mardi 26 mars 2019

Ginevra

Sono stato per otto anni a Ginevra, dal 1997 al 2005, dove ho diretto lo SRED ossia il "Service de recherche en Education"  del Dipartimento dell'Istruzione pubblica del Cantone. Non è stata una bella esperienza. In altri termini il soggiorno ginevrino non mi è piaciuto ed infatti appena pensionato nel luglio  2005 sono tornato a Parigi. Adesso non ho nessuna intenzione di parlare di questa esperienza professionale ma in questo post evoco solo la Ginevra turistica.

Lo spunto di questo post è un libro che mi è capitato per caso in mano , caduto per terra dalla mia biblioteca , intitolato "Le voyage à Genève: une géographie littéraire" che raccoglie dodici saggi di scrittori francesi che hanno avuto a che fare con Ginevra. I saggi sono stati  raccolti da Bertrand Lévy, che non è Bernard Henri Lévy. Bertrand Levy era , al momento della pubblicazione del libro nel 1994,  professore di geografia all'Università di Ginevra . Il volume è stato pubblicato dalla casa editrice ginevrina Metropolis. Gli autori dei saggi non sono figure di second'ordine della letteratura francese, ma grossi nomi della letteratura francese dell'800 e del 900. Per esempio Henri Stendhal, un vicino di casa per Ginevra perché nato a Grenoble, René Chateaubriand, Alexandre Dumas, Victor Hugo, Gustave Flaubert ecc. I testi riuniti in questo volume raccontano come questi autori sono passati per Ginevra, cosa hanno visto, cosa li ha impressionati.

Il volume è un'opera letteraria, nel senso che i testi su  Ginevra, scritti dagli autori in  età diverse, in momenti della loro carriera non simili,  ma tutti passati per Ginevra o che vi  hanno soggiornato, poco o a lungo,  sono pagine di diari e sono  eminentemente letterari. Non offrono  né un'analisi sociologica né una politica.   A mio parere non servono per capire Ginevra ma ne illustrano alcuni aspetti. Sono impressioni assai superficiali.  Pochi  hanno intravvisto la facciata nascosta del mondo ginevrino che ammalia i Francesi. A Ginevra , un cuneo nella Francia dell'Ovest, si parla francese, ma un francese nemmeno savoiardo, un francese speciale con  inflessioni e espressioni proprie. A Ginevra ci sono i discendenti dei Calvinisti  e i discendenti degli Ugonotti. Sono un  club che ha in mano la città,  che detiene i centri di potere, che non molla quanto controlla. Non a caso la festa più sentita è "l'Escalade"  cioè la commemorazione agli inizi di dicembre della vittoriosa difesa della città e del protestantesimo quando la città fu  attaccata dai cattolici del duca Carlo-Emmanuele primo di Savoia. La commemorazione ha generato una vera e propria festa nazionalista durante la quale si canta un inno di gloria in un dialetto ginevrino , Cé qu'è liana, ( "Celui qui est en haut", cioè Dio) inno che si apprende a memoria (almeno le prime delle 68 strofe) nelle scuole statali del Cantone e che è quasi un inno nazionale per Ginevra e che si canta, quel giorno negli uffici e nelle case . In una delle prime domeniche di dicembre la Compagnia del 1602,  nella quale non si entra se non si ha  un pedigree inappuntabile di buon ginevrino,  organizza il celeberrimo corteo della Escalade , corteo molto lugubre, che sfila nella città storica  immersa nel buio, perché si spengono tutte le luci in omaggio di quell'epoca. La sfilata omaggia le tecniche militari della fine del Cinquecento.

Non sono un Francese, e la mia esperienza ginevrina è parziale, non è né quella di un Francese né quella di un cittadino elvetico di passaggio perché a Ginevra ho vissuto otto anni, dal 1957 al 2005. Inoltre non sono né un sociologo, né un politico, né un letterato. Ma sono un cittadino elvetico che ha risieduto  a Ginevra e che ha avuto a che fare professionalmente con il potere politico che governa la città e il Cantone e con la vita quotidiana. Ho percorso quotidianamente le strade della città, ho frequentato i negozi, mi son servito dei trasporti pubblici, ogni tanto, poche volte,  sono stato invitato da vicini. Ho pagato le tasse. Non sono mai andato allo stadio, non ho viaggiato sul lago con un battello, non sono andato a sciare. Insomma non ho fatto molte cose che si fanno di solito quando si abita a Ginevra ma ho conosciuto la città, ho incontrato in modo anonimo i suoi abitanti.

Ho risieduto in un quartiere molto borghese, Champel, nei pressi dell'Ospedale Cantonale. Non ho abitato nel centro storico della città né nella periferia cittadina, ossia nelle città satellite come Carouge, Onex o Meyrin né nei piccoli comuni agricoli del piccolo cantone.

La città non mi è piaciuta. Non è gran che. E' divisa dal lago e dal fiume Rodano. Da una parte la riva sinistra , commerciale, borghese e dall'altra la riva destra male intrattenuta. Il governo della città non riesce del resto a gestire in modo armonioso le due parti. Il Centro storico è piccolo. La città ha perso le industrie. La zona  operaia e quella internazionale vivono una vita a parte. Quella internazionale ha  pochi contatti con la città elvetica.

Architettonicamente la città non è bella. Pochi immobili prestigiosi, pochi edifici eleganti. I due quartieri popolari  che mi vengono in mente -- le Lignon et les Avanchets --   sono tristi. Le Lignon non è proprio un quartiere popolare e fu a suo tempo, negli ani 60 del XX secolo,  decantato come una grande innovazione urbanistica. Les Avanchets sono  una città a se stante, tra la stazione e l'aeroporto. Le Lignon è un insieme della città di Vernier. Les Avanchets sono  impersonali. Mi piace invece il fiume, il viaggio sul Rodano che  in città ci sta poco. Ho lavorato al Quai du Rhône, tra il quartiere di Saint Jean  dalla parte popolare, e il quartiere  della Jonction dalla parte borghese della città e vedevo il fiume passare sotto le finestre. Era maestoso.

Non sono affascinato dalla città che però ha il pregio di essere multietnica. La città accoglie tutti e quando si prendono i servizi pubblici si sentono molte lingue perché gli utenti parlano. Poveri diavoli vanno nei ricchi negozi del centro  ad acquistare prodotti delle loro terre di origine e spendono un sacco di soldi. Da questo punto di vista in questa città  ci si trova di  casa da qualunque parte si provenga a condizione di starsene tranquilli nei propri affari:  non si entra nelle sfere ristrette del potere locale se non si è membri di una famiglia storica o se non si vive a Ginevra da più di una generazione. I partiti politici tentano di essere una famiglia ma sono molto litigiosi perché il sistema amministrativo-politico lo consente, anzi stimola il litigio. La città è un inno all'individualismo che contraddistingue la società contemporanea. Forse pullulano le associazioni private. Non lo so. A me l'individualismo e l'anonimato convengono.

Infine un'osservazione sula paesaggio. A moltissimi Ginevra piace per il paesaggio, per il lago, il Giura, il Salève  e lontano il Monte Bianco. Ma tutto questo non mi  interessa. Paesaggi belli se ne trovano ovunque. Non andrei a Ginevra per il paesaggio o per la facilità, un paio di ore di automobile,  di raggiungere posti  con bella vista oppure zone libere da traffico per poi intrupparmi sulle piste da scii. Detestavo la domenica vuota di Ginevra. La città vuota. Pochi ristoranti aperti. Questo modo di vivere mi infastidiva. Sono scappato via appena ho potuto.  Quindi un mondo zeppo di contraddizioni, borioso e democratico, presuntuoso e modesto, aperto e chiuso nel contempo, ricchissimo e povero. Ma adesso entro nelle vicende professionali. Qui è un altro capitolo.




dimanche 17 mars 2019

I Campi Elisi a fuoco e fiamme

Il 18esimo sabato di manifestazione ai Campi Elisi. Tutto è stato  distrutto. Non sono ancora passato da lì,  ma una rete televisiva trasmette in diretta dai Campi Elisi le manifestazioni e si riconosce assai facilmente il percorso  filmato.   Si vedono le insegne dei negozi di lusso e delle banche, le terrazze dei ristoranti saccheggiate. Si passeggia per immagini. Fa strano questa mediazione visiva. Non è più necessario andare fisicamente in un posto per rendersi conto di quanto successo. Potenza delle immagini, della società dello spettacolo.

Il potere politico è in crisi? Lo Stato cede ? E' la fine dello Stato come annunciato anni fa dallo storico Eric Hobsbawn? La polizia è ovunque. Ovviamente le telecamere sono dietro ai poliziotti . I gendarmi  si vedono di schiena. Il presidente Macron intanto è nei Pirenei a sciare. Immagini radiose provengono da laggiù. Oggi, domenica, si scopre che alcune fotografie sono false e sono state scattate lo scorso anno. Ancora immagini. Indignano ? Taluni si sono indignati. Come mai il presidente non è presente a Parigi, come mai tace e non si fa vedere nei luoghi della contestazione?

Le immagini presidenziali hanno un doppio senso: da un lato il presidente, ossia il capo dello Stato, ritiene che non c'è nulla di grave. Questa è l'interpretazione dei nostalgici della monarchia assoluta illuminata. Il Capo non c'è, dunque non è grave.  La polizia fa il suo mestiere sul posto: picchia e spegne gli incendi. Nel sistema amministrativo-politico francese il presidente lascia l'incombenza di farsi vedere al primo ministro. Quando è in profondo disaccordo con il primo ministro, lo licenzia. Non è il caso fin qui. Macro innova, è moderno si dice. Non litiga con il primo ministro. Il presidente- monarca lascia  fare. Non si vede. Non sta nel palazzo della Repubblica-monarchia,  ossia all'Eliseo, dove sabato  mattina presto , ossia verso le 7 , parecchie persone con il gilet giallo  lo aspettavano in strada. Avrebbero tentato di entrare nel palazzo del presidente e speravano  di prendere il presidente. Lui era però nei Pirenei. Da lì alcune immagini del presidente sorridente mentre i Campi Elisi bruciavano. Ancora una volta la realtà costruita con le raffigurazioni e di fronte a quella la realtà delle urla, degli scoppi, del fumo, delle sirene dei pompieri e dei lacrimogeni.

La violenza degli agitatori ( si parla di 1500) persone  è stata tale da indignare la Francia. Anche l'assenza manipolata del presidente ha indignato una frangia dei Francesi.  Dall'altro lato la paura dello Stato in pericolo. Questo è quanto teme una parte della popolazione.  Forse è proprio quanto voleva il presidente: suscitare indignazione, sconforto con la trasmissione delle immagini e con i commenti dei media. Difficile dire se questa era la sua strategia, ma non si sa mai.  Si vedrà come andrà al 19esimo  sabato, ossia il prossimo sabato. Intanto il numero dei "gilets jaunes" che manifestano in tutta la Francia, cala.  E' ora di smettere: questo è il messaggio che il presidente intende inviare ai "gilets jaunes". Molti dalla sua parte lo dicono. Per farlo si appoggiano su un'opinione pubblica preoccupata dalle immagini trasmesse dai media o dai "reportage" delle emittenti radiofoniche. Ci si rende conto che c'è qualcosa che non va e allora si corre ai riapri. Si fomentano paure e tensioni. Si dice a una parte della popolazione che si rischia di perdere tutto. Poco importa se una parte dell'opinione pubblica ha già perso tutto o quanto non ha mai posseduto e vive male. La Repubblica, lo stato, l'economia, non hanno bisogno di questa violenza, è quanto si proclama o è quanto affermano i cosiddetti benpensanti cioè coloro che hanno qualcosa. Del resto il presidente non poteva dire altro. Forse il suo messaggio passa. Adesso l'indignazione contro le distruzioni cresce. Forse , si dice, la strategia utilizzata mirava proprio a questo. Ce ne volevano molte di distruzioni. E' il tema alla moda nei media i quali fanno e rifanno i conti dei negozi e dei ristoranti saccheggiati. Del restio tutti hanno visto. Ma non è detto che l' annuncio presidenziale sia sufficiente se la crisi è politica e se si ha a che fare  non con  una mera protesta che si governa con una certa dose di furbizia e una sfrontata tecnica di potere per pilotare l'opinione pubblica.

I "gilets jaunes",  da par loro, hanno sollevato un grosso tema: la crisi dello stato contemporaneo. Adesso si vede che lo Stato non è in grado di gestire una crisi che minaccia l'ordine costituito e che lo Stato , il Leviatano di Hobbes come lo si chiama anche nei libri di Harari, per esempio in "Homo deus", dovrebbe proteggere con l'uso della forza  ( che è anche violenza). Questa è una vecchia storia. Lo Stato ha la forza, la applica in modo visibile. La polizia usa infatti cosiddette "armi difensive" , si serve di cannoni a acqua, ma non riesce a tenere a bada gli "ingovernabili"( così i violenti come sono stati definiti da un rappresentante di un sindacato di poliziotti), cioè quelli che contestano il capitalismo, la società di libero  mercato, lo stato, l'autorità che detiene il potere, il liberismo economico, il sistema bancario, il  lusso dei ricchi. Penso a un secolo e più fa. Gli anarchici eseguivano attentati e uccidevano i re.

Gli ingovernabili , gli anarchici, i "blake blocs", hanno una tecnica di guerriglia, sfidano le forze dell'ordine, picchiano e distruggono anche loro, provocano, si servono molto bene dei media, hanno una strategia urbana. Ci sono politici dalla loro parte, che soffiano sul fuoco. Una parte della popolazione li difende, dice di comprenderli. Alcuni "gilets jaunes" applaudono . I "blake blocs" effettuano  un brutto lavoro per gli altri.

Alcuni capiscono che si è in una crisi di governabilità della società. Forse Macron non se lo aspettava quando ha vinto le elezioni presidenziali, quando ha rotto con l'ex-presidente socialista François Hollande. Adesso tocca proprio a Macron gestire il cambiamento. Forse tenta di capire. Per questo tace. Questa è una interpretazione benigna. Sarebbe una buona cosa se capisse ma anche lui ha giuocato con il fuoco. Non si cambia facilmente il modo di governare una società né tantomeno una società complessa come la Francia, non si gestisce in quattro e quattr'otto una rivoluzione economica e sociale che genera disagio e  malessere. Macron ha tentato di ritoccare qualche aspetto dell'impianto francese, di ammodernare lo Stato francese e per riflesso anche l'Unione Europea ma l'insieme è come un castello di carta. Se si sposta una carta tutto crolla. E' quanto forse sta succedendo.