samedi 18 janvier 2014

Chega de Saudade

Un brano che vent'anni fa  suonavo al sax e che so ancora canticchiare anche se il sax non lo posso più suonare nell'appartamento di Parigi. Sensazione di tristezza questa sera dopo avere letto sul Corriere del Ticino che l'associazione svizzera degli insegnanti ha preso posizione contro le esigenze del programma Harmos concernenti l'insegnamento delle lingue straniere nella scuola elementare. Non spiego qui cosa sia Harmos. Coloro che conoscono la politica scolastica elvetica lo sanno.  Chi non lo sa magari trova una spiegazione su Google.
Di solito non penso più a quel che succede nel campo scolastico elvetico dove sono stato attivo  per alcuni anni. Ho rimosso dalla memoria anche gli otto anni ginevrini che hanno concluso la mia vita professionale.
Questo accenno ad Harmos e ai tentativi di realizzare un sistema di valutazione empirica dell'istruzione nello spazio scolastico elvetico riportano a galla dentro di me quanto ho provato durante il mio ultimo soggiorno elvetico a Ginevra : delusioni, un sentimento di sradicamento, di estraneità, enormi difficoltà a trovare punti di riferimento che mi erano noti in precedenza. Ho avuto la sensazione di essere caduto in un mondo chiuso a riccio, orgoglioso, convinto della propria superiorità, almeno nel campo scolastico. Le scuole ginevrine non sono malvagie anche perché dispongono di molte risorse, hanno alle spalle una tradizione pedagogica considerevole, molto attrezzato dove si realizzano programmi sorprendenti. Il sistema scolastico ginevrino è un piccolo sistema. Proprio per questa ragione è facile capirlo. I miei anni ginevrini mi hanno permesso di conoscere meglio le scuole, di incontrare direttori di scuola e insegnanti che operavano sul terreno , di capire come si difendevano dall'amministrazione, di comprendere come fosse arduo modificare le mentalità e le tradizioni imperanti nella scuola, di osservare dal vivo le strategie messe in atto dalle scuole, dagli insegnanti, per difendersi, di constatare il contrasto tra narrazione prodotta dall'apparato scolastico, in particolare dalla base, e  constatazione delle famiglie che mandano i figli a scuola, che collegano i comportamenti scolastici della prole con i loro ricordi personali.

In questo periodo ho anche scoperto altri aspetti della cultura elvetica dopo una ventina d'anni di lavoro a Parigi all'OCSE. Quando ero a Berna , negli anni Settanta, il clima socio-politico era diverso Berna era allora, almeno dal punto di vista elvetico, assai distante da Ginevra. Credo lo sia ancora ora. Era come se questi due mondi fossero del tutto diversi. In quegli anni ero giovane e forse non ho fatto attenzione a particolari comportamenti nel mondo dell'amministrazione federale a Berna dove lavoravo. Ho avuto anche là qualche sorpresa spiacevole ma non vi ho fatto molto caso. A Ginevra, dopo l'esperienza internazionale, invece i comportamenti dei collaboratori e dei subalterni erano diventati per me più trasparenti, più leggibili. Con l'esperienza e con l'età si apprende a vivere. Fui soprattutto colpito dall'importanza riservata nel mondo ginevrino alla gerarchia, al principio di autorità. Molta subordinazione, tanta ipocrisia ( mi dispiace dirlo) nei confronti all'autorità, che è  rispettata in modo formale. Non ero abituato  nel periodo passato all'OCSE a vivere quotidianamente in una simile atmosfera di lavoro. Nel mondo dell'OCSE convivevano due culture entrambe di origine anglosassone: la durezza e la brutalità del disaccordo espresso faccia a faccia, pochi formalismi,  e una ipocrisia nelle relazioni professionali raffinata, difficile da rilevare. A Ginevra invece quest'ultima era palpabile e occorreva prenderla in conto per realizzare qualcosa. Fu per me una grande lezione rendermi conto che le procedure democratiche rendevano assai ardua qualsiasi trasformazione, che la società non si modella a piacimento, che la vita collettiva è esigente , che è  molto meno manipolabile con strumenti non tradizionali, che occorre un lungo apprendistato per impadronirsi di questi strumenti, per fare leva sulle forze e gli argomenti che convincono e creano una maggioranza. Ma a questo punto sono andato in pensione, ho ora più tempo per osservare la vita sociale, per leggere, per cullarmi con l'ascolto di "Chega de Saudade" dentro di me e magari, tipico effetto di questi anni, per rivangare un passato tramontato.

Scuole paritarie

Questo è un business tutto italiano come fa rilevare Paolo Latella dell'Istituto Tecnico economico di Lodi in un articolo pubblicato nel supplemento scuola dall'Indice dei Libri  del mese di dicembre 2013 . L'articolo è partigiano perché attacca le scuole paritarie senza produrre nessun confronto internazionale. Alla fine le scuole paritarie sono presentate come scuole private. Si mette nel sacco  tutto quanto non è statale e si denunciano privilegi e protezioni di cui fruiscono  le scuole private in Italia poiché  manca un presupposto minimo di serietà per certificarle e controllarle. Ma l'articolo inizia bene ed è appunto per questa ragione che ne parlo. Infatti propone una distinzione tra scuole private e quelle dette paritarie ( questo è un lessico tipicamente italiano)  che in Italia non sono che una parte delle scuole private . Ci sono tra l'altro  scuole paritarie private e scuole paritarie pubbliche.

Non tutta la parte iniziale dell'articolo è limpida. Infatti la confusione in Italia sulla classificazione delle scuole è massima e mi rendo conto che venti anni di lavoro internazionale per produrre indicatori internazionali comparabili tra loro sui servizi d'istruzione non sono serviti a gran che  se uno specialista come Latella si imbroglia nella classificazione. Tra l'altro non capisco come si possano classificare i Centri di formazione professionale regionali (i Cfp) tra le scuole paritarie. Di sicuro mi sfuggono dettagli che fanno la differenza e che un non-iniziato ignora.

A dire il vero la questione è complessa ovunque sul piano internazionale e la distinzione tra scuola private e scuole pubbliche (non solo statali) non è un'operazione semplice, già al livello dei nidi d'infanzia, poi a quello delle scuole per l'infanzia e su su fino all'università. Anche laddove la distinzione sembra chiara e netta tra istituti privati e istituti statali per esempio , se si esamina da vicino , nel dettaglio, l'impostazione di questi istituti ci si imbatte in grandi difficoltà a classificarle e costantemente ci si può chiedere : questo istituto è pubblico, è statale od è privato? Tralascio di parlare di paritarie che è un concetto usato solo in Italia. Quando agli inizi degli anni 90 del XX secolo l'OCSE ha iniziato a produrre l'insieme di indicatori internazionali comparati sull'istruzione ci si è subito scontrati con questo problema. Mancava e credo manchi tuttora un criterio di classificazione coerente, univoco, ossia non ambiguo, dei vari tipi di scuola. Come fa notare Latella all'inizio del suo articolo ci sono infatti vari tipi di scuole private e la frontiera tra scuola private, scuole pubbliche e scuole statali è piuttosto labile. Occorrerebbe un accordo internazionale per produrre definizioni precise che permettano classificazioni comparabili.

Nel corso dei primi anni di produzione dell'insieme di indicatori internazionali dell'istruzione prodotto  dall'OCSE si è proceduto un po' ad orecchio, ad occhio croce come si suol dire, fidandosi delle classificazioni che inviavano i responsabili delle statistiche dei diversi servizi scolastici. C'erano certamente errori negli indicatori finali perché le categorie di scuole inserite in un servizio scolastico non corrispondevano tra loro. Per esempio a Roma gli interlocutori del MIUR che fornivano le statistiche scolastiche all'OCSE non capivano le distinzioni, ma adesso, dopo tanti anni, ammetto che anch'io faccio fatica a capire le classificazioni italiane e l'articolo di Paolo Latella non mi aiuta molto. Mi resta il dubbio che le comparazioni internazionali sulla proporzione di scuole gestite dallo stato e scuole private  non siano corrette e non ho nessuna idea del margine di errore.

Ne parlo perché nei media italiani regolarmente si accusano le scuole private di essere responsabili della bassa media dei punteggi dei quindicenni nell'indagine PISA dell'OCSE sulle competenze e conoscenze. Mi sembra che la classificazione ambigua delle scuole private italiane non consente affatto di sostenere un' affermazione del genere.  Latella indica che gli studenti delle scuole  non statali paritarie in Italia sono frequentate da circa il 12 % degli studenti, diciamo grosso modo un decimo degli studenti  ma non precisa quali siano gli ordini di scuola presi in considerazione per addizionare il numero di studenti e per calcolare questa percentuale. Bisognerebbe inoltre sapere quale parte di questo 12% frequenta scuole paritarie primarie e scuole medie paritarie per analizzare con pertinenza i punteggi dell'indagine PISA che riguarda i quindicenni, sapere se i quindicenni che si trovano nelle scuole paritarie pubbliche hanno svolto tutta la loro scolarizzazione nelle scuola paritarie o meno.

La proporzione del 10% circa di studenti nelle scuole private (meglio, nelle scuole paritarie pubbliche) è identica a quella che si ha a Ginevra nel settore privato , ma a Ginevra le scuole private sono del tutto private (affermazione questa troppo "tranchante") perché in effetti non è proprio così. Alcune sono pubbliche  nel senso che lo Stato di Ginevra e altri stati ne riconoscono i diplomi, poiché le scuole accettano di essere ispezionate dalle autorità ginevrine , accettano di svolgere un programma simile a quello di un altro servizio scolastico statale , o quello ginevrino oppure quello francese o quello USA, oppure ammettono nel consiglio di amministrazione della scuola rappresentanti di altri servizi statali d'istruzione, ma queste scuole non sono paragonabili alle scuole paritarie italiane  che sono sì scuole private ma che sono anche scuole pubbliche. Sono simili. A Ginevra infatti molte scuole private sono sussidiate dalle organizzazioni internazionali, sia direttamente sia indirettamente quando si pagano le rette di iscrizione che le famiglie devono versare per iscrivere i figli in queste scuole. Dunque , queste scuole potrebbero essere tutte inserire nella stessa categoria, costruire un mega-insieme chiamato scuole private nel quale sono inclusi tutti i diversi tipi di scuole non statali, pubbliche o non pubbliche, sussidiate o non sussidiate, ispezionate o non ispezionate.

Personalmente ritengo private le scuole alternative, quelle che non ricevono nessun sussidio dallo stato, quelle nelle quali le rette d'iscrizione sono pagate dalle famiglie che non ricevono nessun aiuto finanziario, quelle che non sono ispezionate, che sono del tutto autonome,  che svolgono un proprio programma d'apprendimento, che sono del tutto diverse da quelle statali, che attuano metodi di insegnamento particolari, che propongono e offrono modalità di scolarizzazione peculiari . Queste scuole sono pochissime, fanno fatica a sopravvivere. Ce ne sono alcune. Le scuole statali , quasi ovunque , monopolizzano l'istruzione scolastica, impongono un curricolo scolastico rigido. Tra quest'insieme di scuole e quelle private-private esiste un "mare nostrum" confuso, più o meno esteso perché è difficile isolare le scuole puramente statali. La politica scolastica giuoca con queste realtà e la statistica scolastica è il più delle volte persa in questo mondo.

vendredi 3 janvier 2014

Xenofobia elvetica

Il 9 febbraio prossimo gli elettori elvetici potranno o dovranno votare sul numero degli immigranti che la Svizzera può tollerare. Questa è una delle specificità del sistema democratico elvetico: si raccolgono 10 000 firme per presentare una proposta di legge che può essere generica o dettagliata ed il corpo elettorale  va a votare, ossia è chiamato alle urne. L'iniziativa s'intitola " Contro l'immigrazione di massa".  Ci sono stati quindi 10 000 elettori in Svizzera che hanno firmato una proposta per limitare il numero degli immigrati .

Non è la prima volta che ciò succede. Ci- è successo per ben cinque volte dopo il 1970.

La prima volta è stata nel 1970, quando il capopopolo  James Schwarzenbach, una specie di Bossi, ha lanciato la sua iniziativa. In quegli anni, l'obiettivo erano gli immigrati italiani. L'obiettivo era di limitare al 10% la percentuale degli immgirati, il che avrebbe provocato l'espulsione dalla Svizzera di 300 000 persone. Questa celebre iniziativa nota come iniziativa Schwarzenbach fu rifiutata dal 54% dei votanti. Esito alquanto tirato dunque.

Nel 1974 si ritenta . Sono sempre gli stessi ambienti xenofobi e l'iniziativa è bocciata dal 66% degli elettori. In quegli anni abitavo a Berna, in un quartiere popolare, abitato da molti italiani. Ero stato designato come scrutatore e avevo partecipato allo scrutinio in un seggio che aveva dato una maggioranza di voti favorevoli all'iniziativa. Mi ricordo tuttora la gioia dei presenti , soddisfattissimi di questo risultato, ma la loro sconfitta sul piano nazionale fu sonora. In ogni modo tutti ebbimo una gran paura che l'iniziativa fosse accettata e fu allora che molti Italiani in Svizzera tornarono in Italia.

Nel 1977 si riprova e questa volta la percentuale dei voti contrari al controllo dell'immigrazione e favorevoli all'adozione di una soglia massima di immigrati fu superiore al 70%.

Quarto tentativo dieci anni dopo , nel 1978, sempre su iniziativa della parte xenofoba della popolazione  che vuole limitare l'immigrazione ma anche questa volta l'iniziativa è bocciata con il 67% dei voti.

Ultimo e quinto tentativo nel 2000 con una iniziativa che vorrebbe limitare la proporzione degli stranieri in Svizzera al 18% ma anche questo quinto tentavo va a male ed il 64% dei votanti rifiuta la proposta.

Oggigiorno in Svizzera, uno dei paesi più ricchi del mondo, che accoglie una delle percentuali più elevate di rifugiati politici, abitato da quasi nove milioni di persone, vivono grosso modo due milioni di stranieri ( per l'esattezza 1,86 milioni) pari al 23,2% della popolazione totale. Pressapoco il doppio degli stranieri che ci sono in Italia in un territorio grande come la Lombardia e il Piemonte messi assieme ma con una popolazione inferiore al totale di queste due regioni italiane. Due terzi degli stranieri che vivono in Svizzera provengono dai paesi dell'Unione Europea. Il bersaglio di questa nuova iniziativa xenofoba non è più l'immigrato italiano ma i cittadino dell'Unione Europea. Il profilo degli xenofobi è in parte cambiato e questa votazione, come si usa chiamarla in Svizzera, è pericolosa proprio per questa ragione. I sostenitori sono in parte gli stessi di quelli di quarant'anni fa ma in parte ce ne sono di nuovi, che provengono da altri ceti sociali soprattutto contrari agli accordi tra Svizzera e Unione Europea. Si tratta di antieuropeisti.

Se ne verranno delle belle nei prossimi anni:è già annunciata una nuova iniziativa contro la libera circolazione dei cittadini croati e quasi sicuramente ce ne sarà un'altra o ce ne saranno due altre contro la libera circolazione dei cittadini rumeni e bulgari. Nel piccolo mondo di Heidi, con il suo charme e la sua ricchezza , sulla quale si dovrebbe indagare, gli immigrati fanno paura, sono percepiti come una minaccia dell'ordine, del benessere, della pulizia, della disciplina. Infatti i promotori dell'iniziativa sulla quale si voterà in marzo propongono perfino di modificare l'aiuto pubblico allo sviluppo che in Svizzera è gestito dalla cooperazione tecnica, uno degli Uffici della Confederazione e di dedicare il 10% dell'aiuto allo sviluppo al controllo delle nascite nei paesi poveri in via di sviluppo perché questo sarebbe sì un modo efficace per ridurre l'immigrazione. C'è  da sperare che anche questo tentativo, il sesto, sia sbaragliato da un corpo elettorale che fin qui ha dimostrato di capire molto meglio degli xenofobi quali sono le fonti del benessere elvetico.