mardi 29 janvier 2013
Educazione multiculturale
Nel no. 18 (nov. 22, 2012) della rivista New York Review of Books, Thimothy Garton Ash professore al St. Anthony College dell'Università di Oxford recensisce cinque libri sul tema del multiculturalismo. I libri sono i seguenti:
Europe’s Angry Muslims: The Revolt of the Second Generation
by Robert S. Leiken
Oxford University Press, 354 pp., $27.95
Muslims in Europe: A Report on 11 EU Cities
by the Open Society Institute
346 pp., available at opensocietyfoundations.org
The Emancipation of Europe’s Muslims: The State’s Role in Minority Integration
by Jonathan Laurence
Princeton University Press, 366 pp., $80.00; $29.95 (paper)
The New Religious Intolerance: Overcoming the Politics of Fear in an Anxious Age
by Martha C. Nussbaum
Belknap Press/Harvard University Press, 285 pp., $26.95
Immigrant Nations
by Paul Scheffer, translated from the Dutch by Liz Waters
Polity, 390 pp., $84.95; $29.95 (paper)
L'articolo integrale è online e accessibile all'indirizzo seguente : http://www.nybooks.com/articles/archives/2012/nov/22/freedom-diversity-liberal-pentagram/?pagination=false
Garton Ash prende lo spunto da queste pubblicazioni per riflettere sul multiculturalismo e sull'interculturalismo, nonché sul vivere assieme. Tutti questi temi hanno alimentato un ampio filone pedagogico in questi ultimi decenni, quello dell'educazione multiculturale e del vivere insieme. Condivido pienamente le argomentazioni di Ash: "la letteratura multiculturale, con la sua tendenza a classare le persone in funzione della cultura, spesso fallisce nel riconoscere la profonda diversità di questo mondo sempre più mescolato".
Ash segnala che i Pakistanesi di Birmingham non hanno nulla a che spartire con quelli di Los Angeles, che i Turchi di Berlino non sono quelli di Sidney, che i Libanesi di Beirut non sono quelli di Parigi. Aggiunge anche che in Germania ci sono Turchi che vi sono nati, che parlano perfettamente il tedesco, che sono cresciuti in Germania. Questi non sono più immigranti ma sono persone con un background migratorio o sono dei "postmigranti" come li chiama Robert L. Leiken. Ma si sa anche che i di conflitti d'identità, che la schizofrenia culturale possono essere molto acuti nella seconda o nella terza generazione.
Nel 1983 sono stato incaricato da Ron Gass allora direttore del CERI, il Centro per l'innovazione e la ricerca pedagogica all'OCSE di occuparmi di educazione multiculturale. A quell'epoca le autorità politiche erano confrontate a due problemi d'integrazione delle minoranze culturali: il finanziamento dei corsi di lingua e cultura d'origine e il finanziamento dell'educazione bilingue intesa come occasione offerta ai figli degli immigrati di svolgere una parte della loro scolarità nella lingua madre e non nella lingua ufficiale dell'insegnamento. Il primo tema era molto rilevante in Europa, il secondo negli Stati Uniti. Come succede di solito in simili occasioni l'OCSE ha iniziato ad occuparsi di queste questioni su richiesta di un governo, in questo caso la Spagna, che si poneva domande sull'opportunità di continuare a finanziare corsi di lingua e cultura spagnola all'estero per i figli di emigrati spagnoli. Su questo terreno il governo italiano era molto combattivo e rivendicativo. Il secondo problema era invece particolarmente scottante negli Stati Uniti e soprattutto in California. Quando fui incaricato di occuparmi di concepire un progetto su questi temi che l'OCSE non aveva mai affrontato in precedenza ho immediatamente deciso di prendere le distanze dall'approccio del Consiglio d'Europa che mi sembrava molto lacrimoso, errato, condiscendente verso le teorie dominanti nelle scuole.
Mi sono subito reso conto che mi era stata data in mano una patata bollente perché molti governi non ne volevano sapere di parlare di multiculturalismo mentre altri invece, come l'Italia per esempio, si servivano dell'occasione per fare valere rivendicazioni arroganti, nazionalistiche. Ho quindi rifiutato di intitolare il progetto "Educazione multiculturale" o qualcosa di simile. Il nome del progetto fu il seguente "Educazione e Pluralismo culturale e linguistico" (acronimo ECALP per "Education and Cultural and Linguistic Pluralism"). A molti anni di distanza l'articolo di Timothy Ash conforta questa scelta che mi fa piacere. Non era un titolo brillante, attraente, ma tant'è. Era giusto.
Ho iniziato il progetto con l'aiuto di Sophia Mapa un'assistente greca che ora insegna all'università Parigi 12, con la quale si è riusciti a costituire un nucleo di esperti internazionali indipendenti dai governi, attivi nelle università o nei centri di ricerca, come Nathan Glaser, Michel de Certeau, Dominique Schnapper per capire meglio il quadro teorico del multiculturalismo. Poi c'è stato un enorme lavoro statistico di raccolta di dati sui figli di immigrati a scuola per avere un'idea dell'ampiezza del fenomeno. Fui aiutato da Catherine Duchêne, una donna disabile, sorda, dalla nascita ma che aveva una eccellente formazione statistica, prematuramente scomparsa. Catherine fu una delle rare persone disabili a lavorare all'OCSE. Gass me l'aveva affidata. Ci si accorse subito che mancavano dati statistici e che la politica multiculturale ignorava le differenze. Un manuale scolastico, se ben ricordo in tre volumi, predisposto per gli studenti di origine turca frequentanti i corsi di lingua e cultura d'origine a Sidney erano stati adottati anche a Berlino. La cultura italiana d'origine era molto folcloristica imperniata su pizza e pastasciutta.
Il governo turco si oppose alla pubblicazione del libro "Enfants de migrants à l'école" uscito nel 1987 perché non voleva che si parlasse dei curdi. Ne ho tratto la conclusione che allora la diversità culturale era inventata dalla scuola e non era che una ideologia, una teoria normativa che poco aveva a che fare con la realtà sociale. I bambini di immigrati erano etichettati come tali e non erano per nulla "empowered" come sostenevano gli Americani favorevoli all'educazione bilingue. Il fatto di frequentare corsi di lingua e cultura d'origine non migliorava i risultati scolastici e le loro prospettive di scolarizzazione. Purtroppo allora non esistevano valutazioni raffinate dei risultati scolastici. Si è dovuto attendere il 2000 con l'indagine PISA per conoscere meglio la situazione scolastica dei figli di immigrati nelle scuole europee.
Nel frattempo avevo abbandonato l'OCSE per dirigere lo SRED a Ginevra (Il Servizio di ricerca sull'istruzione del Canton Ginevra) ed ho obbligato i ricercatori a non più considerare stranieri nelle statistiche scolastiche ginevrine i figli di immigrati a Ginevra, nati e cresciuti a Ginevra. In una relazione preparata per un convegno organizzato a Zurigo dall'ECAP (Ente Confederale Addestramento Professionale) della CGIL, sindacato italiano, ho scoperto nelle statistiche elvetiche che la maggioranza dei giovani della terza generazione di Italiani in Svizzera frequentavano prevalentemente i corsi di formazione professionale. Anche loro avevano seguito i corsi di lingua e cultura d'origine organizzati dal consolato italiano, parlavano lo zurighese ma erano relegati negli indirizzi scolastici meno promettenti, quelli che gli zurighesi evitavano. Non so se qualcosa è cambiato in questi ultimi dieci anni, ma l'articolo di Timothy Garton Ash mi fa pensare di no. I corsi di lingua e cultura d'origine per potenziare l'identità culturale dei figli degli immigrati e per migliorare la loro scolarizzazione esistono tuttora. Il governo italiano è meno "vociferous" in materia, ma è stato sostituito da quello portoghese. Tra i pedagogisti e gli insegnanti molti continuano a ritenere che questa sia la soluzione giusta per rendere la scolarizzazione dei figli degli immigrati che sono anche i figli delle famiglie povere, più giusta e più equa.
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