lundi 14 juin 2021

A scuola

 La scuola fu un rifugio che all'inizio mi riparò ma che poi crollo`. Troppa pressione da parte dei genitori per riuscire bene a scuola. Questa pressione era indiretta, non era a parole. Dovevo riuscire e basta. Non si discuteva nemmeno.  Ho qualche ricordo della scuola elementare ; alcuni del ginnasio (o scuola media, 4 anni a Lugano ) e molti della scuola magistrale(  o media di secondo grado) a Locarno, pochi dell'università a Friborgo-Svizzera. Ne scelgo alcuni.

Ho studiato molto, per ore e ore, ma i miei non mi hanno detto molto sulla scuola, non hanno mai dovuto incoraggiarmi. Non ce n'era bisogno. Ho capito molto tardi cosa fosse il sistema scolastico. Da bambino e da giovane volevo imitare il padre, insegnante, essere come lui. Fino ai vent'anni pensavo che fosse un "crack" della  scuola.  Il padre era per me come un dio in terra. Pensavo che sapesse tutto, che non si sbagliava. Per questa ragione sono finito a Locarno dove c'era la sola scuola magistrale (si chiamava così da quella parti. In Italia sarebbe stato  un istituto magistrale) del Cantone. Vi si formavano i futuri insegnanti di scuola elementare del cantone. In effetti non era già più allora , tra il 1956 e il 1959, un istituto professionale ma era una specie di liceo di secondo ordine. Il solo liceo pubblico del Cantone era a Lugano. A Bellinzona c'era la scuola di commercio e a Locarno l'istituto magistrale che fu frequentato da mio padre tra il 1926 e il 1930 ( stessi luoghi, stesse aule) e da mio nonno paterno tra il 1896 e il 1900. Ho pochissimi elementi di questi loro soggiorni. La mia genealogia culturale fu questa: diventare insegnante: infatti un fratello e due sorelle hanno frequentato la stessa scuola. Suppongo che all'epoca di mio padre studente, negli anni Trenta,  ci fosse una maggiore attenzione in quella scuola, nei corsi, per l'indirizzo professionale, per il mestiere di insegnante. Mio padre ha avuto come professore di filosofia e pedagogia un certo Valentiniche credo abbia studiato a Ginevra. Ho conosciuto sua madre, una anziana signora, che andavo a trovare quando ero alla scuola magistrale di Locarnio, ogni tanto a Solduno, una frazione di Locarno.  La maestra Valentini fu anche un'insegnante di mio padre bambino, nella scuola elementare di  Massagno.  Ho detto poco fa professionalizzante perché tra i libri di mio padre ho trovato quelli di Ferrière e Claparède in francese, due tra i maggiori esponenti della scuola attiva. Suppongo che fossero citati da Valentini,  ma non ne ho le prove. Mio padre era un sostenitore della scuola attiva ossia della pedagogia attivista. ma ne  sapeva ben poco. Infatti non ha mai letto né Claparède né Ferrière.I due libri erano intonsi. 

I buoni docenti del liceo di Lugano erano nominati dal Consiglio Stato (l'esecutivo) . Il liceo di Lugano fu un'istituzione voluta da Carlo Cattaneo, ed  era prestigiosa perché formava i quadri dirigenti del Cantone. Ancora ai tempi della mia adolescenza, sul finire degli anni Quaranta e agli inizi degli anni Cinquanta del XX secolo, aveva pochi studenti ed era soprattutto frequentato dai figli dell'alta borghesia luganese che poi andavano all'università . In quegli anni cominciava il crollo del liceo di Lugano come istituzione prestigiosa ( oggigiorno a Lugano e dintorni ci sono tre licei e due università, che allora non c'erano). L'Istituto magistrale locarnese e la scuola di commercio bellinzonese si ripartivano le briciole degli intellettuali della piccola repubblica lombarda che è il Canton Ticino. 

Non ero molto intelligente.  Alla scuola media ho consumato, il verbo è esatto ed è da prendere alla lettera, il tempo dipingendo  cartine geografiche nel quaderno di geografia. Ho speso ore e ore a fare questo lavoro. Riuscivo assai bene a realizzare i rilievi montagnosi a  colori. Mai , in casa, qualcuno  che mi dicesse che magari era preferibile leggere  gli autori che contano, sia italiani, sia francesi,  piuttosto che dipingere cartine geografiche. Leggere era pericoloso. Nella biblioteca paterna si trovavano per esempio  i volumi  della  storia militare o della guerra di Winston Churcill che qualcuno aveva regalato al padre maestro supposto essere un intellettuale. Quei volumi mi hanno intrigato per anni. e il padre non li aveva letti perché leggeva poco . I volumi, ce n'erano tre o quattro,  erano rilegati, in grigio. Non li ho mai letti neppure io. Suppongo che si tenessero lì perché l'autore era il leader dei conservatori britannici. Non si sapeva bene in casa chi fossero i conservatori britannici. Si  ammiravano solo perché erano conservatori, cioè dei liberali , sostenitori del libero mercato,  ed erano visceralmente anti-communisti. Nessuno tra i genitori mi ha spiegato chi fosse Churcill. Sapevo che non dovevo leggere Bertrand Russell ma ignoravo per quale ragione  Russell fosse un autore poco confacente. Era di sinistra e non di destra. Era citato da personaggi di sinistra. Questo bastava in casa per metterlo all'indice. Intuivo che non si dovesse leggerlo.  Lo capivo anche dal posto dei libri di Churcill nella piccola biblioteca paterna e dall'assenza nella stessa biblioteca dei libri di Russell.   

Poi più avanti negli studi, nel quarto anno di scuola secondaria superiore, mi sono messo a leggere da solo. Ho scoperto Gide, Pascal, Sant'Agostino. I miei, la madre soprattutto che era una bigotta cattolica di origine bergamasca,  sono intervenuti dopo avere consultato  non so chi, mi hanno detto di smettere di leggere Pascal perché  era un'autore pericoloso. Non so perché. Credo per l'idea di estrema destra della società e dell'esistenza che la madre aveva. Non so cosa pensasse il padre.  Non conoscevano nulla di Pascal. In ogni modo a scuola  studiavo molto per essere il primo e per dare soddisfazione a loro, ai genitori, con i voti che pigliavo. A Locarno, dove c'era un internato, ero sempre l'ultimo tra gli studenti  ad andare a letto, molto tardi. Avevo capito come si doveva studiare in matematica per riuscire e facevo solo quello. Ore e ore di esercizi. Non ero molto intelligente ma ero un bravo studente che  applicava il metodo matematico, quello in voga nella "matematica - calcolo" allo  studio di tutte le discipline scolastiche.  Sono riuscito ad essere il primo della classe, a battere tutti i compagni. Ricevevo  buonissimi voti. I prof. mi adoravano. Me ne ricordo pochi: Angelo Boffa, vice-direttore, prof. di "matematica-calcolo", Ezio Dal Vesco, prof. di scienze che poi è andato al poli di Zurigo ad insegnare geologia, Aloisio Janner, prof. di fisica che è andato in Olanda in una università, Piero Bianconi, un prof. ribelle, bravissimo, prof. di francese e di storia dell'arte. Alcuni prof.  erano francamente nulli:  il Pelloni, prof. di pedagogia, il Pedrazzini detto Pirla, prof di francese. Ero uno studente modello. Così , poco per volta, mi sono emancipato. Ma non parlavo. Non sapevo cosa pensasse il padre.  Gli autori che contano --Hegel, Marx,Kirkegaard, Nietzsche,Freud per esempio--li ho scoperti più tardi, per caso, da solo. Quanto aveva un peso era la produzione propria, il pensare criticamente con la propria testa. Ma occorra avere una testa ben fatta prima. Questo dono mi è venuto tardi, dalla cultura. 

All'università, a Friburgo, un'università cattolica, controllata dai domenicani, ho continuato su questa via. A Friborgo vi sono andato dopo tre anni di insegnamento, nel 1962. Avevo soldi perché avevo lavorato e potevo comperarmi tutti i libri che volevo. Lì ho comperato la storia della filosofia occidentale di Bertrand Russell; Ho così letto qualcosa di Piaget, di Freud, di Marx, ossia di autori relativamente contemporanei che la scuola ignorava. Nessuno dei miei genitori mi controllava perché ero via da casa, assai lontano, anche se mi avevano piazzato in un convitto cattolico. I miei speravano che all'università avrei cambiato testa, ma così non successe. Mi accorsi subito che taluni professori erano in gamba e che altri non valevano nulla. Per esempio, ne faccio solo uno, la professoressa di pedagogia, Laure Dupraz non valeva gran che. Stessa cosa per la psicologia,  obbligatoria nel corso in tedesco. Il prof.  era un uomo, colonnello nell'esercito elvetico. Mi son fatto un programma universitario personale, nel senso che seguivo nella facoltà di lettere i prof. che gradivo, andavo ai seminari e ai corsi  che mi piacevano . Non c'erano molti professori un gamba. Allora si poteva. Ero un ribelle. Mi ricordo dei corsi di Roland Ruffieux sulla storia, di quelli di Roland  Girod, che non era a lettere, sulla sociologia, di padre Giovanni  Pozzi, un cappuccino ticinese che gestiva la cattedra di italiano , di  Joseph Bochenski, domenicano,  i cui corsi su Carlo Marx sono stati per me determinanti e del domenicano Marie Philippe poi diventato un idolo integrista in Francia, dei suoi  corsi sulla filosofia antica, su Socrate e i pre-socratici. Queste lezioni mi aprirono gli occhi e dopo averle seguite  non sono più stato come prima.

Fu un lungo cammino, ma sono cambiato, ho iniziato a pensare con la mia testa, a ritenere che lo potevo, anzi che lo dovevo fare. Era un dovere. I prof. che ho avuto non si curavano molto della mia formazione ma confesso era assai difficile seguirmi. Nel Ticino si preoccupavano che diventassi un buon conservatore, nel senso politico del termine, che nel Ticino di allora significava essere un buon democristiano. Era la cultura dei tempi. Non si doveva  cambiare, si doveva assicurare la continuità. Invece ho scoperto che non potevo dire le stesse cose di mio padre nonostante il Flavio Cotti, avvocato diventato consigliere federale, amico di mio padre, oppure,  pure lui avvocato, l'Alberto Lepori, nemico di mio padre,  che aveva studiato a Milano, dirigente dell'Azione Cattolica, che già prendevano certe distanze. Bastava leggere e sapere leggere. Ed io acquistavo libri. Così nel Ticino , quando sono tornato a casa nel 1965 ho iniziato a frequentare persone per bene, capaci, colte, che pensavano con la loro testa  e mi sono affrancato totalmente dai miei genitori che  non erano più una guida, un modello da imitare. L'anno dopo nel 1966 ho rotto i ponti con il mio passato. Nel 1966 mi sono anche sposato senza sapere quel che facevo. Ma questa è un'altra storia.