samedi 27 décembre 2014

Valutazione del sistema scolastico del Canton Ticino (Svizzera Italiana)

Me ne sono andato(ossia ho dato le dimissioni da insegnante) dalla scuola statale del Canton Ticino nel lontano 1969. Il sistema scolastico  attuale non lo conosco. Leggo su Internet che una grande riforma scolastica  è progettata nel Ticino. Ho il quadro teorico in mano e lo leggerò. Non sono di queste intenzioni che intendo parlare qui. Mi preme solo segnalare che i quindicenni che frequentano la scuola ticinese statale non brillano nei test comparati internazionali come quelli dell'indagine PISA, test ben fatti e suppongo anche coscienziosamente svolti nel Ticino. Ciò non succede ovunque. I punteggi dei Ticinesi sono tra i più bassi di quelli dei sistemi scolastici elvetici che nel 2012 hanno partecipato all'indagine PISA e la media dei Ticinesi quindicenni in cultura matematica è  inferiore a quella lombarda, se non erro. Ammetto che la valutazione della cultura matematica dei quindicenni non è il metodo unico per giudicare la qualità di un sistema scolastico e che ci sono miglioramenti da studiare e attuare quando si valuta, quanto si apprende a scuola e come ho già detto più volte non tutto quello che si impara a scuola è importante e molte nozioni rilevanti per la vita quotidiana (questa è l'ambizione dell'indagine PISA) si apprendono fuori dalla scuola, per cui la valutazione delle conoscenze dei quindicenni in tre rami ( cultura matematica, cultura scientifica e comprensione dei testi scritti) di per sé non basta per giudicare la bontà di un sistema scolastico, ma gli strumenti che l'OCSE produce non sono affatto male e sono approntati da specialisti mondialmente noti.

Scrivo di queste cose non solo perché me ne intendo un poco di valutazione ma perché la valutazione degli studenti con strumenti nuovi, la valutazione delle scuole, quella degli insegnanti e "dulcis in fundo" dei sistemi scolastici è una delle caratteristiche della politica scolastica contemporanea.
Non so neppure se nel Ticino ai quindicenni nella scuola è stato somministrato lo strumento OCSE-PISA sulle conoscenze finanziarie, che era opzionale  nel 2012, ma che alla fin fine va considerato uno strumento eccellente e per di più è il segnale dato dall'OCSE di valutazione di altre conoscenze, di altri saperi spesso non previsti, fortunatamente, nei programmi scolastici ufficiali. L'OCSE - PISA con questo strumento ha aperto una finestra su un campo nuovo .

Varrebbe pure la pena ricordare che uno dei criteri costitutivi dell'indagine OCSE-PISA è  la valutazione della cultura e non di quanto si apprende a scuola. La valutazione del sapere scolastico insegnato nelle scuole esige altri strumenti. La connessione dei punteggi conseguiti dai quindicenni nei test OCSE-PISA con gli apprendimenti scolastici è una forzatura proprio perché questi test sono stati concepiti "curriculum free", ossia indipendentemente dai programmi scolastici proprio perché è estremamente difficile costruire un'indagine internazionale comparata collegata ai programmi scolastici che variano da un sistema scolastico all'altro: in alcuni sistemi scolastici per esempio si prevede di insegnare il calcolo delle probabilità, in altri no; in alcuni il teorema di Pitagora lo si affronta in seconda media e in altri invece in terza; e via dicendo. Non ci sono regole. Occorrerebbe un servizio di valutazione locale per svolgere la valutazione del sapere scolastico, ma ciò costa e l'indagine elvetica Harmos che si farà per la prima volta nel 2015 non è sensibile a questi aspetti. Tra l'altro il mondo scolastico elvetico da decenni ( ci sono documenti in merito che risalgono al 1930-35) è ostile alla valutazione scolastica con test, ha partecipato per la prima volta a un test internazionale di valutazione nel 1990 ( il test dell'IEA "Reading Literacy") e non tutti i sistemi scolastici elvetici hanno partecipato ai test OCSE-PISA oppure ai successivi test dell'IEA, taluni dei quali erano invece molto interessanti, come per esempio il test sulla cultura civica, ma in Svizzera non si formano specialisti della valutazione nelle università. Allora si sta alla larga o si critica questo approccio . Harmos è un'eccezione che ha una strana storia alle spalle la quale viene dalla Germania, un paese che come la Svizzera non ha un sistema scolastico centralizzato, unico, ma ha un sistema scolastico federalista. Non a caso i lavori per l'indagine Harmos sono iniziati con la traduzione dal tedesco di un documento prodotto in Germania. La Svizzera , anzi la Conferenza dei Capi di Dipartimento dell'istruzione Pubblica ha pagato la traduzione e la ristampa del documento.

samedi 13 décembre 2014

Globalizzazione delle politiche scolastiche

Le politiche scolastiche si copiano e se non si copiano, in ogni modo si imitano l'un l'altra. I temi che trattano sono in genere identici anche se le soluzioni non lo sono perché devono tenere conto dei contesti e delle tradizioni amministrative locali. Ogni sistema scolastico  suppone di essere originale, unico. Invece non è proprio il caso.
Il "la" dell'omogeneizzazione dei sistemi scolastici è dato dalle organizzazioni internazionali; un tempo l'Unesco , adesso, da un ventennio, dall'OCSE. Non certamente dall'Unione Europea, almeno fin qui. Magari è un bene che sia così anche se nell'Unione Europea c'è chi lavora come una talpa e scava progetti di politica scolastica e curricoli sotterranei senza essere pagato un gran che , ma si sa che gli insegnanti lavorano volentieri per la causa a gratis.

E' stato recentemente pubblicato il 12 novembre scorso dalla rivista USA "Teachers College Records" di New York  un carteggio sulla globalizzazione dell'istruzione scolastica  che tratta un aspetto della globalizzazione in corso n sette 1 ci siei sistemi scolastici con il caso della rendicontazione , bruttissima parola che traduce quella inglese di "accountability": il rendere conto di quel che si fa. Il carteggio è intitolato:

Accountability: Antecedents, Power, and Processes


e contiene quattro articoli  di autori assai noti per le loro critiche ai programmi delle organizzazioni internazionali:

Heinz Dieter Meyer, Daniel Tröhler, David F. Labaree e Ethan Hutt. 

Chi sono gli autori?

  • Meyer è professore associato all'<università di New York, Albany;
  • Tröhler è professore di scienze dell'educazione e direttore della scuola di dottorato dell'Università del Lussemburgo;
  • Labaree è professore di scienze dell'educazione a Stanford e presidente del gruppo di materie SHIPS ( scienze sociali, scienze umane e studi politici interdisciplinari);
  • Hutt è professore al College Park dell'Università del Maryland. 


L'editoriale, ovviamente in inglese, come del resto gli articoli,  si cita nel modo seguente: Teachers College Record, Volume 116, Number 9, 2014, p. , (http://www.tcrecord.org, ID Number: 17547)

Vale la pena riprendere alcuni spunti di quest'articolo che contesta la pertinenza del concetto di autonomia scolastica.


L'accountability


Il tema dell’accountability è ormai diventato secondo I quattro autori la norma nonché un tema dominante del discorso pedagogico contemporaneo. Tutto ciò ha permesso di legittimare la trasformazione della teoria scolastica da un progetto educativo, sociale e culturale a un progetto economico che genera "competenze" utilizzabili nella vita quotidiana. Questo numero speciale della rivista "Teachers College" tenta di illustrare questa evoluzione.. Nei quattro articoli si trattano gli antecedenti storici, il quadro teorico, i cambiamenti in corso dal punto di vista del rapporto di forze tra i vari responsabili dell'istruzione e le famiglie o i responsabili dell'istruzione e dell'educazione dei bambini e degli studenti.


Gli autori concordano nel fatto che l'indagine dell'OCSE PISA nonché il programma USA « Race to Top » abbiano aperto la strada a questa ondata che travolge tutto il discorso pedagogico contemporaneo. Una ventina di anni fa nessuno parlava di accountability mentre invece questo stesso concetto è diventato centrale oggigiorno nel discorso pedagogico ufficiale. Vent'anni fa nessuno si sognava di utilizzare questo concetto nel senso che ha acquistato nel mondo contemporaneo. Tutto ciò è sorprendente se si pensa al fatto che i promotori dell’ accountability affermano di considerare con estrema cura la proposta perché si tratta di far passare il servizio scolastico statale attraverso la cruna di un ago.


Come è stato dunque possibile arrivare a questo punto? Come si è giunti a ritenere l’accountability l'ancora di salvezza delle riforme scolastiche contemporanee? Come l’accountability è diventata la giustificazione delle politiche che mirano alla produzione di un curricolo centralizzato, all'elaborazione di schemi per la valutazione degli insegnanti basata sui punteggi dei loro studenti nei test, alla prospettiva di chiudere le scuole che non ce la fanno a migliorare?


Questa evoluzione secondo gli autori degli articoli inclusi in questo numero speciale della rivista emergerebbe dall'intersezione di discorsi politici nazionali e internazionali nei quali reti politiche transnazionali e organizzazioni internazionali come l’OCSE o la  Banca mondiale giocano sempre più un ruolo centrale. Gli attori di queste reti operano ad una certa distanza dai meccanismi tradizionali del controllo democratico. In questo mondo, idee provenienti dalla periferia del discorso politico posso essere rilanciate e amplificate da un punto centrale come lo è per esempio l’OCSE  ( mi viene in mente il romanzo di Stephen King, Il duomo. Non so se il titolo sia stato tradotto in questo modo in italiano). Da qui, ossia da questo punto di catalizzazione,  possono essere rilanciate con maggior forza verso la periferia ed inevitabilmente finiscono per modellare le attività di riforma scolastica nei cinque sistemi scolastici. Abbiamo un brillante esempio di questa procedura in Italia. Politiche che potrebbero essere molto ostacolate a livello locale diventano irresistibili quando sono offerte od  imposte con un consenso non contestato dalle democrazie "imperiali" che governano il mondo contemporaneo. In questo modo si omogenizza ciò che è eterogeneo con imposizione di standard unici e di una metrica che fa da referenza a tutti risultati. Inoltre il centro delle decisioni politiche  sfugge di mano ai professionisti locali dell'istruzione e si annida in istituzioni parastatali e in storie nazionali forgiate da una piccola elite di esperti. Infine, si opera uno slittamento da il governo decentralizzato dell'istruzione e del sistema scolastico a un governo centralizzato dell'istruzione e delle politiche scolastiche con l'imposizione di direttive alquanto rigide.


L'agenda dell’accountability deriva alquanto dalla quasi evidenza e dalla popolarità delle idee del sistema democratico. dove i dirigenti politici sono responsabili della vitalità democratica del buon governo. Ma nel sistema democratico, i dirigenti politici sono sanzionati U possono essere sanzionati nel corso delle elezioni ed in modo devono tenere conto quando decidono dal contesto. Tutto questo non è previsto dall’accountability scolastica imposta nelle discussioni dagli organismi internazionali o nelle sedi internazionali o nelle analisi delle indagini internazionali. I criteri utilizzati per giudicare la rendicontazione sono insensibili alla varianza del pubblico e dei luoghi. Per gli autori, degli articoli pubblicati in questo numero speciale, il tema dell'accountability meriterebbe di essere ulteriormente approfondito. È indubbio che quando le scuole sono rese responsabili dei risultati migliorano ed è questo quanto conta. Il problema risiede nella definizione dei risultati. Di quali risultati un insegnante, una scuola, un dirigente sono responsabili?



Fino ad una quindicina di anni fa nessuno parlava di accountabiliy. Si parlava piuttosto di autonomia. Solo in rari casi si accennava ad un regime scolastico impostato sull' accountability. L'autonomia scolastica è connessa all' accountability ma non è la stessa cosa.Una scuola autonoma non è necessariamente tenuta a rendere conto di quel che fa e di quanto ottiene con gli studenti che la frequentano e gli insegnanti che vi lavorano. Del resto fino ad ora non si è ancora deciso di cosa le scuole debbano occuparsi nel XXI secolo. La tendenza dominante resta quella antica: le scuole dovrebbero  occuparsi di tutto. E' probabile che questa via non potrà più essere seguita in futuro. Il curricolo scolastico andrà rivisitato e ridotto. 

Rendere conto però è meglio. Si potrebbe associare il termine accountability a trasparenza.Le scuole dovrebbero essere trasparenti e il più delle volte sono invece opache. A questo punto ci sarebbe chi potrebbe contestare la fattibilità della trasparenza. Non tutto quello che succede in una scuola può essere reso trasparente. Il che vorrebbe dire che la scuola, gli insegnanti, il dirigente non deve rendere conto di tutto quanto capita nell'istituto. Forse nelle scuole come sono oggi questa è una pratica razionale ma ci si può chiedere se nei prossimi decenni, nelle scuole di domani, questa regola potrà ancora sopravvivere. Temo occorrerà rassegnarsi ed apprendere a rendere conto di poche cose essenziali. Ma per farlo si deve apprendere, dei limiti vanno posti: a chi rendere conto, come? Indubbiamente la scopiazzatura di relazioni di fine anno dello stesso calibro non sono un modello corretto per rendere conto , per essere "account", per praticare l'"accountability".

vendredi 12 décembre 2014

Compiti a casa

Altra bella scoperta dell'indagine PISA 2012: chi fa più compiti a casa, chi lavora a casa su quanto fatto a scuola, riesce meglio in matematica e ottiene punteggi migliori nel test di PISA sulla cultura matematica. E' quanto affermato nel blog dell'OCSE "educationtoday" dell'11 dicembre 2014 dall'editore in capo Marilyn Achiron.

Dunque i compiti vanno fatti ma il problema è che non tutti i quindicenni vivono in ambienti domestici dove si possono fare i compiti. Acheron e forse nelle analisi dei risultati PISA si propone di botto la soluzione. Presto detto: chi non può fare i compiti a casa li fa a scuola e poi spetta agli insegnanti convincere i genitori o le famiglie o i tutori che sarebbe bene far fare subito i compiti appena si rientra da scuola, prima di accendere la televisione oppure prima di giocare alla playstation oppure prima di uscire di casa o di scappare dagli appartamenti-tuguri per giocare con i compagni o con gli amici. Visione poetica ed angelica dell'OCSE. Bisognerebbe rendersi conto che gli insegnanti non hanno il tempo per andare a spiegare queste cose ai responsabili degli studenti e che soprattutto non sanno farlo. 


In ogni modo non ci sono dubbi secondo il punteggio del test PISA: chi fa compiti di matematica a casa ha un vantaggio nel test PISA sulla cultura matematica di ben 6 mesi o più rispetto ai compagni quindicenni che invece non fanno i compiti. Resta sempre aperta la questione sullo scopo di PISA che non valuta quando si apprende a scuola. Ma questa è un'altra questione che non va scordata.

Ovviamente, la maggioranza degli alunni che non fanno compiti a casa provengono dai ceti sociali poveri e non da quelli benestanti. Da qui l'altra soluzione estremista che non ha mai funzionato fino ad ora: non dare più compiti da fare a casa. Tutti su un piede di uguaglianza. SI va a casa senza nulla. 

Nel blog dell'OCSE si citano in esempio svariati sistemi scolastici asiatici ma non si dice nulla sulle lezioni private in voga in questi paese nel doposcuola, pagate da chi è ricco. Il fenomeno è stato ben studiato all'università di Hong-Kong e dall'IIEP (http://www.iiep.unesco.org/en/contact-213) dell'UNESCO.

Si potrebbe aggiungere che ci sono studenti delle classi medie e medio-alte che fanno un minimo di compiti, che giocano alla playstation quando arrivano a casa perché in casa non c'è nessuno, e che nondimeno riescono bene a scuola. Il problema qui non sono i compiti. La scuola li può assegnare ma i compiti si possono svolgere in quattro e quattr'otto, all'ultimo momento , prima di andare a letto, dopo cena. Il successo scolastico non si misura solo con i punteggi conseguiti nel test di cultura matematica, ma si consegue anche in altri modi. Ciò vuol dire che i migliori studenti non sono necessariamente quelli che fanno i compiti con diligenza.

Resta comunque il fatto che chi lavora a casa dopo scuola su quanto fatto a scuola  riesce meglio e assimila meglio il sapere scolastico nonché i suoi addentellati che non i compagni che invece non fanno nulla appena usciti dalle lezioni.  L'indagine PISA 2012 conferma con prove alla mano quanto il buon senso ha sempre fatto ritenere. Dunque altro punto fisso: non è il tempo dedicato ai compiti a casa che conta.

Per ulteriori informazioni si veda anche il bollettino PISA in Focus no.46 che esiste anche in francese e che è gratuito ( http://www.oecd-ilibrary.org/education/les-devoirs-entretiennent-ils-les-inegalites-en-matiere-d-education_5jxrhqhj9rjd-fr).

Chi vuole divertirsi può anche prendere in mano le analisi di PISA e fare confronti tra sistemi scolastici. Lo ha fatto il Corriere della Sera. Questo esercizio non vale proprio nulla perché non si conoscono le condizioni nelle quali i compiti a casa sono fatti e nemmeno il tempo reale dedicato dai quindicenni ai compiti. Non si scordi infine che nell'indagine PISA  non si studiano i comportamenti degli studenti delle scuole primarie né quelli dei liceali. L'indagine PISA vale solo per un campione di quindicenni a scuola.

vendredi 5 décembre 2014

Benefici economici di una istruzione scolastica più equa

Il Centro Nazionale USA sulle politiche scolastiche insediato presso la scuola di dottorato sull'istruzione dell'Università del Colorado a Bolder (acronimo NEPC) ha pubblicato in questi giorni un'interessante analisi di una pubblicazione intitolata "Economic Benefits of Closing Educational Achievement Gaps" condotta proprio a Bolder a cura del  Think Twice da  due noti ricercatori nel settore della valutazione scolastica , Robert Lynch and Patrick Oakford, e che si può trovare al seguente indirizzohttps://www.americanprogress.org/ issues/race/report/2014/11/10/ 100577/the-economic-benefits- of-closing-educational-achievement-gaps/

Il tema è iper-discusso negli USA dove Eric Hanushek, noto anche in Italia , ha condotto svariate indagini sulla questione che sono state riprese anche dall'OCSE. L'autore della verifica è Clive Belfield, del Queens College, City University of New York, ossia uno specialista indipendente. Non esiste purtroppo una versione in italiano. Si riporta qui di seguito il comunicato stampa del NEPC che annuncia la pubblicazione dell'esame la quale è favorevole allo studio di Lynch e Oakford. L'indagine dimostra che se si riducesse il grande gap che esiste nei risultati in matematica  tra studenti bianchi e studenti ispanici il sistema economico USA ne trarrebbe un vantaggio di 20 miliardi di dollari entro il 2050 e il gettito fiscale ovviamente aumenterebbe. Belfield ritiene che l'indagine non è molto errata e dimostra che l'istruzione scolastica se migliorasse e se riducesse il divario di risultati scolastici in matematica tra classi sociali potrebbe essere alquanto utile all'economia USA. In fondo queste indagini sono effettuate con i dati delle valutazioni svolte oggigiorno per dimostrare con prove alla mano e con proiezioni talora rischiose che l'istruzione scolastica serve, che la scuola è utile, che il servizio scolastico statale deve migliorare perché se ne traggono grandi benefici. 

Queste indagini in Italia sono tentate dalla Banca d'Italia e dagli economisti ma non dai pedagogisti o dai valutatori che sono affaccendati in tutt'altre faccende. Ecco il comunicato stampa in inglese che si può`leggere al seguente link http://tinyurl.com/l533jns:

Past research suggests that the economic well-being of a society is related to the health and success of the society’s educational system. A new report estimates that if Black and Hispanic high school math scores increased to become equal to those of White high school students, the size of the U.S. economy would increase by $20 trillion by 2050. It also projects that tax revenues would rise by $4 trillion for federal and $3 trillion for state and local. The report therefore argues for substantial public investment aimed at closing achievement gaps.
 
However, a review published today concludes that, while the new report’s broader claim that closing achievement gaps would likely produce economic gains is sound, the report’s specific calculations are insufficiently supported by detail and checks of accuracy.
 
Clive Belfield, of Queens College, City University of New York, reviewed The Economic Benefits of Closing Educational Achievement Gaps for the Think Twice think tank review project at the National Education Policy Center, housed at the University of Colorado Boulder’s School of Education.
 
Belfield is an economist whose research focuses on resource allocation and cost-effectiveness. The Economic Benefits of Closing Educational Achievement Gaps, by Robert Lynch and Patrick Oakford, was published by the Center for American Progress.
 
Belfield’s review points out that the report lacks sufficient detail concerning its calculations of the economic benefits and fails to check the accuracy of its estimates. Additionally, he writes, “these estimates rely on a single study, and that study has limitations: it looks across countries rather than at the U.S. economy, and it implies a very powerful role for cognitive skills (test scores) over behaviors.”
 
The study’s plausible overall premise is that it makes sense to reduce educational gaps in the name of both efficiency and equity. But the economic model it uses lacks the detail required to judge the premise’s accuracy. “In order to be fully convincing, an economic model needs to be transparent in how the calculations are made and incorporate extensive sensitivity testing,” he writes. The model should also fully justify the focus on closing achievement (e.g., test-score) gaps rather than, for example, gaps in attainment (e.g., high school graduation). “Only then,” Belfield concludes, “will the actual numbers generated by the economic models be useful for a calculation of how much to invest in our long-term future from purely an efficiency perspective.”

mardi 2 décembre 2014

Formazione professionale

L'organizzazione della formazione professionale è un incubo sia in Italia che in Francia. In questi due sistemi scolastici la formazione professionale è prevalentemente scolastica. In Italia si svolge negli ITS e in Francia nei licei professionali. In entrambi i casi , in genere, si tratta di buone formazioni, di un eccellente livello. La parte dedicata alla formazione professionale  vera e propria è pero`talora alquanto ridotta.
In entrambi i sistemi scolastici il problema finora irrisolto è quello dell'apprendistato, ossia della formazione professionale svolta parte in azienda e parte a scuola. La percentuale di minori apprendisti come li ha definiti Livio Pesce è molto bassa e peggio ancora, laddove si è riusciti a istituire forme elementari di apprendistato non esistono possibilità di carriera. L'apprendistato è una scelta negativa, per chi non ha più nessuna volontà di formarsi a scuola.

Mi piace ricordare che in Germania un buon quarto degli studenti che conseguono la maturità non va all'università ma inizia un apprendistato professionale e che in Svizzera ci sono professioni alle quali si accede solo con l'apprendistato, che in certe professioni esiste perfino una lista d'attesa per iniziare l'apprendistato e che un apprendista puo`, se lo vuole, conseguire la maturità e andare all'università. Inoltre, molti posti di dirigenti aziendali, bancari, politici sono occupati da ex-apprendisti. In altri termini, dalla gavetta dell'apprendistato si può giungere ai vertici della società.

Nel sito francese  l'Expresso del 2 dicembre è stato pubblicato un articolo sull'uguaglinaza tra apprendistato e licei professionali  che si può consultare cliccando sul seguente link: http://www.cafepedagogique.net/lexpresso/Pages/2014/12/02122014Article635531021402172320.aspx
L'articolo è in francese e riprende alcune dichiarazioni di Henriette Zoughébi che non è l'ultima venuta perché è vice-presidente del consiglio regionale dell'Ile de France , ossia della regione di Parigi dove è responsabile dei licei. Zoughébi dichiara apertamente che il baratro tra apprendistato e licei professionali è inaccettabile, il che vuol dire che si devono cambiare da un lato i licei professionali e dall'altro sviluppare l'apprendistato. Si riporta qua sotto in francese l'articolo dell'Expresso:

Introduzione:

Les jeunes des milieux populaires méritent mieux que la perspective d’échapper au chômage. Le lycée professionnel a des avantages à faire jouer. En plein Salon de l’Education, Henriette Zoughebi, vice-présidente du Conseil régional d’Ile-de-France en charge des lycées, rappelle quelques idées fortes qui dérangent le prêt à penser du moment. A commencer par un traitement égalitaire entre lycéen pro et apprenti…

L'articolo:

« A l’étranger on nous envie l’enseignement professionnel ». Venue assister à la remise des prix  du concours « Filme ton job », organisé pour les apprentis par la région Ile-de-France, Henriette Zoughébi réagit aux slogans du moment. « Aujourd’hui en CFA académique de Créteil on compte 6% de décrocheurs contre 30% dans le privé. L’encadrement des élèves les plus fragiles et un point exceptionnel de notre enseignement professionnel », estime-t-elle. « Il faut veiller sur le lycée professionnel comme sur la prunelle de nos yeux ».

L’opposition entre lycée professionnel et apprentissage ? Un vrai sujet !, estime H Zoughebi. « L’objectif c’est de conduire le jeune le plus loin possible. Le lycée professionnel permet de donner une formation générale en même temps qu’une formation professionnelle. Il donne la possibilité au jeune d’acquérir les bases qui lui manquent pour se former tout au long de la vie. Il est irremplaçable ». Pour elle l’objectif affiché dans le Salon, « Faciliter l’entrée dans l’emploi » est très insuffisant. « L’objectif c’est d’aller le plus loin possible dans le travail et dans la vie. Il faut donner du sens au lycée professionnel et le valoriser mieux qu’on ne le fait aujourd’hui. Les jeuens ont  plus d’ambition que cela. Il ne faut pas les rabaisser ».

Pour faire avancer cette idée, Henriette Zoughébi a des exigences. « Je rêve qu’on puisse avoir en lycée professionnels des micro lycées qui permettent de raccrocher des jeunes en respectant leur ambition. Il ne fait pas faire « petits bras » avec ces jeunes ». 

Seconde exigence. « Un jeune en apprentissage a une rémunération. Pas un lycéen professionnel. Pour les jeunes des milieux populaires c’est un vrai sujet. Si on veut éviter la rupture en égalité entre élèves il faut s’emparer de ce sujet. Il faut que les jeunes puissent choisir la voie professionnelle sous statut scolaire ou en apprentissage et non être contraints par une question de moyens ». Le chemin de l’égalité entre lycée professionnel et apprentissage passe par un nouvel effort de l’Etat en faveur des jeunes les plus démunis. Nul doute que Henriette Zoughebi aille plaider au ministère la cause de l’égalité réelle.

François Jarraud

lundi 1 décembre 2014

In Francia il nuovo ministro dell'educazione di origine magrebina (N. Vallaud-Belkacem)  sconvolge la tradizionale ripartizione delle risorse umane e finanziarie tra scuole per dare di più a chi ne ha meno. Insomma , il ministro auspica maggiore giustizia sociale e equità. Ecco la sua dichiarazione, in francese:

« L’objectif que je me suis fixée est à la fois extrêmement simple et profondément ambitieux : faire reculer les déterminismes sociaux dans l’école… Notre école exacerbe aujourd’hui les inégalités sociales alors même qu’elle a pour mission d’offrir à tous les mêmes chances de réussite. Comment pourrons-nous construire la République de demain si nous donnons aux jeunes générations l’image d’une société qui, non seulement ne leur donne pas les mêmes chances, mais accroît les désavantages initiaux ? Je veux mobiliser la Nation autour d’une priorité : plus d’égalité pour la jeunesse. Je veux faire de ma politique éducative une politique publique au service de l’égalité et de la solidarité. » S’exprimant au Salon de l’éducation , N Vallaud-Belkacem a affirmé avec force des choix éducatifs clairs et volontaires. En préparation depuis son arrivée rue de Grenelle, ils devraient être détaillés courant décembre. La ministre a saisi l’occasion du Salon de l’Education et des manifestations des écoles et établissements sortis de zep pour annoncer la couleur.

« Nous ne les laisserons pas tomber », promet la ministre en parlant des écoles et établissements sortants de zep. « En réformant notre système d'allocation des moyens, nous prendrons désormais en compte les réalités de chaque établissement et mettrons fin aux effets de seuil qui les inquiètent. L'alternative ne sera plus être ou ne pas être en éducation prioritaire. A côté de ces réseaux où nous concentrons 350 millions d'euros supplémentaires, nous veillerons à ce que chaque établissement se voie doté le plus finement et le plus justement possible des moyens adaptés aux freins sociaux constatés ».

Ed ecco il commento del sito di sinistra l'Expresso, ( http://www.cafepedagogique.net/lexpresso/Pages/2014/12/01122014Article635530168105872052.aspx) che non sa come prenderla:

« Je suis la ministre des 12,3 millions d’écoliers, de collégiens et de lycéens. Je serai tout particulièrement celle, aux côtés des équipes pédagogiques et éducatives, des 20% d’élèves en grande difficulté dès la fin de l’école élémentaire et de tous ceux qui subissent le poids des déterminismes sociaux ». Ce que N. Vallaud-Belkacem a annoncé le 28 novembre, dans son intervention au Salon de l’éducation, est bien révolutionnaire. La ministre entend lier les moyens donnés aux établissements aux difficultés sociales et scolaires de leurs élèves. Dans un système éducatif très inégalitaire, la ministre affirme vouloir s’attaquer aux privilèges pour mieux soutenir l’Education prioritaire et les établissements « sortants de zep ». C’est une vraie bataille que N. Vallaud-Belkacem veut mener.


samedi 29 novembre 2014

Dirk Van Damme ha pubblicato nel blog dell'OCSE una interessante riflessione sull'educazione permanente e sull'istruzione lungo tutto l'arco della vita  sfruttando  dati dell'indagine PIAAC dell'OCSE sulle competenze degli  adulti che è stata condotta nel 2012 e i dati dell'insieme di indicatori internazionali dell'istruzione (EAG 2014) pubblicati dall'OCSE nel 2014. La riflessione non dice nulla di originale, cioè nulla  che già non si sapeva. Ribadisce soltanto che chi sa , chi è istruito , chi ha più diplomi o ha conseguito diplomi elevati beneficia molto dell'istruzione permanente o dell'istruzione lungo tutto l'arco della vita. A questa conclusione si era già giunti nel corso degli anni 90 nei primi volumi degli indicatori dell'istruzione prodotti dall'OCSE. Contrariamente a quanto  si riteneva già allora i principali beneficiari dell'istruzione lungo tutto l'arco della vita erano i più istruiti e non i sotto-istruiti. I programmi servivano a potenziare l' istruzione e le competenze professionali di coloro che avevano effettuato una buona scolarizzazione. Coloro che invece avrebbero dovuto trarre i principali benefici dai corsi professionali o di cultura generale dopo una pessima  scolarizzazione iniziale o dopo una scolarizzazione non riuscita invece ricadevano rapidamente nell'analfabetismo. I corsi non servivano a chi ne avrebbe avuto maggiore bisogno ma erano invece sfruttati ampiamente da chi ne sapeva già molto, almeno dal punto di vista scolastico. Dopo un ventennio la musica non è cambiata. Secondo i dati prodotti dall'OCSE e citati da Van Damme che è anche il direttore del CERI all'OCSE sono sempre gli stessi , ossia i benestanti, quelli che detengono il potere, i più istruiti, che traggono i profitti maggiori dall'istruzione lungo tutto l'arco dell'esistenza. La politica scolastica da questo punto di vista  non ha modificato nulla. Ci si può chiedere se qualcosa muterà nei prossimi decenni. Ne dubito assai. Riproduco qui di seguito il testo di Van Damme che è inglese e che si può`consultare anche cliccando sul link seguente:
Posted: 25 Nov 2014 02:11 AM PST
by Dirk Van Damme
Head of the Innovation and Measuring Progress division, Directorate for Education and Skills

Participation rates of 25-64-year-olds in formal and/or non-formal education
More than 40 years ago, the former French Prime Minister Edgar Faure and his team published one of the most influential educational works of the 20th century: “Learning to Be”, better known as the “Rapport Faure”, in which he mainstreamed the idea of lifelong learning. In Faure’s view, lifelong education was to become the leading educational policy principle for the future. Indeed, it became a powerful, evocative notion, nurturing dreams about “learning societies” in which people’s entire lives would be filled with opportunities to learn.

In the lifelong learning discourse, especially in its more optimistic variants in the late 20th century, there was a strong social equity argument. By creating more and better learning opportunities later in life, this argument went, the inequities in education that marked the first 25 years of a person’s life could be corrected or compensated for. A child’s schooling might be determined by his or her family background or economic and social capital; but missing out on educational opportunities early in life should not necessarily condemn individuals to be excluded from the benefits of learning later on. Second-chance or special education programmes that target low-schooled adults should ensure that providing access to education over a lifetime also results in a better redistribution of learning opportunities across society.

There is nothing wrong with beautiful ideas and dreaming of a better future. But the idea of lifelong learning encountered a fate similar to that of many dreams: the reality was much more sobering. When, in the 1990s, the first large-scale data on participation in adult education became available through the International Adult Literacy Survey (IALS), the verdict was that adult education did not compensate for, but rather reinforced the gap between the educational haves and have-nots. Adults who were already highly literate participated in larger numbers than those who had low levels of literacy.  

Have things changed over the past 20 years? The latest Education Indicator in Focus brief reports on adult participation in post-initial education and training as revealed in the 2012 Survey of Adult Skills, a product of the OECD Programme for the International Assessment of Adult Competencies (PIAAC). On average across the 24 national and sub-national entities that participated in the survey, about half of the 25-64 year-old respondents had participated in formal or non-formal adult education or training. But the average hides wide variations, which are strongly associated with such factors as the respondent’s educational attainment, skills level or employment status (see the chart above). Highly educated, high-skilled adults who are employed participate much more than low-educated, low-skilled and unemployed or inactive adults. In other words, the data gathered in 2012 show similar results to the data gathered 20 years earlier. Accumulating educational opportunities, not compensating for missed opportunities early on, seems to be the dominant dynamic in lifelong learning.

But a closer look reveals three important nuances. The first is the higher level of participation in all categories since the 1990s. Although the metrics that measured participation were not quite the same, in all countries that participated in both surveys, the participation rate increased across the board. This means that low-skilled, low-educated adults have better access to learning opportunities. In 2012, 30% of low-skilled adults reported that they had participated in some form of formal or non-formal adult education or training – double the proportion of 20 years earlier.

The second is related to the enormous differences between countries, both in the average participation rate and in who participates. The average participation rate in Nordic countries is double that of Italy and the Slovak Republic, for example. And, in general, the countries with lower average participation rates are also those with wide disparities in participation, suggesting that country differences in average participation can be explained more by differences in participation rates of low-educated and low-skilled adults than by those of better educated, high-skilled adults.

The third observation directly challenges the “accumulation” view of adult education. When looking at who participates in adult education by the parents’ level of education, the gap between individuals whose parents attained below upper secondary education versus those whose parents have a tertiary degree is small, and much smaller than the gap in the educational attainment level of the respondents themselves. The impact of one’s family background on participation in adult education seems to be significantly lower than it is during compulsory education.

Lifelong learning provides educational opportunities to those who already had a lot of them. From a pedagogical point of view, this is hardly surprising, because one of the great things about learning is that it opens the mind for more. Learning begets learning as it instils the thirst for more. Sure, the educationally better-off enjoy more of lifelong learning’s promises and benefits, but not mainly because family background or previous academic success perpetuates inequalities in educational opportunities, but because learning has created its own dynamic of desire for more. Instilling a desire for learning in initial education, as part of a broader culture of learning, is the best way to ensure that as many adults as possible take advantage of educational opportunities later in life.


Links:
Education Indicators in Focus, Issue No. 26, by Simon Normandeau and Gara Rojas González
On this topic, visit:
Education Indicators in Focus: www.oecd.org/education/indicators 
On the OECD’s education indicators, visit:
Education at a Glance 2014: OECD Indicators: www.oecd.org/edu/eag.htm
La Svizzera: un nano politico debole:



Ecco un articolo che condivido del quotidiano svizzero-ginevrino "Le Temps": http://www.letemps.ch/interactive/2014/suisse-affaiblie/
Il presidente della Confederazione Elvetica Didier Burkhalter ha partecipato al summit dell'Organizzazione Internazionale della francofonia ed ha parlato di educazione, meglio di istruzione scolastica.

Come ci si poteva aspettare ha sottolineato l'importanza dell'educazione permanente che approfitta come ben si sa e come ha dimostrato da anni l'OCSE  soprattutto a chi è istruito ed è ricco, ha ribadito l'importanza del programma delle organizzazioni internazionali "l'educazione per tutti" che è un fallimento colossale ( si veda nel sito  www.oxydiane.net)  ed ha ovviamente messo in evidenza la peculiarità dell'istruzione professionale alla Svizzera , ossia il modello duale oppure , in altri termini, il modello dell'alternanza scuola-lavoro. In questo caso ha perfino firmato un accordo con il Senegal sulla formazione professionale che stanzia una somma di 200 000 franche  svizzeri ( suppergiù  170 000 €) al Senegal ( cifra ridicola) per valutare la formazione professionale nel Senegal.

Basta avere un poco di dimestichezza con quel che succede nel sistema scolastico elvetico per rendersi conto dell'assurdità di un simile accordo. La Svizzera è uno dei paesi che ha pochissime tradizioni in materia di valutazione comparata internazionale, che è pressoché assente dalla comunità internazionale che si occupa di valutazione scolastica, che non ha saputo organizzare una valutazione della formazione professionale in Svizzera, che non ha partecipato alla valutazione delle competenze degli adulti organizzata dall'OCSE nel 2012 , che si è ritirata dall'indagine PISA la quale non riguarda la valutazione della formazione professionale, d'accordo, ma che permette di formare le nuove leve alla valutazione, ed ora il presidente della Confederazione promette 200 000 franchi per la valutazione della formazione professionale nel Senegal dove a malapena si riesce a sviluppare un sistema di istruzione generale primaria secondo il modello elvetico o europeo che dir si voglia.

Sarebbe bello sapere chi sono gli esperti elvetici che andranno  a Dakar per consigliare i senegalesi in materia di valutazione professionale, conoscerne la preparazione e l'esperienza ossia sapere come saranno spesi questi soldi, a chi andranno, e vale la pena fare notare che in maggioranza verso i quindici anni la maggioranza dei senegalesi parla il wolof e non il francese , un lingua usata da quasi venti milioni di persone , mentre in Elvezia , otto milioni e mezzo di abitanti in tutto, la minoranza non tedescofona ( circa l'80% della popolazione) parla o il francese o l'italiano o il romancio oppure un'altra lingua. La valutazione dell'istruzione scolastica non è proprio una priorità. nel mondo elvetico, è difficile da organizzare, è costosa, richiede molte competenze per comparare gruppi socialmente diversi non solo dal punto di vista socio-economico ma anche linguistico e culturale.

vendredi 12 septembre 2014

Intervista a Silvano Tagliagambe

Ho letto su Face Book poco fa  l'intervista su MicroMega rilasciata a Giulia Rispoli questa estate da Silvano Tagliagambe, professore di filosofia della scienza in una università sarda,  intitolata "La scienza come impresa pubblica".  L'intervista è in parte un corso di filosofia della scienza e in parte un corso molto interessante per le persone ignoranti come il sottoscritto di storia della filosofia della scienza in Italia. Alla fine dell'intervista Tagliagambe sviluppa alcune idee sulla scuola e l'istruzione . Parla di conoscenza condivisa, di relazioni sociali, di società della conoscenza, di individualismo e di ricchezze collettive e di quelle di posizionamento. La conoscenza e il sapere  ne è un elemento. Non accenna alla politica scolastica, alla sua struttura, alle modalità di funzionamento di questo apparato di stato. Esiste indubbiamente una relazione tra programmi scolastici, sviluppo della conoscenza, storia della scienza e evoluzione del servizio scolastico statale ma il tema non è affrontato di petto da Tagliagambe. Le domande sono talora strane nella logica che le genera e costringono a fare salti mortali per seguire il ragionamento di Tagliagambe.

Mi chiedo alla fine se siamo proprio ancora in una società della conoscenza. Ho fieri dubbi. In questi giorni esce il penultimo corso di Michel Foucault al Collège de France . Uno dei fili conduttori di questi corsi  è l'archeologia del sapere e il senso della verità, il potere e la volontà di verità. Confesso che mi sento più a mio agio in questo ambito. La società della conoscenza è un gioco di potere, è l'espressione della volontà di verità. Tagliagambe rende omaggio a Kuhn. Concordo con lui. Forse questo è un buon punto di incontro. Ammetto anche che la politica scolastica è un'altra cosa, ha a che fare con altri attori, ma a questo punto mi tiro da parte per lasciare il posto a voci ben più competenti della mia che in Italia abbondano e calano lezioni meravigliose di fronte alle quali non mi resta che ammutolire.

lundi 11 août 2014

Un modo di pensare disastroso

L'espressione non e' mia ma del prof. Maggi all'Universita' della Svizzera Italiana (USI) di Lugano usata in un dibattito televisivo sul turismo nel Canton Ticino e sull'impatto del Festival del cinema di Locarno sul turismo ticinese svolto in diretta da Locarno l'11 luglio 2012. Per una volta parlo di casa mia.
Il Ticino, ossia la parte meridionale italofona della Svizzera , e' un paese assai bello. Si situa nella zona dei laghi  prealpini meridionali che sono come fiordi tra le montagne prima della pianura padana. Eppure questo paesotto di poco più' di 350 000 abitanti e' stato finora incapace di gestire una politica turistica.

Ai tempi, fino all'immediato dopoguerra, il Cantone ( si chiama così dal punto di vista amministrativo) era poverissimo . L'emigrazione era altissima, la miseria nelle valli prealpine era drammatica. Eppure il turismo internazionale esisteva già allora ma aveva altre mete. Le bellezze locali erano poco sfruttate. Poi ai  centri di potere locali venne in mente che per uscire dalla povertà' occorreva industrializzare l'economia. Mi ricordo di mio padre , personaggio politico, che discuteva con un prete della Valle Verzasca , parroco nel villaggio di Brione, Don Pellanda, di costruire in valle una camiceria.
Non sono un economista, non sono uno specialista del turismo, non vivo nel Ticino, ma il dibattito di questa sera, seguito parzialmente perché insopportabile, mi ha riportato alla mente quelle discussioni. I dati sono cambiati, ma da quanto ho capito la politica turistica non e' ancora stata adottata come il perno del benessere del Cantone. Tra l'altro si e' accennato una sola volta alla possibilità si sfruttare il mercato italiano, almeno quello lombardo e piemontese, ossia quello della zona transfrontaliera o transinsubrica come mi pare si chiami oggi. I Lombardi e i Comaschi vengono nel Ticino per raccogliere funghi non per il festival del film di Locarno. Gli sguardi dei Ticinesi sono prevalentemente diretti a Zurigo, a Berna, a Lucerna, ossia a Nord. I Ticinesi aspettano che risorse,  idee e progetti vengano da li come e' successo nel passato. Un deputato alla tavola rotonda, l'on. Abate, ha parlato di occasioni. Verranno certamente, come succede con il turismo estivo odierno. Oggigiorno, invece che di industria si parla del privato, ma poco e' cambiato. Per fortuna che la natura delle prealtiti sud  e' talmente rigogliosa da cancellare in fretta brutture e storture. Poverta' e miseria sono scomparsi , almeno finora perché per sessant'anni le occasioni non sono mancate. Ma sara' sempre così?

mardi 22 juillet 2014

Un esempio di sistema scolastico a catafascio

Ho ricevuto tramite Internet le conclusioni del Cantiere per la scuola, un  seminario del PD tenuto a Terrasini (Palermo) dal 4 al 6 luglio u.s.. La mia e' una reazione spontanea di un estraneo al mondo scolastico italiano che pero' osserva, compara, analizza , forse per consuetudine professionale, i dati che provengono dalla scuola italiana e i documenti dei responsabili politici che si occupano di scuola in Italia (ma non solo).
Tantissimi anni fa fui invitato ad un convegno del PC , che ora non c'e' più ed e' stato sostituito dal PD, a Milano a commentare i primi insiemi di indicatori internazionali comparati della scuola che erano stati pubblicati dall'OCSE dove lavoravo. Da allora ben poco e' cambiato nella scuola italiana. Che tristezza quando leggo queste conclusioni. Quante chiacchiere. Poche prospettive. Eppure altrove qualcosa cambia nelle scuole. Non esprimo un giudizio. Detesto le generalizzazioni da bar. Nessuno tra i relatori del PD si chiede come mai nei confronti internazionali che non sono poi tanto male anche se qualche difetto lo hanno  ( ma cio' e' inevitabile nella ricerca scientifica)  la scuola italiana esca assai male. In Italia si ha a che fare con un sistema scolastico segregante e mediocre. La colpa qualcuno la deve pure avere. Direi che e' ripartita tra molti operatori ma e' indubbio che qualcosa non va e nel documento del PD non esiste nulla di cio', non si esprime nessun dubbio. Peccato perche' ci sono insegnanti  bravi nelle scuole italiane , che lavorano molto, ma non esiste traccia di loro nel testo del PD. Non meritano un trattamento del genere. Non so quanti siano. Ma ce ne sono. Non oso proporre nessuna stima. So solo che molti  studenti sono  allo sbando, sono spremuti,  non apprendono gran che ma devono sgobbare molto. Ne ho incontrati parecchi nelle università'. Molti altri, tra i bravi, tra quelli che sopravvivono al massacro scolastico, scappano dall'Italia e molti , più' di 100 000 ogni anno, smettono di istruirsi. Non so cosa si possa fare dopo avere letto un documento come quello del convegno del PD che raggruppa pur sempre molti responsabili del servizio scolastico nazionale. Temo ben poco.
Intanto l'INVALSI trasloca a Roma, lascia Villa Falconieri a Frascati, villa  donata all'Italia dalla Germania dopo la guerra. Il trasloco permette di risparmiare le spese di manutenzione del monumento che erano uno dei crucci di Aldo Visalberghi. Me ne parlava spesso.

jeudi 22 mai 2014

La nuova didattica: la fabbrica dei tessili


Ho avuto modo in questi giorni, piuttosto per caso, di visitare di corsa, purtroppo, un edificio scolastico nel quale risiede  una scuola primaria e che è gestito dal comune, ossia dalle autorità locali. L'edificio ha cinquant'anni circa ed è in via di restauro. In effetti lo si rifà.Scompaiono le aule tradizionali , si tenta la creazione di spazi aperti con due aule collegate tra loro da porte scorrevoli. Ho interrogato il dirigente che mi ha confermato, senza nessun rincrescimento, l'assenza di qualsiasi discussione con gli architetti che  hanno pianificato il restauro. In altri termini gli architetti hanno imposto con le loro scelte gli indirizzi  didattici e gli insegnanti hanno ereditato un edificio rinnovato, moderno  e si devono adattare a viverci e ad insegnare come l'edificio lo consente. Non lo possono modificare ma possono solo decorarlo a piacimento. Le aule sono rimaste ma c'e' una novità': i'accostamento di due aule separate, probabilmente due prime, due seconde, due terze (non ho chiesto)  da porte scorrevoli  il che permette agli insegnanti , se lo vogliono, di creare un grande spazio e un grande gruppo , di progettare attività  in comune, il che e' possibile perche' la media di alunni per classe e' di 22 alunni.  

Il corpo insegnante è giovane e mi è parso felice. Una insegnante con la quale ho parlato trova la nuova sistemazione piacevolissima e azzeccata. Non tornerebbe mai indietro, mi ha confessato.

Mi sono impressionati i colori. Tutto l'ambiente era un'orgia di colori, il che e' ormai una moda universale dalla scuola per l'infanzia fino alla fine della scuola primaria, ovunque nel mondo. Mi e' parso di essere immerso in un ambiente Benetton, Missoni,  o Stefanel. Quel che si vede nelle vetrine di queste marche nei negozi a New Yoork,  Londra,  Parigi o Milano,  lo si vede nelle aule.

Invece sono stato assai disturbato dal  vocio e dal rumore. L'edificio rimbombava. Forse sono arrivato al momento sbagliato. Mi ricordo di una scuola primaria con grandi spazi aperti in Giappone . Non si sentiva una mosca volare. Mi sono chiesto come ci si possa concentrare in un ambiente del genere, dove l'isolazione fonica lasciava a desiderare. Ma forse l'isolazione fonica non conta nulla. Ci sarà chi mi dira' che si tratta di libertà di discussione , di nuove competenze verbali da sviluppare, di discussioni di gruppo. 

Ho visto in questi strani spazi le celebri lavagne luminose interattive. La loro posizione molto periferica mi suggeriva che non erano uno strumento di lavoro rilevante. Non c'erano piu' le vecchie lavagne nere sulle quali si scriveva  con i gessetti, ma queste nuove lavagne erano addossate alle pareti in un angolo morto dell'aula. Un ex direttore didattico che mi accompagnava mi ha spiegato che l'ultima rivoluzione tecnologica adottata dalle scuole ( in questo caso si trattava di scuole statali) erano le diapositive. Poi non e' più' successo nulla. Infatti ho visto pochissimi computer. Forse c'era un'aula d'informatica. Non ho chiesto al direttore  se c'era o meno. 
Nelle aule c'erano invece i banchi, non alienati ma mesi per gruppi di quattro so sei.  Sotto la tavola di lavoro dei banchi due cassetti aperti con  quaderni e  libri.

Non c'era pi'u la cattedra, e gli insegnanti che ho visto erano appartati in un angolo. In questo ambiente scolastiche trionfavano le produzioni  etniche, in genere, decorazioni di stoffa multicolori. Mi sono venute in mente le fotografie che avevo visto a Treviso nella scuola di Benetton ( mi dispiace citare una seconda volta questa marca) appese ai muri o sui banchi dei maestri tessitori, che provenivano dall'India o dalle montagne andine. Dettagliati isolati, dai colori vivaci, che erano studiati millimetro per millimetro dai maestri dei tessuti pr inventare combinazioni che sarebbero state riprodotte  per fabbricare i maglioni o le gonne da vendere ovunque nel mondo.

Ho pensato subito al gran lavoro produttivo degli insegnanti. Un universo come quello che mi stava davanti esigeva una fantastica dose di creatività, di immaginazione, di lavoro  e mi sono chiesto se fosse questo il lavoro che gli insegnanti dovevano svolgere. Capivo che non si poteva ottenere un ambiente così  variopinto e decorato senza un grande impegno, senza scelte, senza stimoli per i bambini. La creatività' sprizzava da ogni angolo mentre appartate , morte, stavano le lavagne luminose.

Mi sono chiesto uscendo da quel centro scolastico e percorrendo corridoi su un lato dei quali c'erano le panchine sotto le quali stavano le scarpe degli alunni e sopra gli attaccapanni cosa potevano imparare gli alunni di quella scuola primaria, quali fossero gli obiettivi del direttore didattico , degli insegnanti, delle famiglie. 

I molti bambini visti mi sembravano felici immersi nei colori, nella pittura, nei tessuti. Forse lo erano anche le famiglie. Che sia questo il mondo delle competenze da curare e sviluppare? La creatività' suggirata da insegnanti iper-attivi, giovani, attenti alla moda, immersi nel mondo della pubblicità'?

PS.: Per una volta non ho scattato nessuna fotografia e non sono andato a visitare i bagni. Manca  quindi una parte cruciale della narrazione.

mercredi 26 février 2014

Programma Erasmus dell'Unione Europea e studenti elvetici

Proprio  oggi 26 febbraio 2014 la notizia secondo la quale gli studenti elvetici non potranno più beneficiare delle borse di studio Erasmus dell'Unione Europea a decorrere dal prossimo anno scolastico che inizierà n settembre per passare un anno all'estero in una università straniera. Sorpresa tra i giovani universitari elvetici. La mia prima reazione: occorreva pensarci prima e mobilitarsi contro la propaganda scandalosa per la riduzione della popolazione immigrata e contro la libera circolazione della popolazione in Europa. La seconda reazione: non ho trovato nessun dato statistico su come hanno votato i giovani elvetici in particolare nella mia regione d'origine, il Ticino, parte della Svizzera italiana. Spero che analisi del genere siano state fatte o saranno fatte.

samedi 15 février 2014

La trasformazione dei giardini d'infanzia

Sono iniziate le vacanze di primavera a Parigi. Dureranno due settimane e le coppie con bambini piccoli che hanno i nonni sono fortunate perché in queste due settimane ci si deve occuparsi dei piccoli. Quasi tutti i genitori lavorano . Solo un terzo della popolazione parigina ( 20 milioni di abitanti, compresa la periferia immediata della città) ha le risorse per andare in vacanza altrove, soprattutto in montagna a sciare. I centri del tempo libero sono strapieni, ma la presenza dei centri non dispensa i genitori dal ricercare aiuti. Si devono accompagnare i piccoli al centro e si devono andare a ritirarli. Che bene vada, al più tardi verso le 18 ma molti adulti-genitori non terminano di lavorare alle 18. I nonni o chi ne fa le veci sono indispensabili. Questa è la stranezza di un orario scolastico  concepito per il personale scolastico e non per le famiglie o per i bambini. Ma non è di questo che vorrei parlare.

La mia nipotina, di cinque anni, è in vacanza anche lei. Frequenta una scuola per l'infanzia in un quartiere della città ed è venuta a trovarmi con i quaderni e con la pagella di valutazione. I quaderni, belli, non c'è dire, sono tre, ma il quarto è rimasto a scuola. Sono impressionato dalla massa di lavoro svolto dalla bambina e dalle educatrici dopo l'inizio dell'anno scolastico ma ciò che mi ha interessato è la pagella: le maestre valutano le competenze dei bimbi sono una griglia dettagliata, per fortuna priva  di voti ma con giudizi espressi in tre colori: un circolino verde per indicare che la competenza è stata acquisita, un circolino arancio per indicare che la competenza è parzialmente acquisita (Il bambino sa fare quanto richiesto ma con un aiuto, il che significa che l'apprendimento è in corso) e un circolino rosso per indicare che la competenza non è acquisita , il bimbo non sa ancora fare quanto richiesto (l'apprendimento scolastico non è acquisito).

La nipotina frequenta la sezione dei grandi , ossia l'ultimo anno della scuola per l'infanzia. In settembre inizia la scolarizzazione, ossia andrà a scuola. Adesso si trova in una classe di 29 bimbi con due maestre.

La pagella che i genitori devono controfirmare è accompagnata da un biglietto nel quale si specifica  che l'obiettivo è quello di seguire i progressi del bambino lungo la scolarità nella scuola per l'infanzia. Aiuta in altri termini a capire a che punto si trova il bambino rispetto alle competenze che ci si aspetta  da lui quando inizierà la scuola primaria nell'autunno del 2008.

Dunque non ci sono ambiguità in materia: la scuola per l'infanzia è una pre-scuola il cui compito è quello di preparare la metamorfosi in allievo dei bambini. Nella pagella non c'è nessuna definizione delle competenze. Tutto ciò non impedisce alla scuola primaria francese di bocciare in massa. Si sa dai dati comparati internazionali che la percentuale delle bocciature in Francia è tra la più elevate al mondo. Questo significa o che la metamorfosi non è riuscita, ossia che le educatrici della scuola per l'infanzia non fanno bene il loro lavoro , oppure che i professori della scuola primaria (ormai si chiamano così) non sono contenti della preparazione degli allievi che ricevono.

Vediamo come è strutturata la pagella. Le rubriche che la compongono sono le seguenti:

  • impadronirsi del linguaggio, con 14 sotto-rubriche (per esempio "prendere la parola nel gruppo classe", "esprimersi in modo appropriato", "recitare una storia o una poesia", " costruire frasi servendosi del presente, del passato e del futuro", ecc.);
  • scoprire la scrittura, con 9 sotto-rubriche ( per esempio "prepararsi ad imparare a scrivere", "ascoltare una storia e dimostrare che la si è capita", " riconoscere il proprio nome", ecc.);
  • prepararsi ad imparare a scrivere con 10 sotto-rubriche( per esempio " tenere in mano correttamente la matita" ( posso assicurare che ciò non succede), " scrivere il proprio nome in lettere maiuscole"," scrivere i numeri da uno a dieci", "copiare diverse forme");
  • diventare un allievo, con 14 sotto-rubriche (per esempio ," integrarsi nel gruppo classe", "padroneggiare le proprie voglie" ( se ciò fosse comune a molti adulti......), "rispettare le regole di vita","rispettare i compagni","rispetto dell'adulto", ecc.);
  • scoprire il mondo, con 4 sotto-rubriche (per esempio,"situarsi in una giornata di scuola", "situare le diverse attività realizzate nel corso della settimana", ecc.);
  • orientarsi nello spazio, con 6 sotto-rubriche ( per esempio , "distinguere le posizioni davanti, dietro, sopra, sotto, di fianco", "distinguere destra e sinistra", "spostarsi in un labirinto", ecc.);
  • scoprire le forme e le grandezze, con tre sotto-rubriche (per esempio "distinguere forme geometriche semplici", ecc.);
  • trattare le quantità e i numeri, con sei sotto-rubriche ( per esempio , a 5 anni, contare fino a 30):
  • prendere consapevolezza del mondo ecologico dei viventi, con tre sotto-rubriche (per esempio " rispettare le regole d'igiene" (il che non succede), ecc.);
  • sensibilità, immaginazione e creazione,  con 7 sotto-rubriche ( per esempio " conoscere i colori", " partecipare al canto corale", "ripetere ritmi semplici", ecc.).
Le educatrici devono valutare ogni sotto-rubrica. Immagino il lavoro enorme alle spalle degli psicologi o dei pedagogisti che hanno preparato gli schemi di ogni rubrica, il lavoro di fotocopia delle educatrici, quello micidiale di valutazione di ogni bambino, ecc. Non esiste più il giuoco. Tutto è prescritto. 

La creatività , l'immaginazione dei bimbi si manifesta altrove, a casa, nei centri di tempo libero, presso i privati, quando ci sono genitori intelligenti che capiscono , che non investono esclusivamente nel successo scolastico dei pargoli. La creatività esiste ancora per fortuna ma non si manifesta quasi più nemmeno a ricreazione. Nelle scuole per l'infanzia, nelle aule si impara la disciplina, i bimbi sono quieti, calmi, come la maggioranza dei prigionieri a Guantanamo. L'orgia di colori della scuole per l'infanzia non deve illudere. Adesso, in tre anni, in Francia e forse anche altrove, si preparano i bimbi ad andare a scuola. Non si bocciano per fortuna, non devono ripetere l'anno se non acquisiscono le competenze definite dai programmi, ma sono annichiliti, apprendono a ubbidire, a essere sottomessi. Esiste un baratro tra  comportamenti scolastici e quelli domestici. Due mondi diversi quando è concessa ai bimbi la libertà di muoversi , di creare di non apprendere le regole, i codici imposti dalla scuola. Per fortuna si impara anche fuori dalla scuola, ma le ingiustizie in questo modo restano, come si perpetuano con il modello in voga. Infatti, chi non ce la fa nella scuola per l'infanzia (ce ne sono) è immediatamente scartato nella scuola primaria, il che significa, in Francia, essere bocciato, magari ripetere tre, quattro volte la prima elementare. Succede anche questo. La segregazione scolastica entra immediatamente in azione ed è preparata dalla scuola per l'infanzia.



lundi 10 février 2014

Contingentamento dell'immigrazione in Svizzera

Il voto di ieri , 9 febbraio, mi intriga, mi interpella, mi disturba come del resto disturba tutto il mondo politico europeo.

Quello del mio cantone di origine, il Ticino, cantone di poco più di 300 000 abitanti, mi indispettisce ancora di più.

Il risultato globale, nazionale,  è uno schiaffo al mondo europeo che si sta costruendo con difficoltà da decenni. La Svizzera è divisa: la parte romanda, ossia quella francofona ha votato contro il contingentamento, la parte tedescofona , tranne Zurigo, il centro economico del paese , pure. L'esito finale è tiratissimo. Il 50,3% dei votanti è stato favorevole alla proposta di contingentare l'immigrazione  e di rinegoziare gli accordi con l'Unione Europea sulla libera circolazione della manodopera, sugli accordi di Schengen, ecc. ossia su tutto quanto dà fastidio agli Elvetici tradizionalisti. Sarebbe bene notare che su una faccenda simile ha votato solo circa la metà del corpo elettorale, esito dato come notevole in Svizzera. Di solito nelle cosiddette votazioni durante le quali si chiede il parere del popolo o si invita il cosiddetto popolo a proporre nuove leggi o a modificare la costituzione la percentuale dei votanti è inferiore.
Non voglio ripetermi ma mi permetto di riprendere alcuni commenti a caldo fatti dopo la pubblicazione dei risultati. E' la prima volta dopo quarant'anni di tentativi che un referendum popolare  (così si chiama) sulla limitazione del numero degli stranieri in Svizzera passa. Di tentativi ce ne sono stati molti. Si potrebbe dire che sono ricorrenti. Una parte di questo paese di cuccagna non sopporta gli stranieri, vorrebbe vivere in piena autarchia e teme di perdere il benessere nel quale bagna senza chiedersi come questo benessere sia stato forgiato. Si ringrazia la classe politica che ha avuto il merito di prendere le decisioni che hanno permesso di giungere a questo punto. Tra coloro che  hanno contribuito a costruire questo stato federalista benestante c'è però un buon 20% di stranieri.


E' bene iniziare con alcune informazioni statistiche. La tavola che segue mi è stata fornita dall'amico Beo Beltrametti, che ringrazio. Si vedono molto bene due sequenze: l'ossessione dei tentativi per "proteggere" ( questo è un verbo ricorrente) la Svizzera dagli stranieri e il degrado del voto del Ticino dopo il 1988. Premetto che sono partito dal Ticino nel 1969 e mi dispiace il risultato di ieri: 82652 sì al contingentamento e 38589 No (il 68,2% contro il 31,8, una delle percentuali di accettazione più alte in Svizzera).




marco beltrametti@mbeo
@bottanin
ecco lo specchietto riassuntivo
fonte: goo.gl/wt5j7fpic.twitter.com/P97ItX1Hnp
4 janv. 2014 08:45


La situazione geografica del Canton Ticino, confinante con l'Italia, non è facile. Quell'angolino di terra subisce le ripercussioni della vita politica italiana, ma questo argomento avrebbe potuto essere neutralizzato se ci fosse stata nel Ticino una politica diversa da decenni.

E adesso riprendo due messaggi inviati a mio fratello Antonio dopo che ho conosciuto i risultati nonché due suoi brevi commenti:


Primo messaggio da parte mia:

Dunque è andata come previsto. Che figuraccia. Provo disagio e vergogna. Forse non avrei dovuto partire dal Ticino per tentare di fare qualcosa con gli amici che avevo. Invece sono scappato.  Ho molta simpatia per i Romandi ed anche per i Ginevrini. Quelli hanno capito. Non è una questione di etica. E' una di intelligenza, di cultura. Non capiterà nulla per fortuna. E' impossibile chiudere le frontiere. Più chiavistelli si inventano, più inventivi sono i ladri ( scusa, direi i poveri,  i fuggiaschi  o i rifugiati, non so cosa dire). Tutti a messa però  lì a pregare per chi? Buon Carnevale con la SAM benefica.

Prima risposta del fratello Antonio, ex-sindaco di Massagno. Ho tolto l'informazione sul suo voto:
Si capisce proprio che sei arrabbiato e che hai ancora nel cuore il tuo Paese.

Seconda risposta del fratello Antonio


Il contingentamento era in vigore fino a pochi anni fa, è in vigore anche in altri paesi, tra cui il Canada, per non parlare di altri sistemi poco libertari in giro per il mondo. Questo per dire che non è la fine del mondo e che gl'altri argomenti in votazione hanno mostrato quanta apertura c'è nel nostro popolo.
... capisco anche la debolezza e la paura che si misura tra la gente.


Secondo messaggio mio:

Non è vero. Il Canada, l'Australia, gli Stati Uniti, paesi che conosco assai bene,  ecc. non hanno un contingentamento. Selezionano duramente l'immigrazione, ma va a vedere negli USA , oppure solo in Inghilterra quel che succede. La Gran Bretagna  è un'isola. Si direbbe: ohibò, è facile controllare le entrate e invece no. Basta vedere in TV quel che succede a Calais. Arrivano dall'Iran, dall'Afghanistan, dalla Mongolia, fanno una vita da topi.  E' zeppa di clandestini. Oppure va in Marocco a Ceuta ( non verifico il nome della città spagnola sulla costa africana). Gli Spagnoli hanno costruito tre muri per impedire l'immigrazione clandestina, eppure non funziona. Ancora settimana scorsa ci sono state fughe. Gente disperata che tenta di tutto, pronta a corrompere e poliziotti, politici, sindaci, deputati corruttibili; Vedrai cosa succederà lì. Magari capita già, ma tu vivi in un paese del silenzio, dell'ipocrisia, delle bocche cucite.
Sono d'accordo con te: non succederà nulla, ma per me è triste. Il voto ticinese in particolare. Quello nazionale , il totale,  è un'altra cosa. Gli argomenti erano quelli di gente colta , avvertita, alla testa di un sistema politico che è quello che è, non perfetto, ma efficace. Non è il mio.  C'è un divario enorme tra Ginevra e il Ticino per esempio. La destra ginevrina è nauseabonda  però non scema. Si possono vedere su Internet, nel sito dello stato di Ginevra, i risultati per comune . I pochi che hanno votato per il contingentamento sono tutti quelli di estrema destra, facilmente localizzabili. Li vedo benissimo. Onex non è in quella zona. 
Purtroppo se si votasse nelle macro-democrazie si avrebbe un risultato analogo o peggiore e per questa ragione il sistema politico democratico è costruito in modo diverso ed obbliga i responsabili politici, sindacali, culturali a ragionare in un altro modo. Il popolo no; Ubbidisce, è manipolabile, ha paura.
Come puoi dire che c'è molta apertura nel Ticino ? 80 000 voti contro 30 000 . E' questo il popolo al quale alludi? Bel popolo. Se si ha paura occorre spiegarla, uscire dagli aneddoti, discuterne, trovare soluzioni alternative, impostare politiche adeguate.  Raddoppiare il numero delle guardie di frontiera? Chi paga? A Ginevra si andava dalla Svizzera alla Francia senza nessun controllo. Non c'erano guardie ai valichi tranne che in un paio, noti a tutti. Nel Ticino quando vengo mi sento in prigione. Passo da Brissago, da Ponte Tresa, da Brogeda, da Stabio e ti controllano. Cosa è cambiato? Lo sai anche tu che senza frontalieri l'economia cantonale andrebbe a rotoli. Chi lavorerebbe negli ospedali, nelle urgenze? Conosco un sacco di gente che lo fa a Locarno e sta di casa a Cannobio: avanti e indietro tutti i giorni. Pagata normalmente non c'è che dire. Da dove venivano le badanti del papà di Tere? Pagate non in nero , anche le tasse. Italiane frontaliere. Ma lasciamo perdere. Ormai quel che conta sono altre cose. Io sto qua , egoista, evito lo squallore, aspetto la fine, guardo la miseria e la povertà che ci sono qui, studio il mondo nel quale ho lavorato per 21 anni. Però mi piace quel che hai fatto e fai. Quel coraggio io non l'ho avuto.
Mi fa nausea l'ipocrisia, la falsità, la stupidità. Quella elvetica la conosco bene. Non la sopporto. Qui sono in una metropoli, nessuno mi conosce, sono un buon contribuente e faccio l'affar mio nell'attesa della fine.

P.S.: Ho citato Onex perché quando il fratello era sindaco di Massagno c'è stato il gemellaggio tra Massagno (periferia di Lugano) e Onex, città periferica di Ginevra.