jeudi 18 août 2022

I Promessi Sposi

 Sto leggendo, non rileggendo, il romanzo di Alessandro Manzoni. Il libro é un' edizione Vallardi del 1952 che era appartenuto a mia moglie. Ogni tanto ci sono, a matita, commenti e spiegazioni suoi. Lei parlava italiano in casa , io un dialetto comasco. Il nostro italiano era in parte diverso da quello parlato in Italia, a soli pochi km da casa nostra. Il libro serviva anche a questo: a ravvicinare la nostra parlata, l'uso di determinate locuzioni , il vocabolario usato quotidianamente, all'Italia. 

Mi pare di non avere mai letto questo romanzo prima d'ora che a scuola , invece, negli anni Sessanta, era una lettura obbligata del corso di italiano di quarta ginnasio. Frequentavo allora la quarta ginnasio a Lugano (oggi si direbbe la quarta dell'insegnamento secondario di primo ciclo o qualcosa del genere)  che in  Italia non c'è, dove la scuola media é di tre anni. Allora nel Luganese c'era un solo ginnasio connesso al solo liceo cantonale. Non mi ricordo più il nome del prof. di italiano che  avevamo in quarta ginnasio. Ero innamorato di una compagna di classe, ma non lo sapevo, allora. Andavo dai cappuccini a confessarmi perché mi masturbavo molto. Passavo ogni giorno davanti al loro convento. Mi ricordo di don Abbondio, di Renzo e Lucia ma non avevo capito che erano innamorati e che volevano sposarsi per questa ragione, di Don Rodrigo che voleva Lucia, dei bravi, delle grida spagnuole ( il periodo del romanzo  é l'occupazione spagnuola del Milanese nel XVII secolo ), di padre Cristoforo, di Agnese la madre di Lucia, del dottore Azzeccagarbugli, del viaggio di Renzo a Lecco  con i quattro capponi da rifilare al grande avvocato consultato per il rifiuto di don Abbondio di procedere al matrimonio, intimorito dai bravi di don Rodrigo, della crisi del pane a Milano e della peste, dell'Innominato.  Non ho mai letto il romanzo per intero ma a scuola non avevamo un compendio scolastico. Adesso , sul finire della vita, lo leggo per piacere. Ho iniziato la lettura come un esercizio di ortofonia. Potevo scegliere qualsiasi testo e subito mi è venuto in mente questo romanzo in italiano in concorrenza con un libro di filosofia in francese che avevo letto all'università, " La philosophie contemporanaine  en Europe" edito pubblicato da Payot  di José Maria Bochenski,  un padre domenicano di origine polacca, che  insegnava all'Università di Friborgo ( Svizzera) e che mi aveva, allora, piaciuto moltissimo, anzi che mi ha aiutato, come guida alla filosofia contemporanea .  La lingua del testo da leggere non conta. L'esercizio consiste nella lettura a voce alta e potente di un testo qualsiasi. Infatti a metà riga mi manca il fiato. Inoltre mangio le parole . Devo rimettere in ordine le corde vocali che si sono atrofizzate. Ho letto poco ad alta voce. Mi sono accorto che non so leggere ad alta voce. Poscia , cammin facendo, leggendo,  ho scoperto che il romanzo parlava d'altro e che illustrava molto bene la cultura italiana, il modo di agire e di pensare degli Italiani odierni, di chi ha il potere e di chi ne é vittima:  la viltà, il presssapochismo, la volubilità dell'opinione pubblica, la prepotenza, l'egoismo, l'utilità (fare quanto è utile per sé), lo strapotere delle leggi,  che al tempo in cui era imperniato il romanzo, si chiamavano "grida", il numero altissimo di avvocati ( illustrato  dal dottor Azzeccagarbugli), le grida che si applicano o non si applicano, il rispetto del potere del più forte, l'accordo tra chi comanda.  

Situazioni intere del romanzo sono state ignorate allora a scuola e che  ho scoperte soltanto rileggendolo. Per esempio l'episodio della monaca di Monza, lo sguardo terribile del padre, l'ubriacatura di Renzo quando arriva a Milano, alla fine della giornata di rivolta contro i fornai, la denuncia all'ufficio di giustizia da parte dell'oste presso la cui locanda Renzo si era ubriacato , la conversazione tra il conte zio e il padre provinciale dei cappuccini, la violenza dell'innominato il suo incontro com il cardinale Federico Borromeo, l'importanza della chiesa cattolica in Italia. Non si è stati capaci, a scuola, di spiegarci il romanzo. Ne conosco vagamente la trama. A Manzoni ho preferito allora i romanzieri  francesi. Victor Hugo che in quegli anni, più o meno, ha scritto "Notre Dame de Paris", poi Stendahl  ("Le Rouge et le Noir") ,  Camus, di cui ho letto più tardi "la Peste", Zola  , Malraux ( "La Condition Humaine"). Uno dei professori di francese che ho avuto nelle medie superiori, Piero Bianconi, ci ha fatto leggere e ci ha fatto conoscere Stendhal e Malraux e in poche parole ci ha spiegato i due libri che avevamo da leggere. Che lezione! Invece nessuno ci ha spiegato Manzoni, il romanzo, Renzo e Lucia nella società di allora che non è molto diversa dalla società contemporanea pentastellata.Non sono stati ( i professori che ho avuto) capaci di spiegare la grandezza di Manzoni ( almeno non ricordo nulla).


lundi 2 mai 2022

La diga

 Il titolo mi è venuto in mente mentre leggevo il romanzo premiato in Francia  al Goncourt del 2021 ," La plus secrète memoire des hommes", di Mohamed Mbougar Sarr. Il romanzo è imperniato sulla vita  di uno scrittore africano, Elimane, che scrive a Parigi  nel 1938 un libro ora scomparso, ignoto. Questa è la "fiction".Di Elimane non si sa quasi nulla, tranne che ha scritto un libro, " Le labyrinthe de l'inhumain". Un giovane scrittore senegalese pure lui a Parigi , scopre questo libro, che  ha suscitato molto scalpore quando è stato pubblicato,  e nel 2018 tenta di sapere chi era Elimane. Ne risulta un personaggio molto strano che costituisce la trama del libro . Il romanzo mi è molto piaciuto non solo la storia ma anche come è scritto. 

Leggendolo, come mi capita spesso, penso alla mia vita, alla mia esistenza e mi è venuta in mente la diga.

Dietro la diga c'è il nulla per me. Da una parte il fiume che la diga deve contenere, la corrente del fiume, dall'altra l'erba , il secco o l'umido, qualche albero che la diga deve proteggere. Ho sempre vissuto nell'aridità, da una parte sola della diga, nell'erba secca, dove c'era qualche  pianta. Una diga potente ha impedito all'acqua di invadere quel terreno, ha bloccato  le inondazioni e ha impedito qualsiasi fertilizzazione ( non so se il termine esiste in italiano, se è un francesismo o se non lo è. Dovrei controllare, ma sono pigro e non guardo nel dizionario). Nel romanzo ci sono pagine intere di scene d'amore, molto ben scritte. Il romanzo è un grande amore-odio tra due fratelli;  é inoltre una storia del razzismo francese in Senegal, e una storia  della letteratura africo-francese,  dello scrivere in francese per un africano, una storia di emigrazione in Francia. Un grande romanzo che sfiora parecchie cose, senza mai perdere il filo. Uno dei  fratelli  è cieco e l'altro Eliman scompare in Europa dove va a combattere la seconda guerra mondiale per la Francia ,  e  dove scrive il suo libro. I due amano la stessa donna, una bellezza africana che vive a Amsterdam e che l'autore del romanzo va a cercare. Ma lui è cieco. Dovrei rileggere la vicenda ma ancora una volta per pigrizia non lo faccio. E' il 1940 o giù di lì. Sono nato nel 1940. 

La diga è stata costruita dai miei genitori, in primo luogo da mia madre. La diga rappresenta l'assenza dell'amore. Ma anche mio padre  ha contribuito alla sua costruzione. I fastidi, le emozioni sono sempre stati banditi nella mia educazione. Questo è i correlato dell'amore. In casa, almeno  con me,  non se parlava. ed il sottoscritto non ha mai provato il bisogno di interpellare i genitori sul loro silenzio rispetto qllq vita amorosa. Non si diceva nulla allora  almeno per me, in casa, non doveva essere il caso. Ho sempre saputo come (mi è stato inculcato)  come si deve vivere: imitare il padre.  La mia vita è stata  una noiosa ripetizione dell'imposizione parentale. Ecco che appare la diga, il cui scopo fu quello di tenere lontano tutte le deviazioni e di autorizzare soltanto quanto era in linea con la tradizione. Il padre, seguito dalla madre, per quanto ne sappia, ha curato la golena, cioè la zona al di là della diga , dove c'era l'erba secca e dove sono cresciuto. Ha strappato le erbacce , ha raccolto le cartacce gettate  a terra da coloro che ci andavano per divertirsi o semplicemente per riposarsi; e' stato un netturbino. I sentimenti erano banditi ( almeno per me). Per questo motivo parlo di aridità.

La diga separa: da una parte sta quanto  taluni ritengono  bello, buono: é l'ordine che le autorità impongono perché  conoscono quanto auspicano. Loro sanno, anzi vogliono,  quel che  tutti dovrebbero fare. Cosa conoscono? Tento una risposta: quanto non dà fastidio. Questo è il territorio di mio padre; oltre la diga c'è il disordine, la trasgressione, la disubbidienza, quanto non si deve fare. Ho ricevuto un'educazione non  solo autoritaria ma anche manicheista. Da una parte c'era quanto non si doveva fare e dall'altra quanto invece era lecito, anzi doveroso.  Più o meno, questo è stato anche il territorio di mia madre, che a un certo punto, non saprei fornire una data , ha scavalcato  la diga e si è messa con il  padre. Ne ha condiviso la visione del mondo, ossia della società.  Se questo sia amore non lo so. Quando mia sorella maggiore afferma che i due si sono amati,  si sono voluti bene, che fra  loro c' è stato vero amore, non ci credo anche se mi è impossibile comprovarlo. I due hanno condiviso una stessa identica visione della società.  Io (ma non posso e non riesco, forse nemmeno voglio, parlare, cioè scrivere  per i fratelli e le sorelle), dovevo essere un esempio per la società in cui vivevamo, in cui si cresceva. Essere la prova vivente e vincente di come si riesce a educare bene, a interpretare in maniera esatta quanto le autorità vogliono:camminare correttamente in strada, sbarbarsi regolarmente , riuscire bene a scuola, sapere disegnare, essere puntuali, non gettare cartacce in strada,  ecc. Dettagli questi ma i dettagli contano.Sono stato abituato a questi schemi. Questi sono segnali di come io ero in casa,

Dovevo essere esemplare, essere una dimostrazione di come si deve vivere.  In questo modo non ho mai tollerato le deviazioni, ho spesso giudicato il prossimo con un parametro in mano, il mio modo di vivere ritenuto la perfezione. Il  termine "deviazione" è errato. Troppo debole. Dovrei dire gli errori, il fare diversamente da quanto stabilito dalle norme assodate, volute dalle autorità. Non ho tollerato il diverso, l'altro tranne qualora si rendesse simile alla norma prestabilita, a quanto voluto dalla autorità. In questo momento mi viene in mente la guerra in Spagna e i comunisti. Mio padre ha sempre detestato i Ticinesi, abbiamo vissuto nel Ticino,  che si erano recati a combattere in Spagna nelle file della brigata straniera che si era costituita  per lottare contro il governo di Tito, per dare un aiuto ai combattenti della guerra civile spagnola contro l'ingerenza della Germania e dell'Italia.  Ritornati ,  i brigatisti ticinesi furono imprigionati e condannati. Non so quanti erano e dove sono andati. Ma mi ricordo della sua intolleranza verso di loro. E' quanto mi ricordo. A quell'epoca adoravo mio padre. Il processo e la condanna non erano stati sufficienti per lui, non erano stati esemplari. Sarebbe stato meglio colpire ancora di più. Stessa cosa per i comunisti: pochi nel Ticino ma bravi, coraggiosi. Non li accettava. non aveva fatto nessun sforzo per leggere Marx. Non l'ha mai letto, credo. Era il diavolo. I comunisti erano il male assoluto che si doveva combattere. Non capiva come si poteva vivere senza cattolicesimo, senza religione. Il suo idolo era il vescovo Aurelio Bacciarini di cui in casa troneggiava la fotografia. 

Questo è il mondo nel quale sono cresciuto. Non sapevo nulla dei sentimenti, delle emozioni e la letteratura me lo ricorda, mi fa rammentare questa aridità. Solo molto tardi ho abbandonato il territorio protetto dalla diga e anzi l'ho abbattuta davanti a me e sono penetrato nel vasto mondo che stava aldilà della diga. Dapprima con spavalderia, senza capire un gran che di quanto stavo vedendo, delle novità che incontravo, poi dopo la scomparsa dei miei genitori e dopo essere emigrato all'estero (anche questa scelta fa parte dell'abbattimento del muro) ho iniziato a capire e mettere ordine in quanto vedevo,  a non lasciarmi trasportare dall'euforia della scoperta, non più giudicare il prossimo, guardare a me stesso. Ma era tardi per godere del bello della vita. Il romanzo e in particolare le lunghe scene d'amore, mi ha fatto pensare a tutto ciò, a quanto non ho vissuto e a cosa sono stato privato.Tanto purtroppo.

mercredi 23 février 2022

Alberto Lepori

Ho per caso visto nel sito www.lanostrastoria.ch sei interviste a Alberto Lepori ( Video 1/8 – La giovinezza,Video 2/8 – Il partito , Video 3/8 – Il Consiglio di StatoVideo 4/8 – Il politico cristianoVideo 5/8 – Io sono europeistaVideo 6/8 – La rivista “Dialoghi”Video 7/8 – La politica oggiVideo 8/8 – La famiglia e la fede),  personalità del piccolo mondo cantonticinese, ex-consigliere di Stato (5 persone in tutto e per tutto che costituiscono il governo ossia l'esecutivo del cantone) per il PPD ( Partito Popolare Democratico),avvocato,  Massagnese, cresciuto in una casa in faccia alla mia, che ha compiuto nel 2020  90 anni e che ho incontrato alcuni anni fa alla festa organizzata per i 90 anni di mio padre, nato nel 1912.

Non mi associo alle lodi di  Alberto Lepori scritte  per i suoi 90 anni. Non perché non ne merita, le merita per  ma perché sarebbe complicato parlare di lui, non è difficile tessere il suo elogio, scrivere un panegirico su di lui. Anch'io sono un Massagnese come lui.  Da bambino, sono stato un aspirante della sezione San Maurizio di Azione Cattolica diretta allora da Alberto Lepori. Ho un'altra storia da raccontare. Lui abita a Massagno, io a Parigi, Abbiamo in comune un'infanzia passata nello stesso ambiente, un paese alla periferia di Lugano, prima che fosse sconvolto dalla modernità.

Dapprima alcune note biografiche tratte dal cappello introduttivo dell'intervista: Alberto Lepori è nato a Massagno il 3 novembre 1930. Figlio di Pierre e di Rina Cattaneo. È patrizio di Lopagno (Capriasca). Dopo le scuole elementari a Massagno, frequenta il ginnasio al collegio Don Bosco di Maroggia. Passa al liceo a Lugano e studia diritto a Berna, dove consegue il dottorato nel 1954. Attivo nei movimenti giovanili studenteschi (Lepontia) diventa consigliere comunale a Massagno nel 1956 fino al 1964 e dal 1976 al 1980. Municipale dal 1964 al 1968. Deputato in Gran Consiglio a due riprese dal 1959 al 1968 e dal 1983 al 1991. Consigliere di Stato dal 1968 al 1975.

Attivo come giornalista, dirige dal 1955 al 1959 (quando era giovanissimo) il periodico  dei giovani conservatori “Il Guardista” e dal 1965 al 1968 il quotidiano “Popolo e libertà”, organo del partito conservatore ed è stato  redattore dal 1968 in poi della rivista bimestrale “Dialoghi”. rivista religiosa. Ha collaborato  con numerosi giornali e riviste, in Svizzera e in Italia.

Lo zio Giuseppe Lepori (1902-1968) è stato Consigliere federale, cioè membro dell'esecutivo elvetico, il governo federale , che è di soli 7 membri,  dal 1954 al 1959.Alberto Lepori è sempre stato un cattolico militante.

Ho conosciuto Pierre , il padre, Rina, la madre, le sorelle e i fratelli.  Mio padre, che aveva lo stesso suo nome (si chiamava anche lui Alberto), fu pure attivo come Alberto Lepori nell'Azione Cattolica ,  e si è scontrato con lui , Mio padre  , negli anni 50, era amico dei preti vicini ai vescovi dell'epoca (Jelmini e  Togni) e della redazione del giornale cattolico, il Giornale del Popolo. I cattolici volevano allora occupare il terreno politico e nel primo dopo-guerra i dirigenti cattolici del Cantone  avevano tentato di rinvigorire l'Azione Cattolica e di creare un nuovo tipo di associazionismo cattolico. Da qui lo scontro con Alberto Lepori che era rimasto, più o meno,  nel solco tradizionale dell'azione cattolica che tentava a modo suo di modernizzare con la rivista "Dialoghi". Poi il vento è cambiato e fu Alberto Lepori ad essere a sua volta vicino ai vescovi che son venuti dopo Jelmini e Togni, in particolare a Grampa e a Corecco (quest'ultimo molto vicino al movimento "Comunione e Liberazione" e al suo fondatore, il Milanese Don Giussani) , alla curia e al giornale dei cattolici ticinesi , ora scomparso. Così Alberto Lepori e la rivista "Dialoghi", che non ho seguito e di cui ignoro  tutto,  ebbero per anni le mani libere perché la curia vescovile dell' epoca sua era molto più tollerante di quella che la precedette nel primo dopo-guerra. Il concilio Vaticano II era passato da lì.  

Mi sono chiesto come mai queste sei interviste ora, quale fu  la ragione  di questa scelta in questo momento, come mai Alberto Lepori ha accettato di raccontare la sua storia personale proprio ora? La sua non è una vicenda personale;  è la storia del cattolicesimo politico nel Ticino e del suo fallimento. Alberto Lepori ne è un esponente ed è forse consapevole di questa tendenza. Per essere più precisi, della sua crescita e della sua scomparsa. Mio padre e lui sono stati gli alfieri laici di questa storia. Mio padre ha creato la sezione scaut Tre Pini di Massagno, spinto da mia madre,  nonché la sezione di ginnastica SAM  che esistono  tuttora e che allora riempirono un vuoto massagnese ricordato da Alberto Lepori che aveva gestito il circolo  San Maurizio di aspiranti di Azione Cattolica di Massagno. A Massagno nell'immediato doguerra c'era solo quello. Mi ricordo che, piccolino, si andava a casa di Alberto, di tanto in tanto (mi bastava attraversare la strada, la via San Gottardo,  molto meno pericolosa di ora perché non c'erano così tante automobili come adesso) e che nel 1947 o nel 1948 avevo concorso a una gara indetta da Alberto Lepori e che consisteva a presentare  un diario estivo. La premiazione avvenne dai Lepori. Insomma si tentava allora di lanciare o salvare l'Azione Cattolica ticinese. Mio padre era stato scelto con l'incarico  di creare nuovi indirizzi dell'Azione cattolica - lo scoutismo  (l'AEC ossia l'Associazione Esploratori Cattolici e la SAM affiliata all'ASTI, Associazione sportiva cattolica ticinese ) . Lepori seguì invece un'altra strada, più tradizionalista, più vicino alla Chiesa, alla sua potenza istituzionale,  alle sue vicende, ai suoi tormenti. 

Lepori non è mai stato un politicante: non sapeva o non ha mai voluto condurre una campagna elettorale:  ha fatto una carriera politica e ha approfittato di un vuoto lasciato da altri.   E' stato proposto come municipale a Massagno poi a quello di consigliere di stato, poi a direttore di un giornale perché non c'erano candidati  in grado di essere in concorrenza con lui. E' un giornalista più che un politico e ha diretto due giornali moribondi ora scomparsi ( il quotidiano "Popolo e Libertà", organo del PPD , nonché "Il Guardista" organo dei Giovani conservatori). Parla  nell'intervista,  con nostalgia, di "Dialoghi", una rivista che ha più di 50 anni, lui che ne fu  uno dei fondatori nel lontano 1954,  quando non aveva ancora finito gli studi universitari di legge a Berna.    All'inizio ha optato per l'azione cattolica  poi si è dato alla vita politica, e per finire è tornato all'azione cattolica anzi  ai problemi della Chiesa cattolica contemporanea che sono trattati, me lo auguro,   in "Dialoghi". Semplifico assai una carriera localmente brillante ma non splendida, non riuscita. Certamente Alberto Lepori è intelligente e capace, ma non è abile e furbo. Non è , lo ripeto, una personalità politica locale; La sua fu una carriera   apparentemente politica, ma lui non fu quasi mai un politico.  Ha approfittato della Chiesa cattolica ; è un credente, che non crede nei riti celebrati per il popolo di Dio o di quella parte della società che è chiamata così all'interno del cattolicesimo.  Avrebbe dovuto essere il l'alfiere  di un trionfo, quello del cattolicesimo politico invece fu il portabandiera di una sconfitta. A Massagno non è stato in grado o non ha voluto prendere in mano il partito PPD che aveva la maggioranza assoluta nel paese e per finire ha fatto il giornalista:  redattore-capo del quotidiano del PPD "Popolo e Libertà"dopo il periodo al Consiglio di stato (l'esecutivo) e poi collaboratore ( ma soltanto collaboratore) della rivista cattolica "Dialoghi" a cui dedica un'intervista intera (la sesta). Pur avendo studiato a Berna e insegnato a Friborgo (Svizzera), un'università cattolica, non è diventato un uomo politico elvetico, non è stato un fanatico elvetista, questo a suo merito, non ha fatto carriera nell'esercito, come è d'uopo per la maggioranza delle personalità politiche cattoliche oltre Gottardo, ma è rimasto un cattolico fervente, aperto, illuminato. Lo si sente quando nell'intervista  parla del PPD e del  cristiano in politica. Annaspa però , non approfondisce il tema del partito, non cita Don Sturzo, il fondatore in Italia della Democrazia Cristiana, il partito dei cattolici,  che ha governato in Italia dal 1948 fin verso il 1980, si rifugia  dietro al primo consigliere federale cattolico elvetico alla fine degli anni 90 dell'Ottocento, disquisisce sul papa Leone XIII e sulla sua enciclica "Rerum Novarum", che resta  il suo breviario e accenna solo, forse per mancanza di tempo, ai cristiano-sociali degli anni 20 e 30 del secolo scorso, all'esperienza dei preti operai in Francia. Si è schierato dalla parte dove lui immaginava fosse il bello, il santo, il pulito, mentre il brutto,  lo sporco, il compromesso non l'ha mai accettato, lo ha rifiutato. Ha condannato la Lega di estrema destra nel Ticino. La truculenza verbale della Lega non gli andava, ma in quanto cattolico convinto ha a lungo sperato  nella rinascita del PPD ovverosia del partito conservatore come si diceva un tempo e dove è rimasto, dove é stato riconosciuto come meritevole per fare carriera.



mercredi 20 octobre 2021

L' avventura dell' Enciclopedia,1775-1800.

Ho appena  finito di leggere  "L'aventure de l' Encyclopédie. 1775-1800"di robert Darnton, un librone di 635 pagine, edizione tascabile, in francese, pubblicato da Seuil nel 2013 e nella collana di storia di Seuil nel 1982. Un gran libro secondo Roger Chartier, storico francese e membro del "Collège de France", specialista della lettura e dell'edizione. A scuola, almeno per quanto mi ricordo, avevo appreso che l'Enciclopedia di Diderot e D'Alembert aveva preparato il terreno della rivoluzione francese e che l' Enciclopedia era l'opera centrale di diffusione della cultura dell'illuminismo nella borghesia. L'Americano Darnton  con un lavoro d'archivio enorme iniziato nel 1965 e terminato nel 1979 dimostra che non è così o che è così solo in parte. Questa idea è ripresa da Le Roy Ladurie , altro storico francese, nella prefazione dell'edizione tascabile e da Chartier nella quarta di copertina  dell'edizione tascabile. Darnton segue l'operato di Panckoucke, editore a Parigi,  alla testa di un impero editoriale a Parigi,  che  ha relazioni che contano con la corte e con le figure rilevanti del mondo scientifico  parigino e mondiale,  e  poi analizza soprattutto, ma non solo, l'archivio della società tipografica di Neuchâtel ( S.T.N.). 

La sua è un'indagine meticolosa che vale la pena seguire. E' da anni che volevo leggere questo libro. Vi si apprende tra l'altro che l'Enciclopedia di Diderot e D'Alembert ebbe 25 000 copie vendute , che  gli acquirenti erano borghesi che sapevano leggere, che non erano necessariamente membri del terzo stato e che non tutti gli autori dell'edizione finale dell'Enciclopedia militavano per la Rivoluzione, che taluni erano giacobini e altri girondini, che gli straccivendoli contavano moltissimo perché erano intermediari indispensabili nella fabbricazione della carta, che la vita scientifica di allora era organizzata attorno alle Accademie scientifiche, che nella seconda metà del Settecento esisteva un diffuso interesse per le enciclopedie, che si sa ben poco sull'influsso dell'Enciclopedia sulla mentalità  dei rivoluzionari. Panckoucke, che a Parigi rappresentava uno dei poli dell'edizione dell' Enciclopedia, condivideva la cultura del Settecento, ma era anche favorevole all' eliminazione dei privilegi che erano il cardine della vita culturale di allora, pur continuando a servirsi  ampiamente del sistema dei privilegi. Era un personaggio che sapeva navigare tra molte tendenze rivoluzionarie. La sua fu un'impresa disperata perché concepita sotto l'Ancien Régime , nel contesto scientifico di quel mondo, ma Panckoucke si intestardì a pubblicarla in un'epoca del tutto diversa, in un contesto sociale in pieno cambiamento, con tipografie e manodopera che funzionavano in un modo del tutto diverso da quello che aveva conosciuto quando si lqnciqvq nel mercato editoriale. Cercò in vari modi di salvarsi e di salvare la sua impresa che consisteva a fornire al pubblico dei lettori una visione globale del sapere alla metà del Settecento ma non aveva capito, almeno da quanto dice Darnton, il significato del successo delle Enciclopedia allora. In effetti se ne pubblicarono più di una di Enciclopedie nella seconda metà del Settecento quando nacque la scienza contemporanea con Monge, Lamarck, Condorcet ( ossia la fisica, la chimica, la genetica, le scienze sociali, la medicina,  per esempio). L'opera di Diderot aveva invece come obiettivo quello di imporre una nuova filosofia, mentre gli autori dell'Enciclopedia della fine del Settecento e che scrivevano in piena fase rivoluzionaria, avevano come scopo principale quello di professionalizzare la scienza. La stragrande maggioranza degli autori che avevano collaborato con Diderot erano decessi prima della rivoluzione del 1789 e non hanno più collaborato all'edizione dell'ultima versione dell'Enciclopedia, l'"Encyclopédie méthodique" di  Panckoucke ,  pure decesso alla fine del Settecento. L' editore, secondo Darnton, ha capito solo in parte che il mondo era cambiato. Agli inizi fu un rivoluzionario poi prese paura e divenne un sostenitore dell'ordine, cioè di una società più strutturata, con una élite riconosciuta.



 
Ci sono moltissimi lavori sull'Enciclopedia e sulla rivoluzione francese che ha modificato totalmente il mondo dell'Ancien Régime. Il lavoro di Darnton si colloca in questo florilegio. L'elite non cambia ma pensa e opera diversamente, ha altri punti di riferimento. Darnton descrive bene queste trasformazioni nel settore dell'editoria Illustra i  colpi bassi del neo-capitalismo nascente con esempi provenienti dal mondo editoriale. Darnton si sofferma sul pubblico dell'Enciclopedia. Non è quello rivoluzionario. Due esempi ripresi anche nella prefazione di Le Roy Ladurie: Besançon e Lilla. A Besançon si vendono molte copie , costosissime, dell' enciclopedie e a Lilla pochissime. Orbene, Besançon è una città di funzionari, di nobili, di militari mentre Lilla è una metropoli del commercio  e dell'industria, con un proletariato numeroso e povero, un centro già capitalista. Tra gli acquirenti dei volumi ci sono molti preti e molti ufficiali. Pochi borghesi che ruotano attorno allo Stato, che con la sua organizzazione è la vera matrice della rivoluzione e della modernità secondo Le Roy Ladurie. La rivoluzione per Le Roy Ladurie andrà troppo lontano per loro. Molti saranno ghigliottinati. Il capitalismo in senso marxista non è responsabile della modernità. I commercianti in Francia verso il 1780 non si interessavano dell'Enciclopedia, delle idee, della politica. Questo sfera accaparra invece gli intellettuali. Ce ne sono molti nella Francia di allora ma si trovano soprattutto nei centri non commerciali  come Montpellier e Nancy, dove fioriscono le Accademie scientifiche e i Parlamenti regionali,.Le città unicamente mercantili non hanno queste istituzioni, non attirano intellettuali. L'illuminismo non è l'espressione più colta della borghesia. La rivendicazione dell'uguaglianza nasce nella società privilegiata o semi-privilegiata dell'Ancine Régime. Questo è per me il messaggio nuovo del libro. Le statistiche parlano. Ce ne sono.Occorre andare a cercarle.


jeudi 1 juillet 2021

Scoutismo

 Ho passato molto tempo negli scouts: dapprima come lupetto ( dal 1949, poi come esploratore). Mi ricordo di due achele ( si chiamavano così allora --negli anni 50 -- le ragazze che si occupavano dei piccoli tra i 6 e i 10 anni). Non sono diventato un rover -- ossia uno scout dopo i 16 anni -- perché ho biforcato verso la direzione degli esploratori-- gli scout dai 10 o 11 anni ai 14 o 15.  Fui attivo  nella sezione Tre Pini di Massagno, periferia di Lugano. Dovevo diventare un capo della sezione esploratori cattolici della Tre Pini a Massagno poi del movimento scout cattolico del Ticino,  ma con me la scommessa dei miei fu persa. Non ho ereditato il lascito di mio padre. Eppure era lì da prendere,   ma non ho voluto effettuare le lotte, inevitabili, per mantenere lo scoutismo cattolico nel Ticino. Adesso non c'è più. Gli scout cattolici locali sono stati assimilati in un movimento più ampio che ha assorbito quelli cattolici e quelli non cattolici.  In ogni modo sono stato uno scout dal 1949 al 1960 nella sezione scout creata da mio padre. E' difficile dire quando è finita la mia esperienza scout. Poco per volta, attorno al 1960. Nel 1959 ho ancora frequentato in parte il campeggio estivo della Tre Pini a Chironico, un villaggio in Valle Leventina.  Lì c'era anche mia madre. Mi ricordo ben poco di quel soggiorno per me collegato alla ricerca di un posto di lavoro, il primo, mio. I miei arrangiarono ogni cosa e finii a Melide in riva al lago di Lugano. Mi ricordo solo che non volevo andarci e che lì, a Chironico, ebbi uno scontro, forse il primo,  con i miei. 

Torniamo agli scout. Il periodo più bello che ricordo fu quello durante il quale feci il capo pattuglia della pattuglia Pipistrelli, negli scout di Masssagno. Fu allora  che mi occupai di arredare l'angolo della pattuglia  nella sede della Tre Pini che si trovava in un sottoscala delle scuole comunali di Massagno. La sistemazione dell'angolo della pattuglia  implicava che si facesse una vetrina illuminata da una lampadina elettrica nell'armadio dato alla pattuglia. Il lavoro fu effettuato da Denis Schwank ( credo si chiamasse Denis, ma non ne sono sicuro), che stava di casa in via Cabbione a Massagno.  Denis ( supponiamo che il nome sia questo) era figlio dell'allora direttore dell'azienda elettrica di Massagno ed era nipote di Don Leber, il direttore , allora, del Giornale del Popolo, il quotidiano della Curia, amico di mio padre e che il padre venerava perché don Leber era un prete molto vicino al vescovo, cioè a chi comanda o ha il potere. Il padre ha sempre amato e ammirato, chi deteneva il potere. Leber era un personaggio ambiguo e potentissimo nel mondo cattolico di allora ma questo aveva poco a che fare con Denis Schwank, suo nipote,  ora decesso, ma parecchio con mio padre che ha  preferito chi comanda e ha una forte personalità. Denis fece il lavoro e allestì la vetrina. Fui molto compiaciuto dell'esito finale, come tutti i membri della pattuglia ma il lavoro  non piacque a mio padre allora presidente della Tre Pini,  che lo trovava pericoloso né a Mario Bottani, il bidello della scuola, che abitava in un appartamento situato nella scuola,  poco distante dalla sede scout. La vetrina invece funzionava benissimo e per me era bella. Era una novità per gli angoli delle quattro pattuglie scout della sezione esploratori della Tre Pini.  Ci riunivamo ogni sabato. Nell'angolo della pattuglia si manipolavano le estrazioni a sorte dei vincitori nelle lotterie che la pattuglia organizzava per raccogliere un poco di soldi. I biglietti costavano  20 centesimi l'uno. Non ricordo i premi. Nell'armadio della pattuglia si metteva la tenda, le pentole e il necessario per le trasmissioni "morse". I  trofei della pattuglia erano invece disposti nella vetrina. 

Tra le attività ridicole degli esploratori  c'era la preparazione alle gare e una di queste era la gara di religione che si svolgeva davanti a un prete. Il capo pattuglia riceveva forse un mese prima della gara un libretto con domande e risposte. Era un catechismo. Si dovevano apprendere a memoria le riposte.  Il prete di turno poneva le domande, interrogava, e ogni membro della pattuglia presente al concorso di religione doveva rispondere. Spettava al capo pattuglia scegliere chi nella  pattuglia avrebbe partecipato alla gara. Pochi sapevano le risposte che erano nel libretto, nonostante gli allenamenti condotti dal capo pattuglia.

Mio fratello Sandro che ha ripreso la Tre Pini dice anche che si continua tuttora a studiare e a trasmettere su 200-300 metri testi  in alfabeto morse. Questa era un'attività tipica del sabato pomeriggio quando ci si preparava alle gare. Ce n'erano di locali e di cantonali. Poche, rarissime, le gare  nazionali. Poi c'erano i nodi. Si imparavano quelli che contano -- il nodo piatto ad esempio -- e si doveva realizzarli con le corde da alpinismo. Infine gli esercizi per marciare in fila, detti "ordinativi". Ogni membro della pattuglia aveva un bastone con una punta di acciaio che si doveva maneggiare con cura. Ho scritto altrove quello che penso dello scoutismo. Ho fatto carriera lì dentro, poi ho capito cammin facendo chi fosse Baden Powell, il generale britannico che ha inventato lo scoutismo. Una bella invenzione per i figli della classe media, per i figli dei cattolici ticinesi della classe media  che avrebbero dovuto fare carriera militare. Sono cresciuto in quel mondo.

Ricordo bene alcuni  i campeggi estivi , in particolare quelli di Frasco in Val Verzasca. A Frasco dove c'è la casa di vacanza della famiglia  Bottani e dove c'era la madre. Ho due ricordi di campeggi della Tre Pini a Frasco: il primo e forse uno degli ultimi. Il primo campeggio, quando ancora ero un lupetto. Si dormiva in una casa nella frazione alta di Frasco (non so più come si chiama quella frazione). Vi abitava la   famiglia Bernardasci, una famiglia con molti figli e figlie. Ho in mente il ballatoio della casa in cui si dormiva. Dopo la valanga del 1971 che distrusse una parte di Frasco, la famiglia Bernardasci  è scomparsa dal mio orizzonte. Adesso passo  al quasi ultimo o forse l'ultimo campeggio di Frasco che ricordo.  Le tende degli esploratori erano collocate al di là del fiume Verzasca, vicino a un cascinale attraversato nel cantinato da un ruscello di acqua fresca  che lo rendeva attraente. Nell'acqua corrente si mettevano i prodotti deperibili e la cassa di  bottiglie di vino che bevevano i capi, ossia mio padre, Mario Bottani che fungeva da cuoco-cantiniere, il prete ( dopotutto eravamo scouts cattolici), il capo della sezione esploratori e poi qualche aiutante di passaggio. Ho dato una mano ad allestire il campo, dovevo avere 15 anni, trasportando sotto un sole cocente il materiale scaricato sulla strada cantonale che andava verso Sonogno, alla frazione di Cantone. Si doveva attraversare la Verzasca, cioè il fiume. Mario Bottani aveva predisposto un passaggio nel fiume per poterlo attraversare facilmente dove l'acqua non scorreva . Ho preso un tremendo colpo di sole, facendo qua e là dalla strada al cascinale dove sarebbe sorto il campo. Sono stato sgridato da mio padre e curato dalla madre , in casa. Il giorno seguente dovetti fermarmi per le febbre. Non si andava molto in montagna allora. Poche gite. Classica, quella all'Alpe Efra. Mio padre davanti: dava la sensazione di conoscere la strada , di essere un viaggiatore, un alpinista e invece non lo era.

Anche a me sono piaciuti i primi campi mobili ossia i campi  volanti, detti così perché si cambiava sede sovente e che erano organizzati dal padre. Si andava sempre a Nord, oltre Gottardo. Era un modo per conoscere la Svizzera che mio padre amava molto. Si iniziò allora, al primo campo volante, con un soggiorno sotto l'acqua a Kandersteg, dove vidi per le prima volta giocare a rugby, nel fango,  e darsi  di santa ragione,  scouts anglosassoni.  Per me era una novità stare sotto l'acqua e provare piacere a vivere in quelle condizioni climatiche. di solito preferivo l'asciutto. Poi non avevo mai visto una partita di rugby. Si  andò  in seguito a Meiringen a visitare  le gole dell' Aar. Non mi ricordo di altri campi mobili. Mi pare siamo stati quella volta a Stans a visitare i luoghi di San Nicolao della Flue.  Mio Padre ci conduceva in luoghi a lui noti.

Ho finito con lo scoutismo verso i vent'anni, quando ho capito cosa fosse.



lundi 14 juin 2021

A scuola

 La scuola fu un rifugio che all'inizio mi riparò ma che poi crollo`. Troppa pressione da parte dei genitori per riuscire bene a scuola. Questa pressione era indiretta, non era a parole. Dovevo riuscire e basta. Non si discuteva nemmeno.  Ho qualche ricordo della scuola elementare ; alcuni del ginnasio (o scuola media, 4 anni a Lugano ) e molti della scuola magistrale(  o media di secondo grado) a Locarno, pochi dell'università a Friborgo-Svizzera. Ne scelgo alcuni.

Ho studiato molto, per ore e ore, ma i miei non mi hanno detto molto sulla scuola, non hanno mai dovuto incoraggiarmi. Non ce n'era bisogno. Ho capito molto tardi cosa fosse il sistema scolastico. Da bambino e da giovane volevo imitare il padre, insegnante, essere come lui. Fino ai vent'anni pensavo che fosse un "crack" della  scuola.  Il padre era per me come un dio in terra. Pensavo che sapesse tutto, che non si sbagliava. Per questa ragione sono finito a Locarno dove c'era la sola scuola magistrale (si chiamava così da quella parti. In Italia sarebbe stato  un istituto magistrale) del Cantone. Vi si formavano i futuri insegnanti di scuola elementare del cantone. In effetti non era già più allora , tra il 1956 e il 1959, un istituto professionale ma era una specie di liceo di secondo ordine. Il solo liceo pubblico del Cantone era a Lugano. A Bellinzona c'era la scuola di commercio e a Locarno l'istituto magistrale che fu frequentato da mio padre tra il 1926 e il 1930 ( stessi luoghi, stesse aule) e da mio nonno paterno tra il 1896 e il 1900. Ho pochissimi elementi di questi loro soggiorni. La mia genealogia culturale fu questa: diventare insegnante: infatti un fratello e due sorelle hanno frequentato la stessa scuola. Suppongo che all'epoca di mio padre studente, negli anni Trenta,  ci fosse una maggiore attenzione in quella scuola, nei corsi, per l'indirizzo professionale, per il mestiere di insegnante. Mio padre ha avuto come professore di filosofia e pedagogia un certo Valentiniche credo abbia studiato a Ginevra. Ho conosciuto sua madre, una anziana signora, che andavo a trovare quando ero alla scuola magistrale di Locarnio, ogni tanto a Solduno, una frazione di Locarno.  La maestra Valentini fu anche un'insegnante di mio padre bambino, nella scuola elementare di  Massagno.  Ho detto poco fa professionalizzante perché tra i libri di mio padre ho trovato quelli di Ferrière e Claparède in francese, due tra i maggiori esponenti della scuola attiva. Suppongo che fossero citati da Valentini,  ma non ne ho le prove. Mio padre era un sostenitore della scuola attiva ossia della pedagogia attivista. ma ne  sapeva ben poco. Infatti non ha mai letto né Claparède né Ferrière.I due libri erano intonsi. 

I buoni docenti del liceo di Lugano erano nominati dal Consiglio Stato (l'esecutivo) . Il liceo di Lugano fu un'istituzione voluta da Carlo Cattaneo, ed  era prestigiosa perché formava i quadri dirigenti del Cantone. Ancora ai tempi della mia adolescenza, sul finire degli anni Quaranta e agli inizi degli anni Cinquanta del XX secolo, aveva pochi studenti ed era soprattutto frequentato dai figli dell'alta borghesia luganese che poi andavano all'università . In quegli anni cominciava il crollo del liceo di Lugano come istituzione prestigiosa ( oggigiorno a Lugano e dintorni ci sono tre licei e due università, che allora non c'erano). L'Istituto magistrale locarnese e la scuola di commercio bellinzonese si ripartivano le briciole degli intellettuali della piccola repubblica lombarda che è il Canton Ticino. 

Non ero molto intelligente.  Alla scuola media ho consumato, il verbo è esatto ed è da prendere alla lettera, il tempo dipingendo  cartine geografiche nel quaderno di geografia. Ho speso ore e ore a fare questo lavoro. Riuscivo assai bene a realizzare i rilievi montagnosi a  colori. Mai , in casa, qualcuno  che mi dicesse che magari era preferibile leggere  gli autori che contano, sia italiani, sia francesi,  piuttosto che dipingere cartine geografiche. Leggere era pericoloso. Nella biblioteca paterna si trovavano per esempio  i volumi  della  storia militare o della guerra di Winston Churcill che qualcuno aveva regalato al padre maestro supposto essere un intellettuale. Quei volumi mi hanno intrigato per anni. e il padre non li aveva letti perché leggeva poco . I volumi, ce n'erano tre o quattro,  erano rilegati, in grigio. Non li ho mai letti neppure io. Suppongo che si tenessero lì perché l'autore era il leader dei conservatori britannici. Non si sapeva bene in casa chi fossero i conservatori britannici. Si  ammiravano solo perché erano conservatori, cioè dei liberali , sostenitori del libero mercato,  ed erano visceralmente anti-communisti. Nessuno tra i genitori mi ha spiegato chi fosse Churcill. Sapevo che non dovevo leggere Bertrand Russell ma ignoravo per quale ragione  Russell fosse un autore poco confacente. Era di sinistra e non di destra. Era citato da personaggi di sinistra. Questo bastava in casa per metterlo all'indice. Intuivo che non si dovesse leggerlo.  Lo capivo anche dal posto dei libri di Churcill nella piccola biblioteca paterna e dall'assenza nella stessa biblioteca dei libri di Russell.   

Poi più avanti negli studi, nel quarto anno di scuola secondaria superiore, mi sono messo a leggere da solo. Ho scoperto Gide, Pascal, Sant'Agostino. I miei, la madre soprattutto che era una bigotta cattolica di origine bergamasca,  sono intervenuti dopo avere consultato  non so chi, mi hanno detto di smettere di leggere Pascal perché  era un'autore pericoloso. Non so perché. Credo per l'idea di estrema destra della società e dell'esistenza che la madre aveva. Non so cosa pensasse il padre.  Non conoscevano nulla di Pascal. In ogni modo a scuola  studiavo molto per essere il primo e per dare soddisfazione a loro, ai genitori, con i voti che pigliavo. A Locarno, dove c'era un internato, ero sempre l'ultimo tra gli studenti  ad andare a letto, molto tardi. Avevo capito come si doveva studiare in matematica per riuscire e facevo solo quello. Ore e ore di esercizi. Non ero molto intelligente ma ero un bravo studente che  applicava il metodo matematico, quello in voga nella "matematica - calcolo" allo  studio di tutte le discipline scolastiche.  Sono riuscito ad essere il primo della classe, a battere tutti i compagni. Ricevevo  buonissimi voti. I prof. mi adoravano. Me ne ricordo pochi: Angelo Boffa, vice-direttore, prof. di "matematica-calcolo", Ezio Dal Vesco, prof. di scienze che poi è andato al poli di Zurigo ad insegnare geologia, Aloisio Janner, prof. di fisica che è andato in Olanda in una università, Piero Bianconi, un prof. ribelle, bravissimo, prof. di francese e di storia dell'arte. Alcuni prof.  erano francamente nulli:  il Pelloni, prof. di pedagogia, il Pedrazzini detto Pirla, prof di francese. Ero uno studente modello. Così , poco per volta, mi sono emancipato. Ma non parlavo. Non sapevo cosa pensasse il padre.  Gli autori che contano --Hegel, Marx,Kirkegaard, Nietzsche,Freud per esempio--li ho scoperti più tardi, per caso, da solo. Quanto aveva un peso era la produzione propria, il pensare criticamente con la propria testa. Ma occorra avere una testa ben fatta prima. Questo dono mi è venuto tardi, dalla cultura. 

All'università, a Friburgo, un'università cattolica, controllata dai domenicani, ho continuato su questa via. A Friborgo vi sono andato dopo tre anni di insegnamento, nel 1962. Avevo soldi perché avevo lavorato e potevo comperarmi tutti i libri che volevo. Lì ho comperato la storia della filosofia occidentale di Bertrand Russell; Ho così letto qualcosa di Piaget, di Freud, di Marx, ossia di autori relativamente contemporanei che la scuola ignorava. Nessuno dei miei genitori mi controllava perché ero via da casa, assai lontano, anche se mi avevano piazzato in un convitto cattolico. I miei speravano che all'università avrei cambiato testa, ma così non successe. Mi accorsi subito che taluni professori erano in gamba e che altri non valevano nulla. Per esempio, ne faccio solo uno, la professoressa di pedagogia, Laure Dupraz non valeva gran che. Stessa cosa per la psicologia,  obbligatoria nel corso in tedesco. Il prof.  era un uomo, colonnello nell'esercito elvetico. Mi son fatto un programma universitario personale, nel senso che seguivo nella facoltà di lettere i prof. che gradivo, andavo ai seminari e ai corsi  che mi piacevano . Non c'erano molti professori un gamba. Allora si poteva. Ero un ribelle. Mi ricordo dei corsi di Roland Ruffieux sulla storia, di quelli di Roland  Girod, che non era a lettere, sulla sociologia, di padre Giovanni  Pozzi, un cappuccino ticinese che gestiva la cattedra di italiano , di  Joseph Bochenski, domenicano,  i cui corsi su Carlo Marx sono stati per me determinanti e del domenicano Marie Philippe poi diventato un idolo integrista in Francia, dei suoi  corsi sulla filosofia antica, su Socrate e i pre-socratici. Queste lezioni mi aprirono gli occhi e dopo averle seguite  non sono più stato come prima.

Fu un lungo cammino, ma sono cambiato, ho iniziato a pensare con la mia testa, a ritenere che lo potevo, anzi che lo dovevo fare. Era un dovere. I prof. che ho avuto non si curavano molto della mia formazione ma confesso era assai difficile seguirmi. Nel Ticino si preoccupavano che diventassi un buon conservatore, nel senso politico del termine, che nel Ticino di allora significava essere un buon democristiano. Era la cultura dei tempi. Non si doveva  cambiare, si doveva assicurare la continuità. Invece ho scoperto che non potevo dire le stesse cose di mio padre nonostante il Flavio Cotti, avvocato diventato consigliere federale, amico di mio padre, oppure,  pure lui avvocato, l'Alberto Lepori, nemico di mio padre,  che aveva studiato a Milano, dirigente dell'Azione Cattolica, che già prendevano certe distanze. Bastava leggere e sapere leggere. Ed io acquistavo libri. Così nel Ticino , quando sono tornato a casa nel 1965 ho iniziato a frequentare persone per bene, capaci, colte, che pensavano con la loro testa  e mi sono affrancato totalmente dai miei genitori che  non erano più una guida, un modello da imitare. L'anno dopo nel 1966 ho rotto i ponti con il mio passato. Nel 1966 mi sono anche sposato senza sapere quel che facevo. Ma questa è un'altra storia. 

mercredi 5 mai 2021

Le femmine

 Questo è un altro tabù della mia educazione. Non se ne è mai parlato in casa né di donne né di gay né di sessualità. Men che meno di amore. Le donne erano esseri pericolosi,  soprattutto quelle che non stavano al proprio posto. Dalle donne si deveva stare alla larga. Questo è quanto ho dedotto dai silenzi familiari sull'argomento. Nessun aiuto dai genitori per capire qualcosa. Eppure i miei pretendevano dettare legge, imporre il loro modello di vita,  dove abitavano.

Sono giunto all'adolescenza senza nessun preavviso, mi sono innamorato di colpo  a 13- 14 anni senza nessuna preparazione, senza sapere cosa fosse innamorarsi.  Il mio pene è diventato lungo e gonfio senza che ne fossi avvertito. Ho a lungo creduto durante l'adolescenza che fosse un'anomalia da fare sparire e così, nei maldestri tentativi per farlo, mi masturbavo e provavo un piacere ben maggiore. Non capivo più nulla.  Non so più se prevaleva in me l'occulta ricerca del piacere solitario, come si diceva allora nelle cerchie che frequentavo, oppure la ricerca della santità e dell'ascetismo, non sapevo  se i miei gesti nei confronti del mio corpo e i miei pensieri a proposito   delle femmine fossero dettati da una tendenza oppure dall'altra.  Per fortuna c'era sempre un confessionale occupato da un prete nelle chiese vicine o sulla strada che dovevo percorrere per andare a scuola, per cui potevo liberarmi rapidamente dai peccati presupposti  che commettevo, dai pensieri che allora ritenevo osceni ma mai e poi mai per anni mi si è stato detto dai confessori che avrei dovuto smettere di denunciare come peccati , ossia come violazione ad una presunta regola, quanto commettevo perché le regole che mi ero date erano errate. Sceglievo ben bene i confessori, molti mi conoscevano. e sono così cresciuto con dentro l'invidia verso il genere femminile che ritenevo non avesse i miei problemi sessuali , con l'ignoranza dell'amore, con il problema di spiegare la femminilità. Non ho saputo fino a molto avanti negli anni, cosa fosse amare. Ho incontrato donnaioli inveterati  che non potevano dirmi cosa fosse amare. Li avversavo. Sapevo solo che amare era complicato e che l'amore poneva problemi, che non volevo avere storie amorose con donne, essere coinvolto in cosidetti pasticci amorosi. Mi sono innamorato un paio di volte e molte femmine si sono innamorate di me, ma non è successo nulla  perché non sapevo cosa significasse per loro e per me  innamorarsi e godere oppure perché pretendevo che non succedesse nulla e che la relazione fosse solo sessuale, ossia solo pornografica. Auspicavo il godimento sul momento. Quindi dovevo sapere cosa fosse amare. Non era necessario spiegarmelo . Lo intuivo, come si dice. Ma ne avevo una concezione del tutto negativa. Quella vissuta in casa e trasmessami dai genitori. Talune donne di cui mi sono innamorato me le ricordo. Ne vedo ancora gli sguardi di innamorate, pronte a darsi e a godere con me.Altre donne sono state oggetto di semplice conquista, di "exploit" sessuali e la relazione non poteva durare perché la donna forse cercava altro, non solo piacere. La mia sessualità fu negata in casa, negata è poco dire. Fu tarpata, soffocata. Ho raramente, forse mai, corteggiato una donna e ho capito molto tardi cosa fosse il suo piacere sessuale, il suo erotismo da soddisfare frequentando un uomo. Ho appena finito di leggere le memorie di Edgar Morin e sono stato colpito dalle molte donne che ha amato, dai moltissimi amori di cui parla liberamente, dalla sua libertà sessuale. Ha gestito l' universo femminile senza remore e si è buttato nel mondo femminile. Delle donne ne parla benissimo , ne ricorda la bellezza; L'esatto contrario di quel che ho vissuto. Forse l'ambiente nel quale sono cresciuto, il mondo "cantonticinese", funzionava così. Non lo credo ma è utile per me pensare in questo modo. Mi è mancato il coraggio e la forza di amare. Ho pensato solo a me stesso, al mio piccolo mondo, ai miei problemi.

Non ho corteggiato nessuna femmina ho detto poco fa. Detestavo essere rifiutato nei balli e non sapevo insistere quando ci ho provato. Eppure il ritmo della musica e delle canzoni mi piaceva. 

Non sapevo nemmeno cosa fosse il bello e il brutto nell'amore. O forse lo sapevo inconsciamente. Probabilmente ho sempre saputo cosa  fosse bello e cosa fosse brutto, ciò  non toglie che quando durante una lezione di scienze del prof. Dal Vesco alla scuola magistrale femminile di Locarno ho realizzato di colpo che i maschi si accoppiavano alla femmine, che per forza doveva andare proprio così,  ho provato disagio e sono stato male. credo che dovevo avere 16 anni. Un po tardi. E' successa la stessa cosa con la castagnata della scuola, organizzata a Giubiasco dai compagni in un caffè-bar. Lì si beveva e si dragava. Vi sono andato il primo anno ma non ci andai più in seguito. L'ambiente, tutto sommato assai banale, non era fatto per me. Non sapevo né ballare né bere. Allora si ballava il liscio. Abbracciare e stringere contro di me una ragazza : forse ne avevo voglia ma la mia educazione lo proibiva. Troppa sessualità per me. Non sapevo proprio come comportarmi, come controllarmi: dapprima le mie reazioni erotiche poi quelle della donna. Ero inibito, bloccato. Avrei passato tutto il tempo seduto ai bordi della sala, senza ballare.Questa era la mia scelta. Non mi pare che i miei mi proibissero di andarci. Non mi ricordo nulla. Il ballo era per me la quintessenza della sessualità e la  dovevo reprimere totalmente. Le brave persone per me erano quelle che annullavano la sessualità. Per forza ce n'erano poche in giro. Non osavo chiedermi nulla sulla sessualità dei miei genitori. Per me non la vivevano.