jeudi 18 août 2022

I Promessi Sposi

 Sto leggendo, non rileggendo, il romanzo di Alessandro Manzoni. Il libro é un' edizione Vallardi del 1952 che era appartenuto a mia moglie. Ogni tanto ci sono, a matita, commenti e spiegazioni suoi. Lei parlava italiano in casa , io un dialetto comasco. Il nostro italiano era in parte diverso da quello parlato in Italia, a soli pochi km da casa nostra. Il libro serviva anche a questo: a ravvicinare la nostra parlata, l'uso di determinate locuzioni , il vocabolario usato quotidianamente, all'Italia. 

Mi pare di non avere mai letto questo romanzo prima d'ora che a scuola , invece, negli anni Sessanta, era una lettura obbligata del corso di italiano di quarta ginnasio. Frequentavo allora la quarta ginnasio a Lugano (oggi si direbbe la quarta dell'insegnamento secondario di primo ciclo o qualcosa del genere)  che in  Italia non c'è, dove la scuola media é di tre anni. Allora nel Luganese c'era un solo ginnasio connesso al solo liceo cantonale. Non mi ricordo più il nome del prof. di italiano che  avevamo in quarta ginnasio. Ero innamorato di una compagna di classe, ma non lo sapevo, allora. Andavo dai cappuccini a confessarmi perché mi masturbavo molto. Passavo ogni giorno davanti al loro convento. Mi ricordo di don Abbondio, di Renzo e Lucia ma non avevo capito che erano innamorati e che volevano sposarsi per questa ragione, di Don Rodrigo che voleva Lucia, dei bravi, delle grida spagnuole ( il periodo del romanzo  é l'occupazione spagnuola del Milanese nel XVII secolo ), di padre Cristoforo, di Agnese la madre di Lucia, del dottore Azzeccagarbugli, del viaggio di Renzo a Lecco  con i quattro capponi da rifilare al grande avvocato consultato per il rifiuto di don Abbondio di procedere al matrimonio, intimorito dai bravi di don Rodrigo, della crisi del pane a Milano e della peste, dell'Innominato.  Non ho mai letto il romanzo per intero ma a scuola non avevamo un compendio scolastico. Adesso , sul finire della vita, lo leggo per piacere. Ho iniziato la lettura come un esercizio di ortofonia. Potevo scegliere qualsiasi testo e subito mi è venuto in mente questo romanzo in italiano in concorrenza con un libro di filosofia in francese che avevo letto all'università, " La philosophie contemporanaine  en Europe" edito pubblicato da Payot  di José Maria Bochenski,  un padre domenicano di origine polacca, che  insegnava all'Università di Friborgo ( Svizzera) e che mi aveva, allora, piaciuto moltissimo, anzi che mi ha aiutato, come guida alla filosofia contemporanea .  La lingua del testo da leggere non conta. L'esercizio consiste nella lettura a voce alta e potente di un testo qualsiasi. Infatti a metà riga mi manca il fiato. Inoltre mangio le parole . Devo rimettere in ordine le corde vocali che si sono atrofizzate. Ho letto poco ad alta voce. Mi sono accorto che non so leggere ad alta voce. Poscia , cammin facendo, leggendo,  ho scoperto che il romanzo parlava d'altro e che illustrava molto bene la cultura italiana, il modo di agire e di pensare degli Italiani odierni, di chi ha il potere e di chi ne é vittima:  la viltà, il presssapochismo, la volubilità dell'opinione pubblica, la prepotenza, l'egoismo, l'utilità (fare quanto è utile per sé), lo strapotere delle leggi,  che al tempo in cui era imperniato il romanzo, si chiamavano "grida", il numero altissimo di avvocati ( illustrato  dal dottor Azzeccagarbugli), le grida che si applicano o non si applicano, il rispetto del potere del più forte, l'accordo tra chi comanda.  

Situazioni intere del romanzo sono state ignorate allora a scuola e che  ho scoperte soltanto rileggendolo. Per esempio l'episodio della monaca di Monza, lo sguardo terribile del padre, l'ubriacatura di Renzo quando arriva a Milano, alla fine della giornata di rivolta contro i fornai, la denuncia all'ufficio di giustizia da parte dell'oste presso la cui locanda Renzo si era ubriacato , la conversazione tra il conte zio e il padre provinciale dei cappuccini, la violenza dell'innominato il suo incontro com il cardinale Federico Borromeo, l'importanza della chiesa cattolica in Italia. Non si è stati capaci, a scuola, di spiegarci il romanzo. Ne conosco vagamente la trama. A Manzoni ho preferito allora i romanzieri  francesi. Victor Hugo che in quegli anni, più o meno, ha scritto "Notre Dame de Paris", poi Stendahl  ("Le Rouge et le Noir") ,  Camus, di cui ho letto più tardi "la Peste", Zola  , Malraux ( "La Condition Humaine"). Uno dei professori di francese che ho avuto nelle medie superiori, Piero Bianconi, ci ha fatto leggere e ci ha fatto conoscere Stendhal e Malraux e in poche parole ci ha spiegato i due libri che avevamo da leggere. Che lezione! Invece nessuno ci ha spiegato Manzoni, il romanzo, Renzo e Lucia nella società di allora che non è molto diversa dalla società contemporanea pentastellata.Non sono stati ( i professori che ho avuto) capaci di spiegare la grandezza di Manzoni ( almeno non ricordo nulla).


lundi 2 mai 2022

La diga

 Il titolo mi è venuto in mente mentre leggevo il romanzo premiato in Francia  al Goncourt del 2021 ," La plus secrète memoire des hommes", di Mohamed Mbougar Sarr. Il romanzo è imperniato sulla vita  di uno scrittore africano, Elimane, che scrive a Parigi  nel 1938 un libro ora scomparso, ignoto. Questa è la "fiction".Di Elimane non si sa quasi nulla, tranne che ha scritto un libro, " Le labyrinthe de l'inhumain". Un giovane scrittore senegalese pure lui a Parigi , scopre questo libro, che  ha suscitato molto scalpore quando è stato pubblicato,  e nel 2018 tenta di sapere chi era Elimane. Ne risulta un personaggio molto strano che costituisce la trama del libro . Il romanzo mi è molto piaciuto non solo la storia ma anche come è scritto. 

Leggendolo, come mi capita spesso, penso alla mia vita, alla mia esistenza e mi è venuta in mente la diga.

Dietro la diga c'è il nulla per me. Da una parte il fiume che la diga deve contenere, la corrente del fiume, dall'altra l'erba , il secco o l'umido, qualche albero che la diga deve proteggere. Ho sempre vissuto nell'aridità, da una parte sola della diga, nell'erba secca, dove c'era qualche  pianta. Una diga potente ha impedito all'acqua di invadere quel terreno, ha bloccato  le inondazioni e ha impedito qualsiasi fertilizzazione ( non so se il termine esiste in italiano, se è un francesismo o se non lo è. Dovrei controllare, ma sono pigro e non guardo nel dizionario). Nel romanzo ci sono pagine intere di scene d'amore, molto ben scritte. Il romanzo è un grande amore-odio tra due fratelli;  é inoltre una storia del razzismo francese in Senegal, e una storia  della letteratura africo-francese,  dello scrivere in francese per un africano, una storia di emigrazione in Francia. Un grande romanzo che sfiora parecchie cose, senza mai perdere il filo. Uno dei  fratelli  è cieco e l'altro Eliman scompare in Europa dove va a combattere la seconda guerra mondiale per la Francia ,  e  dove scrive il suo libro. I due amano la stessa donna, una bellezza africana che vive a Amsterdam e che l'autore del romanzo va a cercare. Ma lui è cieco. Dovrei rileggere la vicenda ma ancora una volta per pigrizia non lo faccio. E' il 1940 o giù di lì. Sono nato nel 1940. 

La diga è stata costruita dai miei genitori, in primo luogo da mia madre. La diga rappresenta l'assenza dell'amore. Ma anche mio padre  ha contribuito alla sua costruzione. I fastidi, le emozioni sono sempre stati banditi nella mia educazione. Questo è i correlato dell'amore. In casa, almeno  con me,  non se parlava. ed il sottoscritto non ha mai provato il bisogno di interpellare i genitori sul loro silenzio rispetto qllq vita amorosa. Non si diceva nulla allora  almeno per me, in casa, non doveva essere il caso. Ho sempre saputo come (mi è stato inculcato)  come si deve vivere: imitare il padre.  La mia vita è stata  una noiosa ripetizione dell'imposizione parentale. Ecco che appare la diga, il cui scopo fu quello di tenere lontano tutte le deviazioni e di autorizzare soltanto quanto era in linea con la tradizione. Il padre, seguito dalla madre, per quanto ne sappia, ha curato la golena, cioè la zona al di là della diga , dove c'era l'erba secca e dove sono cresciuto. Ha strappato le erbacce , ha raccolto le cartacce gettate  a terra da coloro che ci andavano per divertirsi o semplicemente per riposarsi; e' stato un netturbino. I sentimenti erano banditi ( almeno per me). Per questo motivo parlo di aridità.

La diga separa: da una parte sta quanto  taluni ritengono  bello, buono: é l'ordine che le autorità impongono perché  conoscono quanto auspicano. Loro sanno, anzi vogliono,  quel che  tutti dovrebbero fare. Cosa conoscono? Tento una risposta: quanto non dà fastidio. Questo è il territorio di mio padre; oltre la diga c'è il disordine, la trasgressione, la disubbidienza, quanto non si deve fare. Ho ricevuto un'educazione non  solo autoritaria ma anche manicheista. Da una parte c'era quanto non si doveva fare e dall'altra quanto invece era lecito, anzi doveroso.  Più o meno, questo è stato anche il territorio di mia madre, che a un certo punto, non saprei fornire una data , ha scavalcato  la diga e si è messa con il  padre. Ne ha condiviso la visione del mondo, ossia della società.  Se questo sia amore non lo so. Quando mia sorella maggiore afferma che i due si sono amati,  si sono voluti bene, che fra  loro c' è stato vero amore, non ci credo anche se mi è impossibile comprovarlo. I due hanno condiviso una stessa identica visione della società.  Io (ma non posso e non riesco, forse nemmeno voglio, parlare, cioè scrivere  per i fratelli e le sorelle), dovevo essere un esempio per la società in cui vivevamo, in cui si cresceva. Essere la prova vivente e vincente di come si riesce a educare bene, a interpretare in maniera esatta quanto le autorità vogliono:camminare correttamente in strada, sbarbarsi regolarmente , riuscire bene a scuola, sapere disegnare, essere puntuali, non gettare cartacce in strada,  ecc. Dettagli questi ma i dettagli contano.Sono stato abituato a questi schemi. Questi sono segnali di come io ero in casa,

Dovevo essere esemplare, essere una dimostrazione di come si deve vivere.  In questo modo non ho mai tollerato le deviazioni, ho spesso giudicato il prossimo con un parametro in mano, il mio modo di vivere ritenuto la perfezione. Il  termine "deviazione" è errato. Troppo debole. Dovrei dire gli errori, il fare diversamente da quanto stabilito dalle norme assodate, volute dalle autorità. Non ho tollerato il diverso, l'altro tranne qualora si rendesse simile alla norma prestabilita, a quanto voluto dalla autorità. In questo momento mi viene in mente la guerra in Spagna e i comunisti. Mio padre ha sempre detestato i Ticinesi, abbiamo vissuto nel Ticino,  che si erano recati a combattere in Spagna nelle file della brigata straniera che si era costituita  per lottare contro il governo di Tito, per dare un aiuto ai combattenti della guerra civile spagnola contro l'ingerenza della Germania e dell'Italia.  Ritornati ,  i brigatisti ticinesi furono imprigionati e condannati. Non so quanti erano e dove sono andati. Ma mi ricordo della sua intolleranza verso di loro. E' quanto mi ricordo. A quell'epoca adoravo mio padre. Il processo e la condanna non erano stati sufficienti per lui, non erano stati esemplari. Sarebbe stato meglio colpire ancora di più. Stessa cosa per i comunisti: pochi nel Ticino ma bravi, coraggiosi. Non li accettava. non aveva fatto nessun sforzo per leggere Marx. Non l'ha mai letto, credo. Era il diavolo. I comunisti erano il male assoluto che si doveva combattere. Non capiva come si poteva vivere senza cattolicesimo, senza religione. Il suo idolo era il vescovo Aurelio Bacciarini di cui in casa troneggiava la fotografia. 

Questo è il mondo nel quale sono cresciuto. Non sapevo nulla dei sentimenti, delle emozioni e la letteratura me lo ricorda, mi fa rammentare questa aridità. Solo molto tardi ho abbandonato il territorio protetto dalla diga e anzi l'ho abbattuta davanti a me e sono penetrato nel vasto mondo che stava aldilà della diga. Dapprima con spavalderia, senza capire un gran che di quanto stavo vedendo, delle novità che incontravo, poi dopo la scomparsa dei miei genitori e dopo essere emigrato all'estero (anche questa scelta fa parte dell'abbattimento del muro) ho iniziato a capire e mettere ordine in quanto vedevo,  a non lasciarmi trasportare dall'euforia della scoperta, non più giudicare il prossimo, guardare a me stesso. Ma era tardi per godere del bello della vita. Il romanzo e in particolare le lunghe scene d'amore, mi ha fatto pensare a tutto ciò, a quanto non ho vissuto e a cosa sono stato privato.Tanto purtroppo.

mercredi 23 février 2022

Alberto Lepori

Ho per caso visto nel sito www.lanostrastoria.ch sei interviste a Alberto Lepori ( Video 1/8 – La giovinezza,Video 2/8 – Il partito , Video 3/8 – Il Consiglio di StatoVideo 4/8 – Il politico cristianoVideo 5/8 – Io sono europeistaVideo 6/8 – La rivista “Dialoghi”Video 7/8 – La politica oggiVideo 8/8 – La famiglia e la fede),  personalità del piccolo mondo cantonticinese, ex-consigliere di Stato (5 persone in tutto e per tutto che costituiscono il governo ossia l'esecutivo del cantone) per il PPD ( Partito Popolare Democratico),avvocato,  Massagnese, cresciuto in una casa in faccia alla mia, che ha compiuto nel 2020  90 anni e che ho incontrato alcuni anni fa alla festa organizzata per i 90 anni di mio padre, nato nel 1912.

Non mi associo alle lodi di  Alberto Lepori scritte  per i suoi 90 anni. Non perché non ne merita, le merita per  ma perché sarebbe complicato parlare di lui, non è difficile tessere il suo elogio, scrivere un panegirico su di lui. Anch'io sono un Massagnese come lui.  Da bambino, sono stato un aspirante della sezione San Maurizio di Azione Cattolica diretta allora da Alberto Lepori. Ho un'altra storia da raccontare. Lui abita a Massagno, io a Parigi, Abbiamo in comune un'infanzia passata nello stesso ambiente, un paese alla periferia di Lugano, prima che fosse sconvolto dalla modernità.

Dapprima alcune note biografiche tratte dal cappello introduttivo dell'intervista: Alberto Lepori è nato a Massagno il 3 novembre 1930. Figlio di Pierre e di Rina Cattaneo. È patrizio di Lopagno (Capriasca). Dopo le scuole elementari a Massagno, frequenta il ginnasio al collegio Don Bosco di Maroggia. Passa al liceo a Lugano e studia diritto a Berna, dove consegue il dottorato nel 1954. Attivo nei movimenti giovanili studenteschi (Lepontia) diventa consigliere comunale a Massagno nel 1956 fino al 1964 e dal 1976 al 1980. Municipale dal 1964 al 1968. Deputato in Gran Consiglio a due riprese dal 1959 al 1968 e dal 1983 al 1991. Consigliere di Stato dal 1968 al 1975.

Attivo come giornalista, dirige dal 1955 al 1959 (quando era giovanissimo) il periodico  dei giovani conservatori “Il Guardista” e dal 1965 al 1968 il quotidiano “Popolo e libertà”, organo del partito conservatore ed è stato  redattore dal 1968 in poi della rivista bimestrale “Dialoghi”. rivista religiosa. Ha collaborato  con numerosi giornali e riviste, in Svizzera e in Italia.

Lo zio Giuseppe Lepori (1902-1968) è stato Consigliere federale, cioè membro dell'esecutivo elvetico, il governo federale , che è di soli 7 membri,  dal 1954 al 1959.Alberto Lepori è sempre stato un cattolico militante.

Ho conosciuto Pierre , il padre, Rina, la madre, le sorelle e i fratelli.  Mio padre, che aveva lo stesso suo nome (si chiamava anche lui Alberto), fu pure attivo come Alberto Lepori nell'Azione Cattolica ,  e si è scontrato con lui , Mio padre  , negli anni 50, era amico dei preti vicini ai vescovi dell'epoca (Jelmini e  Togni) e della redazione del giornale cattolico, il Giornale del Popolo. I cattolici volevano allora occupare il terreno politico e nel primo dopo-guerra i dirigenti cattolici del Cantone  avevano tentato di rinvigorire l'Azione Cattolica e di creare un nuovo tipo di associazionismo cattolico. Da qui lo scontro con Alberto Lepori che era rimasto, più o meno,  nel solco tradizionale dell'azione cattolica che tentava a modo suo di modernizzare con la rivista "Dialoghi". Poi il vento è cambiato e fu Alberto Lepori ad essere a sua volta vicino ai vescovi che son venuti dopo Jelmini e Togni, in particolare a Grampa e a Corecco (quest'ultimo molto vicino al movimento "Comunione e Liberazione" e al suo fondatore, il Milanese Don Giussani) , alla curia e al giornale dei cattolici ticinesi , ora scomparso. Così Alberto Lepori e la rivista "Dialoghi", che non ho seguito e di cui ignoro  tutto,  ebbero per anni le mani libere perché la curia vescovile dell' epoca sua era molto più tollerante di quella che la precedette nel primo dopo-guerra. Il concilio Vaticano II era passato da lì.  

Mi sono chiesto come mai queste sei interviste ora, quale fu  la ragione  di questa scelta in questo momento, come mai Alberto Lepori ha accettato di raccontare la sua storia personale proprio ora? La sua non è una vicenda personale;  è la storia del cattolicesimo politico nel Ticino e del suo fallimento. Alberto Lepori ne è un esponente ed è forse consapevole di questa tendenza. Per essere più precisi, della sua crescita e della sua scomparsa. Mio padre e lui sono stati gli alfieri laici di questa storia. Mio padre ha creato la sezione scaut Tre Pini di Massagno, spinto da mia madre,  nonché la sezione di ginnastica SAM  che esistono  tuttora e che allora riempirono un vuoto massagnese ricordato da Alberto Lepori che aveva gestito il circolo  San Maurizio di aspiranti di Azione Cattolica di Massagno. A Massagno nell'immediato doguerra c'era solo quello. Mi ricordo che, piccolino, si andava a casa di Alberto, di tanto in tanto (mi bastava attraversare la strada, la via San Gottardo,  molto meno pericolosa di ora perché non c'erano così tante automobili come adesso) e che nel 1947 o nel 1948 avevo concorso a una gara indetta da Alberto Lepori e che consisteva a presentare  un diario estivo. La premiazione avvenne dai Lepori. Insomma si tentava allora di lanciare o salvare l'Azione Cattolica ticinese. Mio padre era stato scelto con l'incarico  di creare nuovi indirizzi dell'Azione cattolica - lo scoutismo  (l'AEC ossia l'Associazione Esploratori Cattolici e la SAM affiliata all'ASTI, Associazione sportiva cattolica ticinese ) . Lepori seguì invece un'altra strada, più tradizionalista, più vicino alla Chiesa, alla sua potenza istituzionale,  alle sue vicende, ai suoi tormenti. 

Lepori non è mai stato un politicante: non sapeva o non ha mai voluto condurre una campagna elettorale:  ha fatto una carriera politica e ha approfittato di un vuoto lasciato da altri.   E' stato proposto come municipale a Massagno poi a quello di consigliere di stato, poi a direttore di un giornale perché non c'erano candidati  in grado di essere in concorrenza con lui. E' un giornalista più che un politico e ha diretto due giornali moribondi ora scomparsi ( il quotidiano "Popolo e Libertà", organo del PPD , nonché "Il Guardista" organo dei Giovani conservatori). Parla  nell'intervista,  con nostalgia, di "Dialoghi", una rivista che ha più di 50 anni, lui che ne fu  uno dei fondatori nel lontano 1954,  quando non aveva ancora finito gli studi universitari di legge a Berna.    All'inizio ha optato per l'azione cattolica  poi si è dato alla vita politica, e per finire è tornato all'azione cattolica anzi  ai problemi della Chiesa cattolica contemporanea che sono trattati, me lo auguro,   in "Dialoghi". Semplifico assai una carriera localmente brillante ma non splendida, non riuscita. Certamente Alberto Lepori è intelligente e capace, ma non è abile e furbo. Non è , lo ripeto, una personalità politica locale; La sua fu una carriera   apparentemente politica, ma lui non fu quasi mai un politico.  Ha approfittato della Chiesa cattolica ; è un credente, che non crede nei riti celebrati per il popolo di Dio o di quella parte della società che è chiamata così all'interno del cattolicesimo.  Avrebbe dovuto essere il l'alfiere  di un trionfo, quello del cattolicesimo politico invece fu il portabandiera di una sconfitta. A Massagno non è stato in grado o non ha voluto prendere in mano il partito PPD che aveva la maggioranza assoluta nel paese e per finire ha fatto il giornalista:  redattore-capo del quotidiano del PPD "Popolo e Libertà"dopo il periodo al Consiglio di stato (l'esecutivo) e poi collaboratore ( ma soltanto collaboratore) della rivista cattolica "Dialoghi" a cui dedica un'intervista intera (la sesta). Pur avendo studiato a Berna e insegnato a Friborgo (Svizzera), un'università cattolica, non è diventato un uomo politico elvetico, non è stato un fanatico elvetista, questo a suo merito, non ha fatto carriera nell'esercito, come è d'uopo per la maggioranza delle personalità politiche cattoliche oltre Gottardo, ma è rimasto un cattolico fervente, aperto, illuminato. Lo si sente quando nell'intervista  parla del PPD e del  cristiano in politica. Annaspa però , non approfondisce il tema del partito, non cita Don Sturzo, il fondatore in Italia della Democrazia Cristiana, il partito dei cattolici,  che ha governato in Italia dal 1948 fin verso il 1980, si rifugia  dietro al primo consigliere federale cattolico elvetico alla fine degli anni 90 dell'Ottocento, disquisisce sul papa Leone XIII e sulla sua enciclica "Rerum Novarum", che resta  il suo breviario e accenna solo, forse per mancanza di tempo, ai cristiano-sociali degli anni 20 e 30 del secolo scorso, all'esperienza dei preti operai in Francia. Si è schierato dalla parte dove lui immaginava fosse il bello, il santo, il pulito, mentre il brutto,  lo sporco, il compromesso non l'ha mai accettato, lo ha rifiutato. Ha condannato la Lega di estrema destra nel Ticino. La truculenza verbale della Lega non gli andava, ma in quanto cattolico convinto ha a lungo sperato  nella rinascita del PPD ovverosia del partito conservatore come si diceva un tempo e dove è rimasto, dove é stato riconosciuto come meritevole per fare carriera.