussidiario" si è in relazione con il GdP e con il suo direttore. Il fatto d'attualità maschera una relazione finanziaria, una relazione di potere. Potrei a questo punto scrivere al vescovo di Lugano  per avere lumi in merito, ma non ne vale la pena . Si potrebbe sbozzare la risposta.  Mi tengo le mie ipotesi , non avrò nessuna prova in mano, ma non scorderò quest'episodio che conforta la mia scelta, quella di andarmene, di tirarmi da parte, di ignorare il mio paese, anche se non lo si può sempre fare.

lundi 4 mars 2013

Il tallone di Achille: autonomie, istruzione tecnica e professionale, docenza. Un'agenda per il nuovo governo.

Convegno internazionale dell'ADI a Bologna, marzo 1 e 2 , 2013

Da una decina d'anni, verso la fine dell'inverno si svolge a Bologna un convegno particolare perché ha un taglio internazionale comparato su questioni scolastiche di rilievo per il mondo scolastico italiano. Do' un colpo di mano agli organizzatori per impostare il convegno e per trovare i relatori internazionali. Il "deus ex machina" del convegno è la presidente dell'ADI Alessandra Cenerini, una figura atipica,carismatica, nel paesaggio scolastico italiano che ha il pregio di avere capito come si debbano sfruttare le comparazioni internazionali nella politica scolastica. L'incontro si tiene nell'affascinante biblioteca del convento dei Domenicani. Quest'anno l'incontro era imperniato sui i difetti del sistema scolastico italiano. Il titolo del convegno è di per sè eloquente: "Il tallone di Achille". Quest'argomento, scelto lo scorso anno, tratta alcune debolezze macroscopiche del sistema scolastico italiano. Talune  sono associate ad ingiunzioni indirizzate da anni all'Italia dalle Organizzazioni internazionali , per modernizzare il sistema scolastico, renderlo migliore, più efficace. Da decenni le comparazioni internazionali di ogni tipo hanno evidenziato i ritardi scolastici della scuola in Italia che sono non solo nocivi per gli alunni ma che si ripercuotono in maniera negativa anche sul PIL. I punti deboli della scuola italiana sono noti con buona precisione da anni, ma purtroppo nulla cambia nella realtà. Se ne parla molto, si producono molti testi giuridici, ma i difetti permangono. Riforme ne sono state proposte a iosa e perfino votate ma l'impianto del sistema è rimasto immutato. Non ho l'intenzione di affrontare in questa sede le molteplici cause di questo stallo. Del resto ci sono storici dell'educazione molto bravi in Italia che hanno analizzato questa "impasse" assai bene. Basta qui ribadire che il sistema scolastico italiano è paralizzato ed è quasi intoccabile. Ho la sensazione di trovarmi di fronte a un caso di rigidità sistemica particolarmente interessante. Il convegno 2013 dell'ADI propone di rivenire su tre temi spesso denunciati che in modo drammatico penalizzano l'impianto scolastico italiano:
il centralismo,
lo stato dell'istruzione e formazione professionale,
la formazione e il reclutamento del personale scolastico.
I tre temi sono stati affrontati secondo un canovaccio originale: due attori citano i difetti maggiori di ognuno dei tre temi e relatori internazionali descrivono situazioni alternative, casi di successo nonché le modalità adottate altrove per superare gli ostacoli. Riprendo qui di seguito, alcuni appunti presi al volo durante le relazioni. I testi completi saranno pubblicati nel corso dell'anno nel sito dell'ADI (www.adiscuola.it):

 Autonomia e decentralizzazione.

Il relatore internazionale è Roel Bosker , olandese, professore all'Università di Groningen. Bosker mescola nella sua relazione informazioni provenienti dai Paesi Bassi con dati dell' indagine PISA. La validità delle due categorie di dati per me non è comparabile.Per Bosker non esiste nessun sistema scolastico totalmente libero. Qui ha ragione. Tutti i sistemi scolastici sono regolamentati chi più chi meno dagli Stati. Non tutti i modelli autonomi funzionano bene e migliorano i risultati scolastici. Quindi l'autonomia non è di per sé una panacea.L'autonomia funziona però meglio quando esiste una rendicontazione esterna. In Olanda il sistema scolastico à caratterizzato da: - massima libertà di scelta della scuola. Lo stato è tenuto a garantire a tutti i bambini, ovunque essi siano, la possibilità d'istruirsi; - selezione del personale da parte delle scuole; - grande adattamento alle circostanze locali. Il sistema scolastico olandese però non è privo di difetti: - Molta segregazione sociale; - Concorrenza tra scuole per rubarsi i buoni insegnanti; - Costi elevati, inefficacia Bosker conclude con alcune raccomandazioni: Prevedere l'autonomia scolastica in certi campi;
Impostare la rendicontazione obbligatoria per ogni istituto scolastico;
 Lasciare allo Stato la responsabilità globale del sistema scolastico;
 Esigere la trasparenza da tutte le scuole;
Fornire una preparazione eccellente al corpo insegnante;
Avere eccellenti dirigenti.

Seconda sessione (venerdì pomeriggio): l'istruzione e la formazione professionale. In apertura Cenerini invita a partire da questo settore che è forse il più malandato del sistema scolastico italiano. Intervengono due relatrici: Cecilia Baumgartner e Malgorzata Kuczera. Baumgartner: cosa è l'apprendistato?


 Cecilia Baumgartner è la direttrice dell'apprendistato nella provincia autonoma di Bolzano. Riferisce sull'impostazione dell'apprendistato nel Sud-Tirolo. Per me nulla di nuovo poiché in Svizzera è la stessa cosa.Il modello d'apprendistato in auge nel Sud-Tirolo prevede due blocchi di quindici giorni: quindici giorni a scuola e quindici in azienda. La parte scolastica, suddivisa tra cultura generale e teoria del lavoro, à di 400 ore /annue. Baumgartner insiste su due punti: la necessità di collaborare con le aziende di essere in stretto contatto con loro e la necessità di aggiornare senza soluzione di continuità il modello dell'apprendistato o della formazione in alternanza tra scuola e lavoro. La novità per me è l'annuncio del cambiamento curricolare con la transizione dalle discipline alle aree d'apprendimento. Una cosa è certa: la soluzione dell'apprendistato è efficace contro la dispersione, è positiva contro la disoccupazione, induce ad apprendere un mestiere. Non si termina l'apprendistato se non si padroneggia il mestiere scelto o nel quale ci si è formati.

 Malgorzata Kuczera, analista di politiche educative, OCSE, Parigi, ha la responsabilità di descrivere il quadro internazionale. L'OCSE da anni insiste sull'importanza dell'apprendistato, sulla necessità di instaurare passerelle dall'istruzione di cultura generale alla formazione professionale, sulla necessità di differenziare l'istruzione e la formazione professionale, sulla necessità di sviluppare istituti tecnici superiori. Malgorzata ribadisce quanto importante sia fare esperienze di lavoro reale e non simulazioni artificiose di lavoro. Nel commento cito la hall di albergo costruita con sussidi dell'Unione Europea all'entrata dell'istituto alberghiero di Marsala che visitai nel 2001. Le proposte dell'ADI per quel che riguarda l'istruzione e la formazione professionale sono presentate in fin di giornata dai due attori. Le riassumo: - Promuovere la cultura del lavoro e rompere il circolo vizioso che la svaluta; - Creare un ciclo unitario di base di 8 anni, quindi fondere scuola media e scuola primaria. Qualcosa di simile era stato proposto dal ministro Luigi Berlinguer nel 1997, senza però andare fino in fondo perché, se ben ricordo, la proposta era quella di costituire un ciclo unitario di sette anni e non di otto; - Modificare i curricoli per applicare il principio che si impara facendo. Mi viene in mente a questo punto Jean Piaget che aveva teorizzato questo principio con il concetto di operazioni; - Creare l'apprendistato. Trasformare gli istituti tecnici in istituì a statuto speciale della durata di 4 anni Sviluppare gli ITS e regolamentare l'accesso che deve essere libero solo per chi proviene dalla filiera professionale.

 Sabato mattina: l'ultima sessione è dedicata agli insegnanti, ed è intitolata "Insegnanti in cerca di identità", altro tema scottante nella politica scolastica italiana con interventi di due relatori internazionali, il prof. Andy Hargreaves, inglese che insegna alla Boston University e Marcel Crahay, belga, titolare della cattedra di pedagogia generale della Facoltà di scienze dell'educazione di Ginevra.. Nell'introduzione alla sessione, Alessandra Cenerini ricorda che l'ADI à stata l' unica associazione che in Italia ha preso posizione contro le sanatorie che accettano nelle graduatorie persone abilitate con il criterio dell'anzianità. Hargreaves inizia con una citazione di Gramsci e ripete che ogni insegnante è un intellettuale. La qualità degli insegnanti è l'elemento più importante della scuola. Spiega il capitale professionale : capitale è una metafora. Sviluppa il concetto il concetto di capitale messo a punto con Michael Fullam, il collega che ha firmato con lui la maggior parte dei libri sugli insegnanti. Il buon insegnamento è tecnicamente sofisticato. La preparazione di un insegnante richiede una lunga formazione Tre elementi concorrono a costituire qualità dei docenti:

- Capitale umano
- Capitale sociale
- Capitale decisionale

 Il capitale umano comporta:

 - Qualifiche
- Conoscenze
- Preparazione
- Competenze

 Ci vogliono una decina d' anni per sviluppare il capitale umano di un insegnante.

 Il capitale sociale richiede meno tempo per costituirsi. Comporta quel che si può fare con gli insegnanti in servizio:
 - Fiducia reciproca
- Collaborazione
- Responsabilità collettiva
- Reciproca assistenza
- Rete professionale
- Supporto reciproco, condivisione

 Il capitale sociale degli insegnanti migliora il capitale umano di ognuno. Il contrario però non è valido: il miglioramento del capitale umano non accresce necessariamente il capitale sociale. Il capitale decisionale: questa è la forma più recente di capitale esplorata da Hargreaves. La metafora di partenza è quella della giurisprudenza: i giudici devono decidere quando giudicano, anche quando i casi non sono sono chiari. Quel che conta è il giudizio. Nella scuola ciò succede quando gli insegnanti hanno tra le mani i punteggi dei test. Orbene non ci si può limitare a dire che un punteggio può essere positivo o negativo.Qualsiasi punteggio implica una decisione. Ci vogliono circa 10 000 ore per sviluppare la capacità di giudicare ( una decina d'anni). Ne consegue che occorre investire in tutta la carriera per sviluppare la capacità di giudicare

 Marcel Crahay conclude la serie delle relazioni con un esposto denso di dati sulla formazione iniziale, gli stipendi, il supporto degli insegnanti in Europa. Crahay compara molto spesso la situazione italiana a quella finlandese. Il confronto è impietoso. I due sistemi scolastici applicano modelli del tutto diversi di selezione, formazione e gestione degli insegnanti. Crahay invita i responsabili scolastici italiani a cambiare musica il più presto possibile. Se non lo si farà si andrà dritti verso la catastrofe. Tutti i dati comparabili odierni lo comprovano, anche tenendo conto dell'imprecisione dei dati. L'ordine di grandezza non è però errato.Quindi l'allarme per l'Italia è serio.

Alessandra Cenerini riprende queste informazioni nella conclusione. E' ora di cambiare, tuona, di mutare rotta se si vuole una sistema scolastico efficace , equo. La situazione odierna è intollerabile.