lundi 18 novembre 2013

Riorganizzazione del ministero della pubblica istruzione in Italia

Leggo un articolo che mi piace sul "Sussidiario" di oggi : http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2013/11/18/SCUOLA-La-spending-review-tocca-l-istruzione-tecnica-cosa-cambia-davvero-/3/444510/
 Vi si tratta della riorganizzazione del MIUR in Italia (MIUR, acronimo per Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca Scientifica). La riforma del sistema scolastico italiano deve iniziare da qui. Da anni ripeto che occorre pressoché chiudere il MIUR che ha sede in un imponente edificio in via Trastevere a Roma. Ogni volta che ci sono stato mi è venuto il mal di stomaco: non descrivo l'ambiente molto strano. I ministri passano, le maggioranze cambiano, ma l'atmosfera e la frenesia oppure la noia che regna nei corridoi, nella sala mensa che si trova nel sottosuolo, nei bagni, nei corridoi, negli ascensori non muta.

Per ragioni professionali ho visitato nel mondo diversi ministeri della pubblica istruzione ma nessuno mi ha impressionato come il monumento romano, un vero e proprio pachiderma che dirige il servizio scolastico italiano. Davanti al monumento sferragliano i tram e spesso ci sono manifestazioni rumorose che lasciano il tempo che trovano. Tutto continua come sempre da decenni. In una grande sala , mi pare al primo o al secondo piano, ci sono i quadri dei ritratti dei vari ministri . Tra questi Gentile, Croce. Chissà se erano migliori dei più recenti?
Nell'articolo del "Sussidiario" a cura di Max Ferrario, che non conosco, si parla di un probabile smantellamento della Direzione dell'Istruzione tecnica e professionale nonché della Direzione delle relazioni internazionali. Se ci sono due direzioni da tenere in piedi nel ministero che pilota il servizio nazionale dell'istruzione scolastica sono proprio queste due. Ne aggiungerei una terza e una quarta: la Direzione della statistica scolastica e quella della Ricerca scientifica sull'istruzione scolastica.  Distaccherei invece integralmente dal Ministero futuro l'INVALSI, ossia l'Istituto Nazionale di valutazione del sistema d'istruzione.

In taluni  paesi il Ministero dell'Istruzione statale è stato del tutto smantellato ed i funzionari  che non erano volontari per andare in pensione o per essere trasferiti in altri settori sono stati rispediti nelle regioni d'origine.  Capisco che in un colosso come il MIUR e nell'amministrazione statale italiana con le sue abitudini ciò sia pressoché impossibile. Occorrerà invece discutere le sistemazioni dei singoli, caso per caso. Ci sarà un'agitazione grandiosa nel Palazzo e fuori. Ma per prima cosa è indispensabile elaborare  un progetto globale di scuola, uno scenario di sviluppo dell'istruzione statale in Italia e una strategia a lunga o media scadenza ( direi almeno cinque anni) per realizzarlo. Questo scenario non c'è anche se nella costituzione italiana, nel celebre capitolo V, si parla di decentralizzazione del servizio scolastico statale. L'articolo è stato votato nel 2001 e sono passati da allora diversi anni ma non è successo nulla. Molte riunioni, litigi furibondi ma nessuna modifica strategica.

La decentralizzazione del servizio scolastico implica la riorganizzazione completa del MIUR. Il ministro deve avere tra le mani alcuni strumenti essenziali: le statistiche scolastiche, le relazioni internazionali, la ricerca scientifica. In Inghilterra , se ben ricordo, alcuni anni fa, invece,  il nome del Ministero è cambiato e si è adottato come titolo del Ministero la formazione professionale o qualcosa di simile, una decisione eloquente per segnalare la priorità principale del Ministero: non la scuola primaria né quella secondaria, ma la formazione formazione ( "Vocational Education" in inglese). In Italia si fa il contrario secondo Ferrario, l'autore dell'articolo pubblicato dal "Sussidiario".  In Svizzera c'è il caso opposto: non esiste un ministero centrale dell'istruzione ma un Ufficio federale per la formazione professionale, inserito nel Ministero dell'economia.

Alla lista delle direzioni indicata poco fa forse ne aggiungerei un'altra, ma con seri dubbi: una direzione sull'istruzione e la formazione professionale degli adulti, ma questa potrebbe essere incorporata nella direzione della formazione professionale. Non cito né l'università né la ricerca scientifica che potrebbero essere disgiunti da un ministero di nuovo tipo che opera in un apparato fortemente decentralizzato.


vendredi 8 novembre 2013

Pasolini

La mostra su Pier Paolo Pasolini alla Cineteca di Parigi che sarà aperta fino al 26 gennaio 2013 quando si sposterà in Spagna (se non erro a Barcellona)  e in Italia è deludente da molti punti di vista. Per esempio , i documenti originali in italiano sono quasi illeggibili perché male illuminati oppure perché collocati in posti strampalati, mentre le traduzioni di alcuni passaggi in francese e inglese sono stampati con caratteri di stampa molto più grandi e sono bene illuminati. Ma ciò è una bazzecola rispetto a tutto il resto.

Sono stato molto deluso dall'esposizione che non mi ha dato assolutamente nulla tranne alcune informazioni su Pasolini giovane quando risiedeva nel Friuli prima di trasferirsi a Roma. Non ho capito a che pubblico l'esposizione  era destinata, né quali fossero i temi salienti che si volevano mettere in evidenza anche se di questioni scottanti in ballo ce ne sono molte. Pasolini è stato il testimone di un'epoca scomparsa, un provocatore, un grande intellettuale che ha fatto quasi di tutto: scrittore, poeta, romanziere, pittore, regista cinematografico. Attivo tra il 1950 e il 1975 ha denunciato e combattuto il potere in Italia, la corruzione della classe politica di allora. Una delle poche sorprese per me fu  la sua espulsione nel 1950 per indegnità dal PC italiano dopo la denuncia di relazioni omosessuali a Caserta nel Friuli durante una festa di paese.

Ho visto quasi tutti i suoi film tranne Salò, ossia l'ultimo. Non tutti mi sono piaciuti o non tutti sono riusciti ma mi è rimasta  in mente la denuncia della povertà e dello squallore delle borgate romane. Non cito nessun titolo deliberatamente, ma l'esposizione non ha nemmeno valorizzato Pasolini cineasta.

Quest'uomo fu una figura principale della vita culturale italiana dominata durante il quarto di secolo in cui lui fu attivo dalla Chiesa cattolica, dalla Democrazia Cristiana, dal Partito comunista, e infine dalle Brigate Rosse . L'esposizione si perde in dettagli. Non ha nemmeno messo in prospettiva Pasolini con la sua epoca. Ci sono alcuni personaggi di spicco della storia italiana di quegli anni come Guttuso, Moravia, Olivetti che sfilano velocemente ma non si produce nessuna informazione su di loro. Si citano come se fossero noti. Invece non lo sono, forse nemmeno in Italia. Di sicuro non lo sono in Francia.

Mi chiedo il perché di questa esposizione in questo momento. Una ragione ci deve pur essere, ma nell'esposizione non esiste nessun riferimento con la situazione politica-culturale del mondo italiano contemporaneo. Quale relazione si può stabilire tra l'opera multipla di Pasolini con tutte le sue sfaccettature e il periodo contemporaneo? Ho vissuto intensamente quegli anni. L'opera di Pasolini fa parte della mia formazione, della mia concezione della società. Nessuna allusione nell'esposizione agli aspetti critici, scottanti, ribelli presenti nell'opera di un personaggio difficile, complesso.

mardi 5 novembre 2013

A Nation at Risk

Nell'aprile del 1983 venne pubblicato a Washington da parte di una commissione federale della presidenza Reagan un documento sullo stato della scuola USA, intitolato "A Nation at Risk" (Una nazione in pericolo).

A quei tempi lavoravo all'OCSE e scrissi poco dopo un documento di una cinquantina di pagine per commentare i passaggi salienti di quel documento. C'erano affermazioni retoriche di scarsa rilevanza ma anche denunce gravi sullo stato del servizio statale d'istruzione nonché sull'organizzazione e la gestione della scuola. Il documento faceva ovviamente riferimento alla scuola statale USA ma subito feci l'associazione con quanto avveniva e si percepiva avvenisse nei servizi scolastici europei.

A quel tempo l'OCSE era una organizzazione piccolina. I paesi membri erano solo 24. Esisteva ancora l'Unione Sovietica e il blocco sovietico non faceva parte dell'OCSE. La regola aurea dell'OCSE era quella di accogliere nell'organizzazione solo i paesi che adottavano le norme  dell'economia di mercato. In cambio l'organizzazione offriva analisi, dati, interpretazioni, consigli ai governi sulle politiche da impostare per essere competitivi e per migliorare il PIL.

Il settore educazione nel quale lavoravo era minuscolo. Il responsabile principale era un sociologo inglese, Ronald Gass, un personaggio interessantissimo, complesso, con molte idee sul sociale. Veniva da una famiglia povera, il padre , se non erro ,  faceva di mestiere il macellaio. Lui fece la guerra del 39-45 come pilota e al ritorno andò a studiare all'università. Ron capiva molte cose sul sistema sociale. Era davvero una figura brillante, di gran lunga superiore ai  colleghi dello staff che si occupava dell'educazione. Secondo la logica del servizio all'economia di mercato gli studi sul servizio scolastico dovevano limitarsi a precisare gli interventi politici necessari per produrre manodopera qualificata, in grado di sostenere le economie in espansione dei Paesi membri. Ron intuì che ciò non bastava, ossia che non si poteva dare per scontato il contributo del servizio scolastico all'espansione economica senza passare alla lente il funzionamento e l'organizzazione del sistema scolastico. Del resto gli avvenimenti del maggio 68 comprovavano alla grande che lui aveva ragione, che qualcosa non funzionava nelle scuole.

La faccio breve. Per Ron occorreva proporre di rinnovare il sistema scolastico se si voleva migliorare il contributo dell'istruzione scolastica al benessere delle società, ma ben presto, nel corso degli anni 70, tutti i progetti dell'OCSE miranti a mettere a punto strategie di aggiornamento e rinnovo del servizio scolastico dovettero chiudere baracca: le resistenze erano troppo forti e le opposizioni al cambiamento nonché le politiche di conservazione erano soprattutto annidate ovunque dentro il sistema scolastico. Mancavano statistiche adeguate, si conosceva ben poco di quanto succedeva nelle scuole, di come le decisioni erano prese. Il servizio scolastico era una "black box", ossia una scatola nera. Si arrivò al peggio: la resistenza si era infiltrata anche all'interno dell'OCSE.

Il documento USA del 1983 arrivò a proposito e confermò quanto si intuiva sulle prestazioni dell'apparato scolastico. All'interno dell'OCSE le reazioni dei colleghi furono negative. Nessuno accolse quel documento in modo favorevole. I commenti erano ironici, sprezzanti. Sottoposi a Ron il mio testo nel quale si dava parzialmente ragione alle analisi del documento USA senza tra l'altro citarlo direttamente. Le mie fonti erano soprattutto europee. Ron mi diede ragione, condivideva le analisi e propose ai colleghi di presentare il mio testo al Comitato Direttore del CERI , ossia al "Governing Board" del Centro per la ricerca e l'innovazione dell'insegnamento. Il "Governing Board" era composto da personalità scelte ad personam dal segretario generale dell'OCSE ( l'Italia era rappresentata da Aldo Visalberghi).  I colleghi si opposero in massa a questa proposta, contestavano la pertinenza dei miei commenti e ritenevano che le analisi erano errate. In fondo, per loro, i servizi scolastici funzionavano bene. Gass allora suggerì di presentare il documento al " Governing Board" non come un prodotto del CERI, in forma anonima, come si faceva di regola, ma di distribuirlo firmato, con il mio nome. Altre proteste indignate dei colleghi che rifiutarono questa soluzione. Non si era mai adottata una simile procedura al CERI o all'OCSE. I documenti dovevano restare anonimi e rappresentare il punto di vista dell'organizzazione. A questo punto Ron Gass dovette darsi per vinto. Non poteva andare contro il suo staff. Mi autorizzò allora a pubblicare privatamente, al di fuori dell'OCSE,  il testo. E' quanto feci. Ne risultò "La ricreazione è finita" pubblicato in Italia dalla Casa Editrice il Mulino di Bologna nel 1986.