vendredi 27 janvier 2017

La scuola di domani è nata

Mi capitano  sotto gli occhi i risultati del  sondaggio svolto dalla rivista USA Phi Delta Kappan sull'opinione degli Americani sugli obiettivi fondamentale della scuola ( sia statale che paritaria , come si dice in Italia, o privata o di altra forma, per esempio le Charter Schools). La scuola di domani si intravvede chiaramente in filigrana ( PDK,  novembre 2016, pag.7).
Per gli adulti USA, genitori di bambini frequentanti la scuola, i cinque obiettivi fondamentali della scuola sono i seguenti:


  • sviluppare buone abitudini  di lavoro ( 90% di risposte favorevoli);
  • fornire informazioni comprovate (85%);
  • sviluppare il pensiero critico (ossia non prendere tutto per oro colato, ma verificare) ( 82%);
  • preparare a diventare buoni cittadini (82%);
  • preparare a lavorare bene in gruppo (76%).
Nelle priorità non esiste né il nozionismo, né il calcolo, né la lettura, e tantomeno  l'apprendimento delle conoscenze di base dell'alfabetizzazione tradizionale( sapere scrivere correttamente per esempio, oppure conoscere a memoria le tabelline delle moltiplicazioni). Si è entrati in un altro mondo.
Mi ricordo che una decina di anni fa, quando ero a Ginevra, si fece un'indagine presso gli insegnanti della scuola elementare o scuola primaria, sulle priorità dell'istruzione scolastica e già allora , ma tra gli insegnanti, l'apprendimento delle conoscenze di base non apparve in prima linea. Se ben ricordo, gli insegnanti hanno collocato  al decimo posto nella lista degli obiettivi fondamentali dell'istruzione scolastica l'apprendimento delle conoscenze di base. I curricoli cambiano. Le attese sono altre. Non si scrive più, per esempio, in carattere corsivo da decenni e il corsivo forse sparirà anche nei sistemi scolastici che ne impongono l'apprendimento, come se fosse la sola calligrafia degna di nota.

I cinque obiettivi indicati come fondamentali dall'opinione pubblica USA per l'istruzione dell'obbligo elencano cinque competenze. Non si tratta più di apprendere nozioni. Questo non significa affatto eliminare la selezione scolastica perché ci saranno sempre i più competenti e i meno competenti. Si tratta di fissare il momento nel quale effettuare la selezione decisiva. Le classifiche non sono scomparse. Le scuole sono istituzioni designate ad effettuare questa selezione in età giovanile. Poi intervengono altre istituzioni e infine la selezione  finale avverrà probabilmente sulle nozioni. Il periodo della scolarizzazione si prolungherà, durerà più a lungo. Oggigiorno, nei paesi scandinavi, si frequenta la scuola fino ai trent'anni e forse di più. Adesso l'opinione pubblica e gli insegnanti concordano che la priorità della scolarizzazione sono le competenze: per esempio lavorare in gruppo, difendere le proprie opinioni senza azzuffarsi, fare valere i propri argomenti, sviluppare il pensiero critico, essere originali nei modi di argomentare e di pensare. 

Se si esaminano i programmi scolastici sviluppati nelle scuole odierne e se si comparano con quelli di cinquanta o sessant'anni fa si scopre che le mutazioni sono state enormi. Ai miei tempi la selezione scolastica per esempio si svolgeva su artrusi problemi di lavandini, di rubinetti e di scoli. Adesso la selezione scolastica è ancora ibrida. In parte si effettua sulle nozioni e in parte sulle competenze. Una forma, la prima, è esplicita, la seconda è ancora implicita.  Si giocherella, nelle scuole primarie, sui voti , sui colori delle notazioni, sulle lettere alfabetiche da utilizzare per classificare gli alunni, per valutare nel contempo  l'acquisizione di competenze e di nozioni. Nel sistema scolastico francese, gli insegnanti hanno ricevuto una tabella di valutazione delle competenze molto raffinata, lunga, ben fatta. Ovviamente l'uso da parte del corpo insegnante e del sistema scolastico  è stato fallimentare. Le famiglie hanno ricevuto per alcuni trimestri documenti complessi  che non hanno capito. Subito sono apparse  soluzioni di comodo, rapide e burocratiche, per compilarle. Le tabelle di valutazione delle competenze  non sono servite a nulla anche perché tali valutazioni non servivano a definire il curricolo scolastico individuale. Come ho già avuto modo dire non si può tenere il piede in due scarpe.   In ogni modo, la discussione sul tipo di voti è una discussione di retroguardia. Tra poco i voti scompariranno. Il percorso scolastico, il curricolo come si dice, cambia. Non  è più quello di mezzo secolo fa. Nella nuova scuola si apprende, ma si apprende qualcosa d'altro e le nuove forme di valutazione sanciranno il risultato conseguito dall'apparato scolastico, dagli insegnanti e dagli alunni che non è più quanto si apprendeva alcuni decenni fa ma però si continuerà sempre a selezionare nella scuola di base.


mardi 17 janvier 2017

Educazione prescolastica

Le solite stupidaggini: nel settimanale USA sulle politiche scolastiche "Education Week"  si pubblica  (l'11 gennaio 2017) un articolo ( di Sarah Spark) nel quale si sostiene con prove alla mano che gli studenti quindicenni che hanno conseguito punteggi elevati nel test PISA sulla cultura matematica svolto nel 2012 hanno in media effettuato almeno un anno di scuola per l'infanzia. Corbellerie simili, perché si tratta di corbellerie, indipendentemente dalla validità delle osservazioni,vengono scodellate regolarmente nelle analisi delle valutazioni soprattutto nei paesi nei quali l'educazione prescolastica è poco diffusa, come per esempio negli USA. L'argomento è utilizzato per convincere i responsabili politici e l'opinione pubblica che è giunta l'ora di sviluppare le scuole per l'infanzia, di generalizzarle.

Ci sono ricercatori che si presterebbero a qualsiasi esercizio pur di sbarcare il lunario. Come si fa a sostenere una cosa simile? Eppure si sfornano  prove che convalidano la pertinenza  di affermazioni   simili. Tesi: se si vogliono ottenere buoni risultati in matematica occorrerebbe cominciare presto e mandare i bimbi nelle scuole per l'infanzia , che un tempo erano semplicemente dette "asili".
Orbene, gli asili o le scuole per l'infanzia sono necessari per altri motivi, soprattutto per i ceti sociali poveri. Se poi chi frequenta quest'istituzione diventa una buon allievo, tanto meglio, ma diventare un buon allievo non è lo scopo primario dello sviluppo dell'educazione prescolastica.

In ogni modo la moltiplicazione delle scuole per l'infanzia è un fenomeno connesso all'espansione del sistema scolastico e al trionfo delle società scolarizzate. Più scuola si fa meglio è nelle società dominate dalla logica matematica deduttiva: le società funzionano meglio, si guadagna di più, si fanno affari migliori, il commercio andrà meglio e la disoccupazione calerà. Per questi e per altri motivi le politiche di espansione delle scuole per l'infanzia conosceranno un successo planetario, ma vale proprio la pena scomodare le valutazioni, sfruttare i punteggi ni test, tirare per i capelli le medie nelle prove strutturate somministrate a dieci anni di distanza dall'età buona per accedere alle scuole per l'infanzia, per impostare politiche a favore dell'infanzia e delle famiglie che sembrano ormai indispensabili.

A dire il vero l'articolo in questione ha un sottotitolo nel quale si dice anche che occorre essere cauti nell'interpretazione dei dati. Questo è il minimo che si poteva dire.

dimanche 15 janvier 2017

Asili nido

In Italia il governo propone l'istituzione di un sistema integrato di educazione ed istruzione per i bambini da 0 a 6 anni. La novità è di estendere il più possibile il servizio educativo per l’infanzia (in diverse forme, ma soprattutto asili nido e micronidi)  a tutto il Paese, fino a coprire entro il 2020 almeno un terzo della popolazione sotto i tre anni. La notizia proviene dal quotidiano La Stampa che ha pubblicato un commento del direttore della Fondazione Agnelli, l'economista Andrea Gavosto. La proposta emana dal precedente governo ed è stata ripresa da quello vigente.

Per prima cosa occorre rilevare che questo passo non costituisce una novità. E' da almeno dal 1970 che a livello internazionale si propone una politica integrata dell'infanzia, che esistono prove della bontà dei nidi dal punto di vista dello sviluppo dei bimbi, di quanto apprendono, che si  è dimostrato il beneficio economico per lo Stato della creazione dei nidi ( le madri che possono praticare una professione extra-domestica  grazie ai nidi dove si lasciano i bimbi, pagano le imposte sul loro salario), che si ammette l'alto costo dei nidi e anche la grande iniquità del sistema  che prevede al massimo l'accoglienza nei nidi del 30% dei bimbi piccoli. Questo tra l'altro è proprio l'obiettivo della legge delega italiana. Anche nei celebri asili-nido di Reggio i posti erano occupati dai bimbi delle classi agiate e non da quelli delle classi popolari le quali dovevano arrabattarsi per piazzare i bimbi in strutture diverse da quelle pubbliche. Quindi nulla di nuovo sotto il sole, ossia nulla che non si conoscesse già.

La novità più rilevante della legge delega italiana è la statalizzazione ambigua degli asili-nido. I comuni sono sempre responsabili della creazione degli asili-nido che sono però sovvenzionati dallo stato. Come lo rivela Gavosto la somma stanziata dalle autorità centrali per  promuovere la creazione di asili-nido in Italia è ridicolmente bassa. Ma questa è un'altra faccenda, tipica di un paese nel quale alle buone intenzioni non seguono i fatti. Resta comunque il tentativo di dimostrare che le iniziative governative a livello di ministero e quindi dell'amministrazione centrale sono in grado di suonare la sveglia, di scuotere i comuni dal  torpore, di sostituire lodevoli iniziative locali, comunali, con iniziative centrali. Questa è davvero una beata illusione. I comuni tenteranno di liberarsi dall'onere dello sviluppo e della gestione degli asili-nido e si appoggeranno sulle fumose proposte dell'amministrazione centrale. Se ci sono sovvenzioni stanziate dal governo romano perché non approfittarne? Le condizioni poste per ricevere le sovvenzioni non sono un capestro. Si può fare. In questo modo la statalizzazione dell'istruzione pubblica in Italia continua, a scapito del buon senso secondo il quale la decentralizzazione è di gran lunga più efficace.

Infine non si può non sottolineare il fatto che la legge delega sugli asili-nido sancisce il progresso della società secolarizzata. Tutti a scuola . Della scuola non se ne può fare a meno. Poco importa che la scuola sia buona o meno. Del resto si prendono provvedimenti per fare in modo che sia buona ovunque, come per esempio la formazione iniziale prolungata delle insegnanti agli asili-nido. Che poi questo passo  di per sé lodevole generi automaticamente la bontà delle prestazioni è un altro affare.

samedi 14 janvier 2017

Naturalizzazione agevolata in Svizzera

Il prossimo 12 febbraio i cittadini svizzeri sono invitati a votare su una modifica della costituzione federale decisa dal Parlamento che agevola la naturalizzazione degli stranieri della terza generazione. Qualsiasi cambiamento della costituzione va sottoposto in Svizzera a una votazione popolare e la proposta di modifica passa solo a doppia maggioranza, ossia se è accettata sia dalla maggioranza dei votanti sia dalla maggioranza dei cantoni ( le Regioni in Italia, i Länder in Germania e via di seguito).

In Svizzera non esiste lo "ius soli". Ciò significa che chi nasce in Svizzera  non diventa automaticqmente svizzero se i genitori sono stranieri. Si resta stranieri. Prevale , nel linguaggio giuridico, lo "ius sanguinis".

La naturalizzazione in Svizzera è un cammino del combattente che solo una minoranza di stranieri domiciliati in Svizzera magari da anni o magari nati in Svizzera e scolarizzati in Svizzera intraprende. In genere, si può presentare una domanda di naturalizzazione solo se si è domiciliati nello stesso comune da almeno un decennio. Il Parlamento elvetico non cambia questa pratica ma chiede soltanto di agevolarla per la terza generazione. Del resto , le condizioni previste dalla legge sono drastiche e sono le seguenti:

  • non avere più di 25 anni;
  • essere nato in Svizzera e avervi frequentato per almeno cinque anni la scuola dell'obbligo;
  • uno dei genitori deve  avere soggiornato in Svizzera per almeno dieci anni, avere frequentato la scuola dell'obbligo per almeno cinque anni;
  • uno dei nonni almeno deve essere stato domiciliato  in Svizzera ( il domicilio lo si ottiene a determinate condizioni) o essere nato in Svizzera.

Quando sono stato direttore dello SRED a Ginevra ho chiesto ai collaboratori che curavano la statistica scolastica del Cantone di considerare svizzeri tutti gli studenti nati in Svizzera e che avevano frequentato le scuole statali in Svizzera. Nondimeno, in ossequio a una fobia elvetica, il numero di questi studenti è stato anche pubblicato nelle tavole in una colonna a parte riservata al totale degli studenti stranieri per anno di scuola e per ordine di scuola, ossia al numero di studenti privi di passaporto elvetico inscritti nelle scuole.

Mi sembra che sia del tutto logico dare  alla seconda e a maggior ragione alla terza generazione di stranieri nata e scolarizzata in Svizzera la nazionalità elvetica. In questi giorni ho purtroppo letto inviti pubblicati su Facebook a rifiutare l'agevolazione della naturalizzazione. Trasecolo e non capisco come si possa formulare una argomento simile. Cerco di capire come mai persone istruite e colte possano opporsi a una proposta che mi pare del tutto sensata, anche se non ne condivido la prudenza che la inspira e le restrizioni imposte nella procedura di agevolazione. 

Mi ricordo che quando ero piccolo mio padre era uno specialista delle naturalizzazioni. Prendeva in mano le richieste, ne ponderava la chances di successo o di insuccesso, preparava i candidati che allora ( magari ancora oggi) nel Ticino dovevano sottoporsi a un esame per comprovare la loro conoscenza della storia e della geografia del paese, e gongolava quando dopo due o tre anni di incontri, di procedure, le persone ottenevano la cittadinanza elvetica. Era una festa. Giravano anche soldi. L'operazione per lui aveva un senso compiuto solo se i nuovi elettori riconoscenti avrebbero votato per il suo partito.

Non abito più in Svizzera. Suppongo che il patriottismo e il nazionalismo non siano scomparsi, che molte persone ritengono ( ne sono convinte) che la nazionalità implica un determinato modo di pensare, il rispetto di taluni valori, e anche alcuni obblighi. Non è concesso a tutti di essere un cittadino, più o meno buono, di un determinati paese. 

Non credo alle fandonie della naturalizzazione e faccio quindi fatica a entrare nei ragionamenti dei difensori della nazionalità. Sono davvero sorpreso quando si proclamano valori connessi alla nazionalità e all'identità, come se questi dipendessero dal possesso di una determinata cittadinanza. Questo succede un po`ovunque in questi  tempi. Non sono nemmeno un ingenuo e ammetto che la nazionalità fornisce privilegi e vantaggi a coloro che ne posseggono una piuttosto che un'altra. Per esempio, determinate carriere pubbliche sono precluse a chi non ha una determinata cittadinanza in un determinato paese. Allora ci si oppone allo "ius soli", ossia alla cittadinanza attribuita automaticamente a chi nasce in un certo territorio. Il nazionalismo non è ancora del tutto scomparso , le frontiere politiche continuano a operare e  a essere ritenute una barriera protettiva. Di cosa? Di quali privilegi accessibili a una piccola minoranza?