mardi 26 février 2013

Lo SRED di Ginevra

Ieri sono stato raggiunto dal passato: un giornalista del Courrier di Ginevra Rachad Armanios che non conosco mi ha telefonato per chiedermi cosa ne penso dell'intenzione di Charles Beer, l'assessore all'istruzione del Canton Ginevra, di rendere autonomo lo SRED trasformandolo in una fondazione di diritto pubblico. Qualcuno allo SRED gli ha fatto il mio nome e qualcuno gli ha dato il numero di telefono di casa qui a Parigi. Gli hanno detto più o meno, da quel che ho capito che l'inizio del tracollo dello SRED, i termini non erano questi, risalgono al mio arrivo nel 1997, quando sono stato nominato direttore dello SRED dall'allora assessore all'istruzione Martine Brunschwig Graf che mi aveva scelto perché desiderava che lo SRED svolgesse ricerche scientifiche che aiutassero il dipartimento dell'istruzione, detto DIP, a pilotare il sistema scolastico ginevrino. Nessuno ha detto al giornalista che quando sono arrivato a Ginevra nel settembre 1997 lo SRED esisteva solo sulla carta, che allora a Ginevra c'erano tre istituti di ricerca sulla scuola, che la Repubblica di Ginevra spendeva più del 33% del bilancio pubblico per l'istruzione (33% non del PIB dunque. Non si sa ancora ora quale sia il PIB di Ginevra), che all'interno della FAPSE (la Facoltà di psicologia e scienze dell'educazione della locale università) c'erano professori legati a filo doppio alla Direzione dell'insegnamento primario che svolgevano ricerche per questa Direzione, che avevano contratti con questa direzione, che il Servizio di ricerche del DIP , ossia lo SRED, ignorava queste ricerche e valutazioni, che le competenze di molti ricercatori all'interno dello SRED erano scadenti e che lo SRED non aveva connessioni internazionali con altri istituti di ricerca all'esterno della Svizzera tranne qualche caso in Francia, che diversi ricercatori erano ipocriti: con me, il direttore, tenevano un discorso ed alle spalle ne facevano un altro, che altri ricercatori o gli stessi avevano relazioni privilegiate con il potentissimo sindacato degli insegnanti, la Société Pédagogique Romande, sezione di Ginevra . In altri termini quando sono giunto sono caduto in un nido di vipere. Non ho un bel ricordo di questi otto anni passati a Ginevra che però mi hanno permesso di capire come funzionano alla base i sistemi scolastici, come si difendono le scuole contro l'apparato scolastico, compresa la ricerca scientifica, come la ricerca scientifica può prostituirsi. Ci sono voluti quasi tre anni per produrre un primo insieme di indicatori sulla scuola del Canton Ginevra. L'impresa è stata boicottata all'interno dello SRED in tutti i modi, fu ritenuta reazionaria, neo-capitalista. Guai infatti rendere trasparente la scuola. Allo SRED si gestiva e si gestisce una eccellente banca dati sulla scuola ma in questa banca dati, un gioiello, ripeto, voluto dai primi sociologi dell'istruzione attivi a Ginevra, mancavano le informazioni che contano per condurre il sistema scolastico ginevrino in un periodo di crisi e di trasformazioni socio-economiche. Non ho potuto spiegare queste cose al giornalista. Troppo complicate. Ho però capito dalla sua telefonata che all'interno dello SRED, otto anni dopo la mia partenza, ci sono ancora collaboratori che non hanno capito dove sta il problema, che non si rimettono in discussione, che continuano a usare lo stesso capro espiatorio, ossia la dipendenza della ricerca scientifica sulla scuola dalle autorità politiche. Lo SRED è in difficoltà. La commissione delle finanze del Parlamento ginevrino ne ha chiesto la soppressione. Ci sono molti posti di lavoro in ballo perché a Ginevra i ricercatori non sono insegnanti distaccati dalla scuola come succede in Italia. L'assessore all'istruzione Charles Beer tenta di salvare lo SRED e propone , a quanto ho capito, di toglierlo dall'amministrazione dello Stato, se ben capisco, e di farne una fondazione autonoma. Questa dev'essere l'autonomia di cui parla "Le Courrier". Quando ero alla testa dello SRED ero riuscito ad ottenere alcuni contratti di ricerca da vari enti grazie ai quali avevo potuto reclutare ricercatori di stampo diverso da quelli che vegetavano nello SRED con la speranza di andare all'Università, perché a questo avrebbe dovuto servire per una parte dello staff lo SRED, cioè come trampolino verso l'Università. A qualcuno il salto è riuscito, ad altri no. In ogni modo lo SRED era considerato come un "refugium peccatorum" per taluni, ossia per quelli che l'università non aveva voluto,o come un SAS in attesa di qualcosa di meglio. Non avevo questa idea e mi sono scontrato con quanti all'interno invece sognavano il passo. Mi sono scontrato anche con la Corte dei conti dello Stato di Ginevra che riteneva che lo SRED non dovesse guadagnare soldi con le ricerche scientifiche. La Corte dei conti ha chiuso un occhio, ha nicchiato quando ha capito che i soldi servivano per migliorare la qualità delle ricerche dato che lo Stato non versava un centesimo di più per le spese di funzionamento. La somma era miserevole e la maggior parte dei 5 milioni di franchi svizzeri versati allo SRED erano destinati a pagare gli stipendi dei collaboratori. Non ho proprio nessuna intenzione e nessuna voglia di rivangare questo passato. Voglio starmene alla larga. Il passato è passato come si dice. Forse, come ha sostenuto una delle figure carismatiche della ricerca scientifica sulla scuola a Ginevra, un bravissimo ricercatore, Daniel Bain, l'epopea dei Centri cantonali di ricerca sulla scuola è conclusa, anche per lo SRED. Ho invitato il giornalista ad occuparsi della dinamica della ricerca scientifica sull'istruzione a Ginevra, su quanto fa la FAPSE ed in particolare la sezione dell'educazione e sulle relazioni tra FAPSE e SRED. La natura della ricerca scientifica sulla scuola, il programma di ricerca della FAPSE e quello dello SRED, la complementarità tra i due programmi: qui sta il nocciolo del problema da sempre. Quando ero allo SRED i miei collaboratori hanno per molti anni lottato sulla definizione della missione dello SRED. Avevano ragione. Vedevano arrivare l'uragano, ma non sapevano erigere un apparato difensivo solido, efficace. E ora la tempesta è scoppiata davvero.

mardi 19 février 2013

Fondazione San Paolo per la Scuola

Ieri 18 febbraio sono stato a Torino per partecipare alla riunione del Consiglio direttivo della Fondazione San Paolo per la scuola. Dopo otto anni i membri scadono e vanno sostituiti. Ero quindi giunto ala fine del mio periodo di mandato e quella di ieri era la mia ultima riunione torinese nella FxS.A metà strada, dopo quattro anni, era cambiato il presidente della FxS che allora era il prof. Lorenzo Caselli di Genova ed giunse un nuovo presidente, il prof. Anna Maria Poggi, romana, ma insegnante diritto costituzionale a Torino. La composizione del Consiglio allora cambiò quasi completamente e della vecchi guardia si rimase solo in due, il prof. Giorgio Chiosso e il sottoscritto. Mi ricordo quando sono stato reclutato. Il direttore della Fondazione Massimo Coda allora alto funzionario nella Compagnia di San Paolo venne a Genova a spiegarmi cosa fosse la FxS e come funzionava. Ero di passaggio a Genova. Ho poi capito che ero stato designato dai membri del consiglio della Fondazione, mi pare su proposta della prof. Ribolzi. Insomma a quell'epoca, la FxS aveva un indirizzo molto pedagogico, era più o meno interessata alla politica scolastica, provava la necessità di avere tra i membri un esperto internazionale, finanziava strani, almeno per me, progetti scolastici che non erano nemmeno delle sperimentazioni. Le valutazioni erano dilettantesche o non esistevano affatto. Più o meno convinto da Coda, sono caduto nella FxS e negli intrighi della politica scolastica piemontese che ho appreso a scoprire poco per volta. Agli inizi del mio coinvolgimento nell'attività della Fondazione mi è parso di avere il ruolo dell'amico critico, di colui che ha uno sguardo esterno su quel che succedeva, si proponeva nell'ambito della Fondazione. Ero sorpreso della piega del programma di lavoro ma ero in grado, più o meno, di collegare le iniziative proposte per il finanziamento a ricerche scientifiche e sperimentazioni in corso nei maggiori sistemi scolastici italiani. Poi ho capito che questo ruolo era un alibi, che era del tutto illusorio attendersi cambiamenti di linea nel programma della FxS e men che meno di chiedere finanziamenti per programmi alternativi. E? tuttora difficile per me specificare quale fosse il ruolo della FxS ma certamente era del tutto diverso da quello di qualsiasi altra fondazione europea specializzata nel settore dell'istruzione. Ho poi anche capito che ciò è in parte attribuibile anche alla funzione che hanno le fondazioni bancarie in Italia. Il loro compito è del tutto diverso da quello delle fondazioni americane o inglesi o olandesi.La mia presenza nella FxS mi è servita per indovinare, direi quasi intuire piuttosto che capire il funzionamento della politica scolastica piemontese, il ruolo che vi ha la Compagni di San Paolo con i suoi capitali e il ruolo devoluto alla FxS. La sola iniziativa nella quale ho avuto un ruolo attivo fu quella della costituzione e dell'organizzazione del dottorato di ricerca sulla valutazione dei sistemi scolastici presso l'Università di Genova, iniziativa fortemente voluta dal prof. Ribolzi e finanziata dalla Compagnia di San Paolo con 200 000 euro l'anno se non erro. Le somme in ballo non sembrano considerevoli di primo acchito ma non sono nemmeno di poco conto. L'esperienza del dottorato purtroppo è andata male per mancanza di studenti interessati. Non metto in conto il contributo all'organizzazione di un paio di incontri internazionali a Torino, uno con Caselli e l'altro con Poggi, la quale invece ha fortemente accentuato l'impegno della Fondazione nel settore della valutazione(ma il dottorato di ricerca di Genova era partito prima di lei)pur in mancanza di una comunità di valutatori qualificati del sistema scolastico in Italia. Il personale stabile della fondazione non è reclutato con il compito di svolgere indagini scientifiche, non è un centro di ricerca né un polo di controllo delle ricerche scientifiche sulla scuola. In conclusione questa esperienza mi è servita per indovinare , per scorgere di trafila direi, alcuni retroscena della politica scolastica italiana e piemontese e soprattutto per scoprire Torino, una gran bella città.

samedi 9 février 2013

La DEPP: la direzione della valutazione, della prospettiva e delle prestazioni del sistema scolastico francese

In aettimana sono andato alla DEPP a trovare Paul Esquieu, il redattore di "L'Etat de l'école", l'insieme d'indicatori del sistema scolastico francese. Non ci andava da più di cinque anni. La DEPP è la Direzione della valutazione, della prospettiva e delle prestazioni(intese come risultati, in francese "performance") del Ministero Nazionale francese dell'educazione nazionale. E' una Direzione prestigiosa, enorme (circa 1000 persone) perché combina la statistica scolastica per tutto il sistema scolastico francese, inteso in senso lato (sorrido perché ogniqualvolta devo scrivere in italiano di queste cose mi tocca specificare, poiché in Italia il sistema scolastico si ferma alla fine dell'insegnamento secondario superiore o , come si dice oggigiorno, dell'insegnamento secondario di secondo grado, mentre invece altrove, per l'appunto anche in Francia, il sistema scolastico "tracima", coinvolge le università, l'educazione per gli adulti, ecc. ecc.) e la valutazione del sistema scolastico e dell'istruzione (come fa l'INVALSI in Italia). Non condivido questa organizzazione, in particolare l'inclusione del servizio di valutazione all'interno dell'amministrazione statale. Propendo per una forte indipendenza e autonomia scientifica, politica, amministrativa, politica, dell'apparato che effettua le valutazioni. La sede attuale della DEPP è alla Rue Dutot nel quindicesimo quartiere della città. Una strada celebre, preceduta dalla rue Dr. Roux, uno dei compagni d'avventura di Pasteur, via che passa del resto proprio in mezzo all'Istituto Pasteur, un insieme imponente di edifici alcuni dei quali sono ancora quelli originali di fine Ottocento. Poco dopo l'istituto Pasteur c'è la DEPP. Vorrei parlare di questa Direzione perché ho avuto molto a che fare con i primi direttori e con alcuni collaboratori, ho collaborato alla realizzazione delle prime edizioni dell'insieme francese di indicatori della scuola -- il celebre opuscolo "L'Etat de l'école"-- ma soprattutto perché alla DEPP ho incontrato ricercatori di qualità, specialisti di statistica scolastica che dietro le quinte svolgevano e svolgono tuttora un grande lavoro. Le chiamerei le formiche dei laboratori. Ho inoltre un debito con la DEPP perché questa direzione mi ha fornito un grande aiuto quando si è trattato di avviare la costruzione del primo insieme di indicatori internazionali dell'istruzione noto con l'acronimo INES. Con gli Stati Uniti, dove furono due le persone per me determinanti, Emerson Elliott che era Commissioner del National Center for Education Statistics (NCES) e Jeanne Griffith,prematuramente scomparsa, che credo fosse la direttrice del settore relazione internazionali al NCES, la Francia fu il secondo paese dell'OCSE che nel 1988 ha sostenuto senza tentennamenti la necessità di produrre un sistema internazionale d'indicatori dell'istruzione. In quegli anni, nel mondo della scuola non si era affatto convinti che la produzione di un insieme d'indicatori dell'istruzione fosse opportuna ed anzi si riteneva che fosse perniciosa. L'idea di produrre dati sulle prestazioni del sistema scolastico, di raccogliere dati sul funzionamento dei sistemi scolastici era percepita come un'eresia, una violazione del sacrosanto dovere di educare e istruire il popolo, una missione questa che non ha prezzo, di per sé incommensurabile. Dunque l'avvio della storia dell'insieme d'indicatori internazionali comparati non fu affatto roseo, non fu una passeggiata. Senza il sostegno degli Stati Uniti e della Francia non si sarebbe fatto nulla. Ne sono convinto. Per la Francia le persone chiave almeno per me in questa storia furono tre: il ministro dell'Educazione René Monory, il direttore e fondatore della DEP (allora l'acronimo aveva una sola "P") Jean-Pierre Boisivon e Claude Seibel alto funzionario dell'INSEE, l'Istituto Nazionale Francese della Statistica e degli Studi Economici, vivaio, in un certo senso, degli specialisti di statistica francese. Beninteso, all'interno della DEP c'era un gruppo di collaboratori che fu dirottato a lavorare sugli indicatori comparati come ce n'era uno a Washington D.C. La comparazione dei dati sulla scuola non era affatto una faccenda anodina. I criteri di comparazione dovevano essere specificati in maniera minuziosa e per farlo occorrevano specialisti dediti a questo compito. Il connubio tra Francia e Stati Uniti è pressoché incomprensibile. Gli Americani cercavano due cose: dati comparabili sull'istruzione che convalidassero gli allarmismi federali sullo stato mediocre dell'istruzione di base USA e poi una leva per ampliare e migliorare le loro statistiche scolastiche. A Washington i responsabili dello NCES dovevano negoziare con 50 stati ogni raccolta di dati e se dietro le quinte si poteva segnalare la presenza di un cane da guardia ringhioso come l'OCSE anche i responsabili delle statistiche degli Stati più restii potevano essere intimoriti e indotti a collaborare. A Parigi invece era un altro paio di maniche. I Francesi ritenevano di avere le migliori statistiche scolastiche del mondo (il che non era e non è vero) di essere alla punta della raccolta dei dati statistici sulla scuola, di disporre di un apparato statistico eccellente e di potere calare la lezione a tutti vendendo come modello il loro sistema scolastico. Si sbagliavano di grosso. Ma la loro macchina di produzione delle statistiche scolastiche era davvero impressionante. Non mi era allora ben chiara e non mi è ancora ora la ragione del coinvolgimento alla punta del combattimento della Francia. Le autorità scolastiche francesi ritenevano che il loro sistema scolastico fosse eccellente e partivano quindi da una posizione ben diversa di quella degli Americani. I Francesi non erano particolarmente attratti dalla comparabilità. Questa era per gli specialisti della DEP una questione puramente intellettuale, un esercizio mentale di rigore e di disciplina, forse una procedura di conoscenza ma non un atto politico. Lo era invece per gli Americani e per me: per noi la comparazione era uno strumento politico, una strategia e un metodo di conoscenza. Ho quindi sfruttato le competenze dei Francesi, il loro gusto per gli algoritmi, le classificazioni, i formalismi statistici. Molti Specialisti francesi che lavoravano alla DEP ritenevano che il loro apparato burocratico scolastico possedesse già tutto quanto fosse necessario per pilotare e gestire il sistema scolastico. Il malinteso era considerevole e quando si accorsero che l'organizzazione internazionale influenzata dagli USA andava in una direzione poco convenevole per la politica scolastica francese, anzi in una direzione pericolosa per la scuola francese perché suscettibile di mettere in evidenza le pecche del sistema scolastico francese e della cultura scolastica che lo forgiava, fecero marcia indietro. La Francia tirò i remi in barca. Ho potuto però beneficiare dello stato di grazia iniziale e organizzare con le autorità francesi l'incontro internazionale che ha permesso di lanciare il progetto internazionale sugli indicatori dell'istruzione. L'organizzazione a Poitiers nella primavera del 1988, nella sede ancora in cantiere del Futuroscope, della Conferenza internazionale sugli indicatori dell'istruzione fu il primo passo che ha permesso d'impostare tutto il lavoro. Quello fu forse l'evento che ha dato la stura a tutta l'avventura degli indicatori internazionali dell'istruzione. L'incontro avvenne pochi mesi dopo un'altra conferenza internazionale sulla qualità dell'istruzione organizzata a Washington nell'autunno del 1987.La questione era all'ordine del giorno: le autorità politiche volevano informazioni fresche sul rendimento delle scuole e queste informazioni non c'erano. Poco per volta tutti i paesi si adeguarono, riconobbero che si doveva fare qualcosa, che assieme si poteva progredire, scegliere le informazioni utili e apprendere a raccoglierle e a produrle. Tutto ciò sembra facile ma non lo è affatto. Non parteciai alla riunione di Washington perché a quel momento non era ancora stato deciso chi all'interno dello staff dell'OCSE avrebbe dovuto occuparsi del progetto degli indicatori dell'istruzione. Ero il solo tra i miei colleghi ad avere sostenuto all'interno dell'OCSE la tesi della crisi della qualità dei sistemi scolastici e ad invocare la necessità di statistiche scolastiche più complete, più pertinenti. Avevo appena finito di curare un volume sui figli di immigrati nelle scuole dei sistemi scolastici dell'OCSE ed avevo messo in evidenza la mancanza di dati statistici su quella categoria di studenti. L'incontro di Washington avrebbe dovuto essere annacquato dai colleghi dell'OCSE della direzione dell'educazione ma è andata loro buca. I partecipanti alla riunione di Washington hanno infatti finito per elencare una lista di dati mancanti nelle statistiche scolastiche tradizionali senza le quali le politiche scolastiche non potevano pilotare l'evoluzione dei sistemi scolastici. Rientrati a Parigi, il direttore dell'educazione Ron Gass mi affidò contro tutti la responsabilità di prendere in mano il progetto sugli indicatori dell'istruzione. Non avevo una formazione in campo statistico, non l'ho tuttora, ma capivo quel che non andava e cosa si doveva fare. Per prima cosa cercai una dozzina di esperti internazionali specialisti nel campo della valutazione e della statistica scolastica i quali mi diedero un colpo di mano fondamentale e mi protessero ben bene contro gli attacchi sferrati dai colleghi inferociti dalla decisione di Gass. Fu proprio in questo momento critico che la DEP diretta da Jean-Pierre Boisivon, lui pure come il sottoscrito privo di qualsiasi formazione specialistica nel campo della statistica scolastica, propose di organizzare immediatamente un incontro internazionale per concludere e capitalizzare i risultati delle discussioni di Washington. Ed è a questo momento che presi in mano il progetto INES e lo portai avanti fino al 1995. Per un paio di anni la DEP è stata molto attiva nel progetto INES dell'OCSE. Tra l'altro fu la DEP e in questo caso Denis Meuret che allora lavorava alla DEP, a proporre di impostare un'indagine internazionale molto originale sui livelli di decisione, sui modi di decidere e sui tipi di decisione vigenti all'interno dei vari sistemi scolastici per compararli tra loro. Questa fu una novità assoluta e quest'indagine, perfezionata, è stata ripresa dall'OCSE per produrre indicatori comparabili sulle competenze decisionali nella scuola che sono stati inclusi nell'insieme d'indicatori internazionali dell'istruzione pubblicato nel 2012.

dimanche 3 février 2013

Che noia la domenica!

Più di un decennio fa , nel 1998, fui invitato a svolgere una relazione a Lugano alla fine della settimana di formazione per l' apertura dell'anno scolastico degli insegnanti delle scuole primarie del Canton Ticino. Avevo intitolato quell'intervento "Che noia la domenica"! Quel testo, che non ho più riletto, si trova qui: http://www.oxydiane.net/archivio-archives/textes-1998/article/che-noia-la-domenica-luci-e-ombre. Il titolo era ironico ed era anche autobiografico: domeniche noiose passate in casa o con i familiari, pomeriggi mortali, spesso riempiti parzialmente, almeno quando ero piccolo, all'oratorio di Lugano dove si incontravano centinaia di bambini. Si iniziava con una cerimonia in chiesa di cui non ricordo nulla e poi si passava nella sala cinematografica per vedere grandi film che invece ricordo. Per fortuna fino ad una certa età ebbi l'opportunità di frequentare l'oratorio. Al momento dell'adolescenza invece passavo la domenica pomeriggio in casa, spesso da solo con un pretesto o con un altro, sovente con la scusa di fare i compiti. Il ricordo insomma è quello di una grande noia in attesa del lunedì quando si andava a scuola. Agli insegnanti presenti che riempivano la grande sala del salone dei congressi di Lugano volevo dire che il lunedì rappresentava un momento magico di festa che incombeva loro la responsabilità di rompere la noia domenicale e domestica , di far sognare come succedeva nella sala cinematografica dell'oratorio, di far evadere dal piccolo mondo antico delle visite familiari obbligatorie per incontrare parenti che non si conoscevano, di sfuggire dagli orizzonti ristretti nel quale si cresceva. Ricordo pochissimi insegnanti che sono stati capaci di farlo. Purtroppo la scuola non era divertente, era spesso altrettanto noiosa della vita domestica. Non erano invece noiosi i compagni, era divertente la strada da percorrere per andare a scuola ma siccome mio padre era insegnante quella strada la percorreva anche lui ed ogni tanto mi pedinava e mi controllava: con chi parlavo, come camminavo, chi frequentavo. Avevo l'impressione che mi spiasse ed infatti era proprio così. Nulla gli sfuggiva. Ma la ricreazione era un gran bel momento. Credo di avere appreso moltissimo sul cammino della scuola e a ricreazione. In quei momenti non mi sono mai annoiato. Ma in classe , spesso, noia a non finire, come a casa. Una noia diversa però, che si poteva neutralizzare con mille sotterfugi che erano divertenti fino al punto , in un corso di filosofia all'istituto magistrale di preparare il caffè con la napoletana in fondo alla classe e di berne una tazza mentre il prof faceva lezione senza accorgersi di nulla. Spassosissimo. Questa fu la mia scuola. I compagni turbolenti in fondo all'aula non brillavano a scuola. Avevo note migliori. Ero il secchione della classe ma quei compagni li ricordo ancora, sono geloso di loro e ho ammirato come ammiro tuttora il loro coraggio, la loro ribellione. Adesso, dopo tanti anni e tante esperienze, mi vengono in mente anche i bambini africani che in certi paesi marciano per una decina di km per andare a scuola. Bambini-pastori che si annoiano da morire rinchiusi in classi di un centinaio di alunni. Non so se si annoiano veramente, del resto. Non so cosa succede durante le trasferte. Ho letto che per le bambine il cammino è pericoloso e che le famiglie allora le tengono a casa, preferiscono non scolarizzarale. Un'associazione africana di donne universitarie impegnata per l'emancipazione della donna africana, la FAWE ("Forum for African Women Educationalists), ha un programma di costruzione di internati per consentire alle ragazze africane dotate di evitare pericolosi viaggi a piedi per andare a scuola. Ebbene, ho pensato al mio intervento di Lugano, a queste situazioni quando qualche giorno fa mi è capitato tra le amni un articolo di Laurence Cornu intitolato "Le plaisir et l'ennui à l'école" pubblicato nella rivista internazionale dell'educazione del Centro internazionale di studi pedagogici del governo francese (CIEP) a Sèvres, no.27 settembre 2011. Laurence Cornu afferma che "chacun peut en effet imaginer que réussir à l’école n’est pas étranger au plaisir que l’on a de venir dans le lieu scolaire, ni à celui d’apprendre". Non sono affatto sicuro che ciò sia valido. Si può riuscire a scuola, anzi si riesce, senza provare nessun piacere per quel che si è obbligati a fare e si impara quanto la scuola esige. Si apprende anche se manca qualsiasi motivazione. Inutile raccontarsi belle storie. Il successo scolastico in parte può dipendere dalla diligenza, dalla motivazione, dall'interesse per quel che è presentato dagli insegnanti ma dipende anche da moltissimi altri fattori, come per esempio la competizione con i compagni, l'orgoglio personale, il desiderio di non avere grane in casa con i genitori, la voglia di essere lasciati in pace. Molti studenti, molti bambini, vivono a casa in condizioni disastrose, rumorose, stressanti, talora violenti. A scuola invece dev'essere diverso. Si va volentieri se ci si sta bene, se le condizioni materiali della scuola sono migliori che non quelle casalinghe, se i bagni sono puliti, se si fraternizza con compagni o compagne simpatici. Tutto ciò ha poco a che fare con la pedagogia.