In questa raccolta di saggi, sono riuniti articoli, testi, interviste in cui Giono parla della Provenza. Molte pagine sono affascinanti, profumano di Sud proprio perché l'autore l'ha percorso in lungo e in largo e sa parlarne con grande bravura. Descrive momenti strabilianti come la nascita delle foglie delle querce in primavera. Le querce non perdono le foglie in inverno. I piccioli, robusti nonostante le folate di vento impediscono alle foglie i cadere durante la cosiddetta brutta stagione e gli alberi conservano la loro veste anche se di colore diverso durante tutto l'inverno. Le foglie sono secche, marroncino chiaro.
Ci sono molti passaggi affascinanti. Per esempio quando Giono descrive gli ulivi della costa , quelli della Bassa Provenza e quelli della montagna ( così per dire, perché qui si è in Alta Provenza, si è n montagna a 300, 600, 800 metri).
La bestia nera di Giono è la Nazionale 7, la strada che negli anni 50 del ventesimo secolo ha permesso ai Parigini e alla gente del Nord della Francia di raggiungere il Sud, il Mediterraneo. Oggigiorno la Nazionale 7 è un rudere d'archivio, soppiantata dall'autostrada, l'A6 fino a Orange dove si divide: un ramo va verso destra 5 quando si viene dal Nord), ossia verso Montpellier e la Spagna e l'altro verso sinistra, ossia verso Aix-en-Provence , Marsiglia, la Costa Azzurra e l'Italia. Giono non ha visto le autostrade né le linee dell'alta velocità dei treni ( i TGV). Non ne avrebbe parlato molto bene.
Giono è un romantico che decanta la bellezza della Provenza di un tempo, ossia dagli inizi del Novecento su su fino agli anni Trenta, quando si allevavano ancora cavalli nelle fattorie dei villaggi attorno ad Avignone. Inneggia alla grandezza e alla bellezza della povertà , di un mondo duro, di gente testarda che lotta per sopravvivere, che viaggia a piedi, con scarpe chiodate. Qua e là ce ne sono ancora di personaggi del genere ma la Provenza odierna è molto diversa , è populista, ossia molto anti-governativa ( forse è sempre stata così), molto favorevole alle tesi del Front National ossia dell'estrema destra francese. E' abitata anche da tanti pensionati venuti dal Nord della Francia. La Provenza è protestataria per natura si potrebbe dire. In passato ha accolto giansenisti, perseguitati di ogni bordo, protestanti , e poi oggigiorno accoglie schiere di pensionati che difendono le loro concezioni nostalgiche del passato, che disubbidiscono al governo centrale parigino percepito come una minaccia per il proprio benessere. Giono descrive con lirismo la vita provenzale degli inizi del Novecento ma scrive nel 1950 o giù di lì. E' dunque un nostalgico del tempo che fu, il quale può sembrare bello ma non lo era affatto. La descrizione della spremitura delle olive nel testo intitolato "Arcadie!Arcadie!"è esemplare da questo punto di vista. Certo, quel mondo è scomparso con i suoi profumi e i suoi gusti ( la musica, le canzoni per esempio) ma un altro mondo è nato . Giono alla fin fine contesta la tecnica, il progresso, che per lui non è che regressione. Non lo dice espressamente ma lo si intuisce. La descrizione dei frantoi dove si ottiene l'olio d'oliva ne è una conferma. Belli , anzi affascinanti sono per lui i frantoi tradizionali mentre indegni sono i frantoi moderni, in acciaio. Le macchine inossidabili al posto degli impianti d'un tempo non sono che il segno della scomparsa di una cultura, di un modo di vivere imperniato attorno all'olio di uliva. Si potrebbe dire la stessa cosa del vino, ma Giono non parla della cantine sociali sorte negli anni Trenta. Esalta invece il viticoltore singolo con la sua parcella, il suo vino. Non parla dei vini né tanto meno della crisi della produzione vinicola che a quei tempi era di là da venire. Il Côte du Rhône era allora usato per rinforzare i vini nobili francesi soprattutto i bordeaux e i bourgognes. Non era un vino prestigioso come lo è diventato ora. Il sistema di produzione vinicola è radicalmente mutato oggigiorno rispetto all'inizio del Novecento. Giono non ne poteva parlare e si è limitato a descrivere in termini idilliaci la piccolissima produzione singola di allora. Si produceva male e si beveva.
Si può capire come l'autore sia diventato una guida per certe correnti ecologiste, anti-industrialiste, neoluddistiche. I suoi testi li trovo ambigui. Esaltano la povertà, l'autosufficienza alimentare, la cultura locale, i modi di vita ancestrali: pochi animali nelle case coloniche sparse nella Provenza, pochi metri quadrati di orto per famiglia. Solo quanto è necessario per vivere, e via di seguito. Si vedano le pagine dedicate alla vita rude nella valle di Asse, Alpi Marittime. Denigra lo sviluppo tecnologico, l'industrializzazione. Lo paragono agli autori che decantavano la vita alpina. Quel mondo povero è scomparso. Si è persa anche la filosofia della gente che lo abitava. E' un male? Non tutto il mondo che lo ha sostituito è bello. Va da sé, ma neppure quel mondo era idilliaco, piacevole. Era duro, molto ingiusto. La nostalgia inganna.
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